UNA PICCOLA MODIFICA PER COMBATTERE L'ASTENSIONE - di Roberto Biscardini da "L'Avanti! della domenica" del 19 giugno 2005
29 giugno 2005
Forse basterebbe tentare di far coincidere la consultazione popolare con la prima tornata elettorale utile evitando i divieti attuali, per abbassare il numero delle astensioni e ridurre la disaffezione dei cittadini nei confronti di questa forma di partecipazione
Dopo il risultato inaspettato per tutti, il mondo politico si interroga. Si interrogano coloro che hanno perso per non aver intercettato il sentimento degli italiani, ma non possono gongolare i difensori della legge 40, che per vincere hanno dovuto utilizzare lo strumento dell’astensione anziché il No, senza una posizione autonoma e forte rispetto a quella ben più incisiva della Chiesa.
Alla fine, al di là del cantar vittoria e con il passare delle ore i toni si smorzano. Il 75% delle astensioni è sempre più difficilmente attribuibile al successo di una parte politica. Dentro questo dato c’è l’astensione fisiologica che si aggira per i referendum tra il 35/40%, c’è l’astensione di coloro, anche laici, che non hanno voluto esprimersi su una materia che ritenevano per onestà intellettuale di non dominare del tutto, e c’è stata l’astensione come risposta obbediente all’appello della Chiesa.
Quanta astensione abbia un colore veramente politico non è facile sapere, non sembra comunque un dato molto elevato, anche perché in campo tra le parti politiche che si sono espresse per l’astensione c’è più disimpegno che impegno diretto.
La vera campagna politica per l’astensione l’hanno fatta i vescovi e il Comitato Scienza e Vita e non i partiti.
Sul versante opposto, non ci sono dubbi. È stato giusto fare la battaglia, soprattutto una volta che i Radicali l’avevano iniziata. Purtroppo la battaglia è stata persa. Persa nei numeri, persa perché non si è forse colta la difficoltà e complessità delle questioni in gioco, persa perché non si è neppure combattuta con tutta la convinzione possibile. C’è stata, anche tra chi si è impegnato generosamente di più, una certa timidezza e incapacità di mobilitare e di convincere il proprio corpo sociale e politico solitamente mobilitabile ed anche il gesto di buona volontà di andare a votare, ma senza dire per che cosa, è apparso più un disimpegno che un impegno convinto.
Sul piano politico è quindi inutile girarci intorno. Questo risultato mette in evidenza la debolezza del sistema politico e non salva nessuno. Né i referendari né gli astensionisti, né la destra né la sinistra. Una volta distrutto il sistema dei partiti che rappresentavano sul territorio una realtà organizzativa forte e distrutti in particolare quelli di democrazia laica e socialista, dal voto di domenica scorsa non emerge che la resistenza di qualche roccaforte della sinistra tradizionale, la presenza laica di una certa borghesia nelle grandi città e la realtà politica della Chiesa che mai avrebbe potuto in passato sostituirsi alla politica così come è potuto accadere oggi.
Non era mai successo che sulle questioni di principio e sui valori di libertà il sistema politico nel suo complesso e in particolare i partiti della sinistra democratica subissero una sconfitta così forte, che deve far riflettere tutti, senza sottovalutare ogni tipo di errore. Così come deve far riflettere il divario di partecipazione e di consenso tra il voto sul referendum e quello conseguito dal centrosinistra nelle elezioni regionali di soli due mesi fa.
Ma adesso si è aperta la partita. sulla valutazione dello strumento referendario che soprattutto nel sistema bipolare appare inadeguato a garantire la partecipazione diretta del cittadino nella formazione del processo legislativo. Partita delicata che attiene alle forme della democrazia. Adesso si è aperta la questione di come correggere le leggi che regolano il referendum nel nostro paese, per evitare di andare ogni volta di fronte ad un “fallimento”. Ci sono coloro che per semplificare si scatenano contro lo strumento del referendum in quanto tale, perpetuando un atteggiamento di quella parte della politica italiana che è sempre stata contro i referendum. Noi cominciamo con il dire che il referendum è uno strumento utile alla democrazia, soprattutto se la democrazia rischia di essere sempre più agonizzante come oggi.
Ed è utile sia quando raggiunge il quorum, sia quando non lo raggiunge, sia quando i governanti e il Parlamento per paura che sia invocato dai cittadini e che le proprie leggi vengano impallinate, lo evitano, ricercando nella attività legislativa il massimo consenso.
Giacciono già in Parlamento diversi progetti di legge di modifica costituzionale che, per imitazione con altri paesi, propongono l’abolizione del quorum o per stare a metà strada propongono il suo abbassamento e l’aumento del numero delle firme necessarie per avviare la procedura referendaria. (Ma attenzione anche in Svizzera il numero delle firme è, come da noi, grosso modo il 10 % della popolazione).
L’abolizione del quorum è una strada che si può perseguire, ma più semplicemente il problema è nelle contraddizioni della legge ordinaria del 1970 quella che regola l’istituto del referendum. Una legge voluta dai socialisti per dare seguito al dettato costituzionale, ma che è passata pagando lo scotto di un vero delirio: quello di non consentire la contestualità del voto referendario con le elezioni politiche. Una legge che in qualche modo ostacola anziché favorire il ricorso al referendum e che nella pratica ha impedito in tutti questi anni di svolgerli anche contestualmente alle elezioni amministrative. Forse basterebbe tentare di far coincidere il referendum con la prima tornata elettorale utile evitando i divieti attuali, per abbassare il numero delle astensioni e ridurre la di-saffezione dei cittadini nei confronti di questa forma di partecipazione.
Sul tavolo della discussione che si aprirà nei prossimi giorni nella Commissione Affari Costituzionali, noi socialisti porremo anche questo tema, forse più facilmente praticabile che non una riforma costituzionale. Ben sapendo che questo, se rivitalizzerà l’istituto referendario, non risolverà i nodi della politica.