UNA LETTERA A POLETTI DI UNA RICERCATRICE ITALIANA A PARIGI
20 dicembre 2016
Caro Poletti, avete fatto di noi i camerieri d' Europa.
"Prima ci avete costretto ad andarcene. Poi ci sbeffeggiate, dicendo che è meglio se ci siamo tolti dai piedi. No, Ministro, le sue scuse non sono accettate. Perchè le vostre politiche sono uguali a quelle sue parole".
Caro Ministro Poletti,
le sue scuse mi imbarazzano tanto quanto le sue parole mi disgustano.
Siamo quelli per cui il Novecento è anche un patrimonio cinematografico
invidiabile, che non inseguiva necessariamente i botteghini della distribuzione
di massa, e lì imparammo che le parole sono importanti, e lei non parla bene. Non
da oggi.
A mia memoria da quando il 29 novembre 2014 iniziò a dare i numeri sul mercato
del lavoro, dimenticandosi tutti quei licenziamenti che i lavoratori italiani,
giovani e non, portavano a casa la sera. Continuò a parlare male quando in un
dibattito in cui ci trovammo allo stesso tavolo dichiarò di essere “il ministro
del lavoro per le imprese”, era il 18 aprile del 2016.
Noi, quei centomila che negli ultimi anni siamo andati via, ma in realtà molti
di più, non siamo i migliori, siamo solo un po’ più fortunati di molti altri che
non sono potuti partire e che tra i piedi si ritrovano soltanto dei pezzi di
carta da scambiare con un gratta e vinci.
Parlo dei voucher, Ministro.
E poi, sa, anche tra di noi che ce ne siamo andati, qualcuno meno fortunato
esiste. Si chiamava Giulio Regeni, e lui era uno dei migliori. L’hanno
ammazzato in Egitto perché studiava la repressione contro i sindacalisti e il
movimento operaio. L’ha ammazzato quel regime con cui il governo di cui lei fa
parte stringe accordi commerciali, lo stesso governo che sulla morte di Giulio
Regeni non ha mai battuto i pugni sul tavolo, perché Giulio in fin dei conti
cos’era di fronte ai contratti miliardari?
Intanto, proprio ieri l’Inps ha reso noto che nei dieci mesi del 2016 sono
stati venduti 121 milioni e mezzo di voucher. Da quando lei è ministro, ne sono
stati venduti 265.255.222:
duecentosessantacinquemilioniduecentocinquantacinquemiladuecentoventidue.
Non erano pistole, è sfruttamento.
Sa, qualcuno ci ha rimesso quattro dita a lavorare a voucher davanti a una pressa.
È un ragazzo di ventuno anni, non ha diritto alla malattia, a niente, perché
faceva il saldatore a voucher. Oggi, senza quattro dita, lei gli offrirà un
assegno di ricollocazione da corrispondere a un’agenzia di lavoro privata.
Magari di quelle che offrono contratti rumeni, perché tanto dobbiamo essere
competitivi.
Quelli che sono rimasti sono coloro che per colpa delle politiche del suo
governo e di quelli precedenti si sono trovati in pochi anni da generazione
1000 euro al mese a generazione a 5000 euro l’anno.
Lo stesso vale per chi se n’è andato e forse prima o poi vi verrà il dubbio che
molti se ne sono andati proprio per questo.
Quelli che sono rimasti sono gli stessi che lavorano nei centri commerciali con
orari lunghissimi e salari da fame. Quelli che fanno i facchini per la
logistica e vedono i proprio fratelli morire ammazzati sotto un tir perché
chiedevano diritti contro lo sfruttamento. Sono quelli che un lavoro non
l’hanno mai trovato, quelli che a volte hanno pure pensato “meglio lavorare in
nero e va tutto bene perché almeno le sigarette posso comprarle”.
Sono gli stessi che non possono permettersi di andare via da casa, o sempre più
spesso ci ritornano, perché il suo governo come altri che lo hanno preceduto,
invece di fare pagare più tasse ai ricchi e redistribuire le condizioni
materiali per il soddisfacimento di un bisogno di base e universale come
l’abitare, ha pensato bene di togliere le tasse sulla casa anche ai più ricchi
e prima ancora di approvare il piano casa.
È lo stesso governo che spende lo zero percento del Pil per il diritto
all’abitare.
È lo stesso governo che si rifiuta di ammettere la necessità di un reddito che
garantisca a tutti dignità.
Ma badi bene, non sono una “redditista”, solo che a fronte di 17 milioni di
italiani a rischio povertà, quattro milioni in condizione di povertà assoluta,
mi pare sia evidente che questo passaggio storico per l’Italia non sia oggi un
punto d’arrivo politico quanto un segno di civiltà.
Ma vorrei essere chiara, il diritto al reddito non è sostituibile al diritto
alla casa, sono diritti imprescindibili entrambi.
E le vorrei sottolineare che non è colpa dei nostri genitori se stiamo messi
così, è colpa vostra che credete che siano le imprese a dover decidere tutto e
a cui dobbiamo inchinarci e sacrificarci.
I colpevoli siete voi che pensate si possano spostare quasi 20 miliardi dai
salari ai profitti d’impresa senza chiedere nulla in cambio- tanto ci sono i
voucher- e poi un anno dopo approvate anche la riduzione delle tasse sui
profitti. Così potrete sempre venirci a dire che c’è il deficit, che si crea il
debito e che insomma la coperta è corta e dobbiamo anche smetterla di
lamentarci perché, mal che vada, avremo un tirocinio con Garanzia Giovani.
I colpevoli siete voi che non credete nell’istruzione e nella cultura, che
avete tagliato i fondi a scuola e università, che avete approvato la buona
scuola e ora imponete agli studenti di andare a lavorare da McDonald e Zara. Sa,
molti di quei centomila che sono emigrati lavorano da McDonald o Zara, anche
loro hanno un diploma o una laurea e se li dovesse mai incontrare per strada
chieda loro com’è la loro vita e se sono felici. Le risponderanno che questa
vita fa schifo. Però ecco: a differenza di quel che ha decretato il suo
governo, questi giovani all’estero sono pagati.
Ma il problema non è neppure questo, o quanto meno non il principale. Il
problema, ministro Poletti, è che lei e il suo governo state decretando che la
nostra generazione, quella precedente e le future siano i camerieri d’Europa, i
babysitter dei turisti stranieri, quelli che dovranno un giorno farsi la guerra
con gli immigrati che oggi fate lavorare a gratis.
A me pare chiaro che lei abbia voluto insultare chi è rimasto piuttosto che noi
che siamo partiti. E lo fa nel preciso istante in cui lei dichiara che dovreste
“offrire loro l'opportunità di esprimere qui capacità, competenza, saper fare”.
La cosa assurda è che non è chiaro cosa significhi per lei capacità, competenze
e saper fare.
Perché io vedo milioni di giovani che ogni mattina si svegliano, si mettono sul
un bus, un tram, una macchina e provano ad esprimere capacità, competenze,
saper fare. Molti altri fanno la stessa cosa ma esprimono una gran voglia di
fare pure se sono imbranati. Fin qui però io non ho capito che cosa voi offrite
loro se non la possibilità di essere sfruttati, di esser derisi, di essere
presi in giro con 80 euro che magari l’anno prossimo dovranno restituire perché
troppo poveri.
Non è chiaro, Ministro Poletti, cosa sia per lei un’opportunità se non questa
cosa qui che rasenta l’ignobile tentativo di rendere ognuno di noi sempre più
ricattabile, senza diritti, senza voce, senza rappresentanza. Eppure la cosa
che mi indigna di più è il pensiero che l’opportunità va data solo a chi ha le
competenze e il saper fare.
Lei, ma direi il governo di cui fa parte tutto, non fate altro che innescare e
sostenere diseguaglianze su tutti i fronti: dalla scuola al lavoro, dalla casa
alla cultura, e sì perché questo succede quando si mette davanti il merito che
è un concetto classista e si denigra la giustizia sociale.
Perché forse non glielo hanno mai spiegato o non ha letto abbastanza i rapporti
sulla condizione sociale del paese, ma in Italia studia chi ha genitori che
possono pagare e sostenere le spese di un’istruzione sempre più cara. E sono
sempre di più, Ministro Poletti.
Lei non ha insultato soltanto noi, ha insultato anche i nostri genitori che per
decenni hanno lavorato e pagato le tasse, ci hanno pagato gli asili privati
quando non c’erano i nonni, ci hanno pagato l’affitto all’università finché
hanno potuto.
Molti di questi genitori poi con la crisi sono stati licenziati e finita la
disoccupazione potevano soltanto dirci che sarebbe andata meglio, che ce
l’avremmo fatta, in un modo o nell’altro. In Italia o all’estero. Chieda scusa
a loro perché noi delle sue scuse non abbiamo bisogno.
Noi la sua arroganza, ma anche evidente ignoranza, gliel’abbiamo restituita il
4 dicembre, in cui abbiamo votato No per la Costituzione, la democrazia, contro
l’accentramento dei poteri negli esecutivi e abbiamo votato No contro un
sistema istituzionale che avrebbe normalizzato la supremazia del mercato e
degli interessi dei pochi a discapito di noi molti.
Era anche un voto contro il Jobs Act, contro la buona scuola, il piano casa,
l’ipotesi dello stretto di Messina, contro la compressione di qualsiasi spazio
di partecipazione.
E siamo gli stessi che faranno di tutto per vincere i referendum abrogativi
contro il Jobs Act, dall’articolo 18 ai voucher, la battaglia è la stessa.
Costi quel che scosti noi questa partita ce la giochiamo fino all’ultimo
respiro.
E seppure proverete a far saltare i referendum con qualche operazioncina di
maquillage, state pur certi che sugli stessi temi ci presenteremo alle elezioni
dall’estero e dall’Italia.
Se nel frattempo vuole sapere quali sono le nostre proposte per il mondo del
lavoro, ci chiami pure. Se vi interessasse, chissà mai, ascoltare.