UNA LETTERA SENZA RISPOSTA di Emanuele Macaluso da Mondoperaio di novembre/dicembre 2012

14 marzo 2013

UNA LETTERA SENZA RISPOSTA di Emanuele Macaluso da Mondoperaio di novembre/dicembre 2012

L’editore Dino Audino ha pubblicato, con il titolo “Politicamente s/corretto”, un lungo colloquio di Emanuele Macaluso con Peppino Caldarola. In esso Macaluso ripercorre la storia della sinistra italiana dalla svolta della Bolognina ad oggi. Non mancano i toni polemici, com’è ovvio. Ma era inedita la lettera che pubblichiamo di seguito, datata 20 giugno 1995, che motiva il suo definitivo distacco dal Pds.

Caro D’Alema, ti scrivo per comunicarti le mie dimissioni da tutti gli organi dirigenti del Pds (Direzione e Coordinamento politico) e risolvere così, almeno in parte, il disagio che, da qualche tempo, avverto nel frequentare le nostre riunioni, Ti dico subito che si tratta di un disagio più morale che politico. Di che si tratta? Tu sai bene come andarono le cose nelle elezioni del 1992, come fu organizzato nella federazione di Palermo un chiassoso dissenso alla mia candidatura. Tu stesso (e anche Occhetto) in quella occasione mi chiedesti di candidarmi in un collegio senatoriale sicuro del Nord, per evitare scontri. Ti dissi che avrei potuto non candidarmi, ma se lo facevo, col Pds che avevo contribuito a fondare, dovevo farlo solo in Sicilia. E così decise poi la Direzione. Tuttavia il mio fu il solo caso in cui le federazioni della circoscrizione, per le elezioni della Camera, non diedero indicazione di voto nemmeno a una sola sezione. Io ero il capolista. Anzi fu condotta una tenace campagna capillare per dire che io, dopo eletto, avrei fatto come Piero Borghini. Altro che lotta politica. Il disinteresse del centro del partito fu totale ed io certo non sollecitai un suo intervento. Il risultato fu quel che sappiamo. Ti assicuro, comunque, che io superai questa storia con serenità, anche perché avvertii subito che le mie possibilità di fare politica in modo diverso erano accresciute e più gratificanti per uno che ha la mia età. Non ho serbato nessun rancore nei confronti di alcuno, neanche verso chi organizzava il “dissenso”. Tutto sommato erano vicende di un difficile transito per tutti. Se si voleva, si poteva recuperare un rapporto. Debbo dirti che già durante il periodo elettorale Leoluca Orlando e alcuni suoi sicofanti avevano fatto una campagna vergognosa nei confronti dell’“ala consociativa del Pci” sino a insinuare compromessi con il sistema di potere. Anche l’avvocato Galasso si lanciò in questa impresa, lui che i compromessi, lucrosi, li aveva effettivamente fatti, come ho documentato in una mia replica. Ma già allora mi sono chiesto se la mia storia in Sicilia e quella di altri compagni fosse una questione personale o del partito. Sono stato con Li Causi nel 1944 a Villalba quando la mafia sparò per la prima volta tentando una strage e ferendo Li Causi. Da allora ho diretto la Camera del Lavoro di Caltanissetta sino al 1947, guidando le occupazioni delle terre nei feudi di Calogero Vizzini e Genco Russo. Dal 1947 al 1956 sono stato segretario regionale della Cgil e non vi fu lotta che non mi vide protagonista. Fui processato e condannato più volte e anche con La Torre quando occupammo i feudi nel corleonese. Dal 1956 al 1962 diressi il Pci, prima accanto a Li Causi segretario e poi in prima persona come segretario regionale. Feci così male… che fui chiamato a sostituire Berlinguer nell’organizzazione del partito e a stare nella Segreteria con Togliatti. Tornai in Sicilia nel 1967, perché fu organizzato da tanti che osannano La Torre un “pronunciamento” per sostituirlo in quanto il Pci aveva perso due punti alle elezioni regionali. E tomai perché Longo me lo chiese con fermezza e perchè in Sicilia all’unanimità, con una consultazione fatta da Bufalini, i membri del Comitato regionale chiesero il mio rientro. La lotta, in quegli anni, contro Lima, Ciancimino e altri, è scritta non solo nei fatti ma negli atti della Camera e della Commissione Antimafia. La quale mi convocò proprio in seguito alle mie denunce alla Camera e sui giornali contro Ciancimino, eletto sindaco, e Lima. Sono rimasto in Sicilia sino alle elezioni del 1972. Mi sostituì, come è noto, Occhetto che era segretario a Palermo. Capisco che chi, come me, per vent’anni è stato alla guida della Cgil regionale e anche capolista del Pci (dal ’51 al ’62 a Caltanissetta per l’Assemblea Regionale e dal ’65 al ’92 a Palermo e Catania per la Camera e per molti anni senatore della Sicilia) non può, in un processo di revisione critica, non assumersi responsabilità di ciò che è stato il Pci in Sicilia, per i suoi successi e insuccessi. Ma la discussione dovrebbe essere politica, seria e rigorosa. Così non è stato e non è. Una discussione vera su questi temi non c’è. Ti chiedo scusa se ti ricordo cose che sai, ma che sembra siano state dimenticate o addirittura ne sia stato rovesciato il senso. La strumentalità della campagna di Orlando si evince dal fatto che, sindaco della “primavera”, mi chiamò a un’assemblea, con padre Pintacuda e Pansa, sulla mafia e mi presentò (c’e il testo) come un San Michele Arcangelo della lotta alla mafia. Ma lasciamo stare Orlando. Per capire a quali estremi può giungere una campagna denigratoria, che pure non mi riguardava, ricordo che furono alcuni membri del Pci- Pds e della Rete a indurre la Procura a prendere in una certa considerazione la “pista interna” per l’uccisione di La Torre! Furono sospettati compagni cooperatori che a Palermo sarebbero stati messi in una lista di “epurabili” da parte di Pio. Bufalini fu interrogato su questa “pista” da Falcone. Traccia di tutto questo c’è nella requisitoria sui delitti politici scritta dal procuratore Pietro Giammanco e firmata anche da Falcone. Io scrissi su1l’Unità una dura critica a quel documento (nessun altro fiatò) e alcuni mesi dopo Falcone ne parlò con Chiaromonte e volle incontrarmi con lo stesso Gerardo, per dirmi che l’“abbaglio” era frutto di «insistenti voci di autorevoli esponenti della sinistra che venivano a suggerirle». Io non chiesi e lui non fece nomi, ma non era difficile capire. Questo il passato. Ora, da dove deriva il mio disagio? In Sicilia il Pds ha organizzato molti convegni e manifestazioni sulla mafia. Non sono mai stato invitato. Si è arrivati al punto di non invitarmi, non dico a parlare, ma nemmeno a presenziare in manifestazioni solenni per ricordare Pio La Torre. Io non so se tu sai quali furono i miei rapporti con Pio. C’è anche una cronologia di incarichi che lo dice. Mi sostituì come segretario alla Camera del Lavoro di Palermo (su mia indicazione), nella segreteria regionale della Cgil (su mia indicazione); nella segreteria regionale del Pci (sempre su mia indicazione). E poi alla sezione meridionale e a quella agraria. Alcuni biografi di La Torre gli hanno messo vestiti che non aveva. Saprai che il compagno a cui politicamente è stato più vicino è Paolo Bufalini, dal 1950 a quando morì. Fu, anche questo, aggredito politicamente. Basterebbe rileggere che cosa ha scritto la cosiddetta “sinistra radicale” quando La Torre, nel 1981, tornò in Sicilia. Ebbene né io né Bufalini, quando stava bene, abbiamo potuto parlare di La Torre se non fuori di Palermo. La “trovata” – perché di un diversivo si tratta – di fare testimoniare solo a Giuseppina Zacco le idee politiche e l’opera di La Torre, è stata e resta un’operazione penosa, non rispettosa della memoria del compagno e della stessa compagna che poteva, se voleva, svolgere il suo impegno senza questa continua incombenza. Un compito che avrebbe dovuto essere di tutto il partito. Ma il colmo è stato raggiunto quando ho letto le “reazioni” del segretario del Pds di Palermo, Zanna, ai miei articoli su Andreotti, la Dc e la Mafia, apparsi sul Manifesto (sull’Unità su questi temi non ho più scritto da quando non ho più la rubrica). Zanna ha testualmente detto in una dichiarazione al Manifesto: «Macaluso è un pezzo del vecchio sistema che nel 1980 ha distrutto la Sicilia». Nell’80 io prima ho fatto il direttore del1’Unità, poi il portavoce del Pci, successivamente ho collaborato con te all’organizzazione, e solo da questi “siti” potevo distruggere, in combutta col vecchio sistema, la Sicilia. Quindi tutta la mia storia é nel “sistema” e, si capisce, nel sistema mafioso. Ma la cosa che considero grave è il fatto che, dopo aver segnalato questo inaudito comportamento, c’e stato un intervento del compagno Pecchioli, e le cose sono rimaste come prima. Una posizione pubblica di riprovazione per l’aggressione di Zanna c’è stata solo da parte di Napolitano con una lettera al Manifesto. Tuttavia Zanna ha scritto una lettera allo stesso Napolitano in cui ribadisce le sue “posizioni”. Ma – ecco che mi preme sottolineare – c’è un dissenso su come lottare contro la mafia? Nulla di strano, almeno così penso io. Invece no. Chi non la pensa come Zanna (che la pensa, credo, come Folena o Violante o Arlacchi) è un nemico e un colluso. Anche questo è stato scritto da una compagna di Palermo. Ora “certe” mie “idee” su come combattere la mafia le ho esposte da tempo. Ho pubblicato nel 1970 un libretto, La mafia e lo Stato, in cui espongo le mie opinioni che sono quelle di ora. Anche se allora vennero lodate. Un partito che dice di volere la “rivoluzione liberale” non tollera chi pensa diversamente, chi solleva dubbi su certe iniziative delle procure. Fatto sta che la settimana scorsa è stato convocato in modo solenne un altro “convegno nazionale” sulla mafia a Palermo e io non sono stato, ancora una volta, invitato. Tanto per cambiare: relatore Folena, conclusioni Violante. Del resto la Sicilia da tempo non ha più persone che su questo tema abbiano voce. E chi ce l’ha è considerato eretico. A questo punto, caro D’Alema, ritengo che la mia presenza, non gradita nei convegni sulla mafia, non possa essere gradita negli organi dirigenti del partito che convoca questi convegni. C’è una incompatibilità politica e morale. Politica, dato che questo partito mostra di non tollerare posizioni diverse, se è vero, come è vero che le mie sono state bollate nel modo che sai senza una tua reazione. Morale, perché la discriminazione attiene a un tema moralmente carico di significati soprattutto per chi, come me, ha combattuto per cinquant’anni la mafia. So bene che a Palermo coloro i quali si “agitano” nei miei confronti sono gli stessi, nel Pds e nella Rete, che bollarono Leonardo Sciascia e gli dissero che, date le sue posizioni, si era posto «fuori della società civile». Infatti sono “loro” a delimitare i confini di questa società. Il fatto che dopo tanti anni costoro insistano su questa concezione e inviino i loro argomenti alle sedi del Pds è grave ed è per me intollerabile. Lascio gli organismi dirigenti anche per difendere con più libertà non solo le mie posizioni, ma valori che dovrebbero essere la base di un partito che si vuole richiamare alla storia di lotta del Pci contro la mafia, e valori liberali del socialismo europeo.

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