UNA MOBILITAZIONE CONTRO IL REGIONALISMO DIFFERENZIATO di Maurizio Ballistreri da I Vespri del 1 agosto 2019
01 agosto 2019
Ciò che appare incomprensibile nella vicenda del cosiddetto “regionalismo differenziato” non è la posizione della Lega, la quale, al di là dei richiami ad una visione nazionale della sua politica, ha nel dna il gene della secessione e, d’altronde, come affermava il grande leader socialista Pietro Nenni “il fiume torna sempre alla sorgente”. No, quello che è davvero misteriosa non è neppure l’ormai conclamata sudditanza dei 5 Stelle, abbarbicati e ipnotizzati dal potere, ma è l’inesistente opposizione dei ceti dirigenti politici del Sud.
Eppure, come ha scritto opportunamente Gustavo Zagrebelsky «opporsi ad essa è la battaglia della vita per il Paese», poiché la proposta della Lega e del governo distruggerà l’Unità nazionale, nemmeno sostituita dall’ipotesi del primo teorico della Lega di Umberto Bossi, Gianfranco Miglio che teorizzava una confederazione di tre macroregioni, ma da un confuso sovrapporsi di semi-stati con poteri feudali, sul piano legislativo e amministrativo, con la caducazione dei diritti costituzionali contenuti nella Prima parte della Carta fondamentale e dello Stato sociale universalistico ed egualitario.
L’Italia sarà così, un Paese con cinque Regioni a statuto speciale di cui una con due province autonome (Trento e Bolzano), tre Regioni (che potrebbero diventare sette) con ambiti anche tra loro differenti di autonomia rafforzata e le altre a statuto ordinario e con uno Stato centrale a cui competerebbero residui di competenze, fondi minori oltre alle funzioni di difesa e ordine pubblico. Certo, c’è, purtroppo, la scriteriata riforma del Titolo V della Costituzione voluta dalla maggioranza di centro-sinistra nel 2001 e le gravissime responsabilità del governo Gentiloni, che ha sottoscritto le pre-intese con i presidenti del Veneto e della Lombardia, con l’acquiescenza, interessata, di quello del Pd dell’Emilia Romagna, d’altra parte non è un caso che il Partito democratico usi l’ossimoro di “autonomia differenziata moderata”.
Si dirà che si tratta di un giudizio troppo drastico, draconiano. E, invece, sono i fatti (è “fattuale” direbbe uno dei sostenitori di tale scelta, Vittorio Feltri) a dimostrarlo, in primo luogo il meccanismo della “spesa storica”, trappola che distruggerà i servizi nel Mezzogiorno. La Corte dei conti ha fatto sentire la propria voce al riguardo, affermando che senza perequazione non è possibile l’autonomia differenziata. E la Svimez poi, a certificare che con questa (contro)riforma “lo Stato aumenterà i debiti, o diminuirà i servizi», servizi pubblici essenziali di una società solidale come la sanità, la scuola, l’edilizia popolare, la tutela ambientale, il ciclo dei rifiuti, con uno sconvolgimento del diritto del lavoro italiano.
Infatti, quale interfaccia dell’autonomia differenziata è stata subito proposto, dalla Lega e da chi altri se no, il ritorno alle gabbie salariali e alle retribuzioni diseguali tra regioni, che porterebbe con sé, ove passasse, la regionalizzazione del pubblico impiego, della previdenza integrativa e della legislazione sulla sicurezza sul lavoro, con la nascita di una miriade di sindacati a base localistica.
Bisogna contrastare questa scelta scellerata che violerebbe i principi fondamentali di uguaglianza sostanziale della nostra Costituzione, poiché si avrebbe una cittadinanza asimmetrica legata al luogo di residenza, a causa della differente offerta di servizi, per qualità e quantità, e di prestazioni.
Che fare? Visto che la politica meridionale non è in grado di mettere in campo alcuna iniziativa di contrasto, se non vaghe proposte fumose ma di accettazione nei fatti dello stravolgimento dell’Unità del Paese, devono essere i cittadini a mobilitarsi nel nostro Sud e nella nostra Sicilia che con tale nuovo assetto istituzionale vedrebbe sepolta per sempre la propria Autonomia mai realizzata.
Serve una diffusa campagna dal basso di informazione contro il disegno di un ritorno all’Italia preunitaria, in nome dei valori di coesione nazionale e di solidarietà sociale.
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