UNA GIORNATA VERGOGNOSA di Gim Cassano del 5 marzo 2010
13 aprile 2010
Qui di seguito, il testo del decreto-salva liste PdL, prontamente firmato da un Presidente della Repubblica che, dopo le incertezze del PD, non ha trovato di meglio che salvar la faccia nascondendosi dietro al bizantinismo dell’aspetto interpretativo, anziché novativo delle norme in vigore.
ARTICOLO 1
Interpretazione autentica degli articoli 9 e 10 della legge 17 febbraio 1968 n. 108.
1. Il primo comma dell'articolo 9 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, si interpreta nel senso che il rispetto dei termini orari di presentazioni delle liste si considera assolto quando, entro gli stessi, i delegati incaricati della presentazione delle liste muniti della prescritta documentazione hanno fatto ingresso nei locali del Tribunale o della Corte d'appello. La presenza entro il termine di legge nei locali del Tribunale o della Corte d'appello dei delegati può essere provata con ogni mezzo idoneo.
2. Il terzo comma dell'articolo 9 della legge 17 febbraio 1968 n. 108 si interpreta nel senso che le firme si considerano valide anche se l'autenticazione non risulti corredata da tutti gli elementi richiesti dall'articolo 21, comma 2, ultima parte, del decreto del presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n. 445, purché tali dati siano comunque desumibili in modo univoco da altri elementi presenti nella documentazione prodotta. In particolare, la regolarità dell'autenticazione delle firme non è comunque inficiata dalla presenza di un'irregolarità meramente formale quale la mancanza o la non leggibilità del timbro dell'autorità autenticante, del luogo di autenticazione nonché della qualità dell'autorità autenticante.
3. Il quinto comma dell'articolo 10 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, si interpreta nel senso che le decisioni di ammissione di liste di candidati o di singoli candidati da parte dell'ufficio centrale regionale sono definitive, non revocabili o modificabili dallo stesso ufficio. Contro le decisioni di ammissione può essere proposto esclusivamente ricorso al giudice amministrativo solo da chi vi abbia interesse. Contro le decisioni di eliminazioni di liste di candidati oppure di singoli candidati è invece ammesso ricorso allo stesso ufficio centrale regionale, che può essere presentato, entro 24 ore dalla comunicazione, solo dai delegati della lista alla quale la decisione si riferisce.
4. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle operazioni e ad ogni altra attività relative alle elezioni regionali, in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto legge. Ai fini dell'applicazione del comma 1 la presentazione delle liste può essere effettuata dalle ore 8 alle ore 16 del primo giorno non festivo a quello di entrata in vigore del presente decreto.
ARTICOLO 2
Norma di coordinamentodel procedimento elettorale.
Limitatamente alle consultazioni per il rinnovo degli organi delle regioni a statuto ordinario fissate per il 28 e 29 marzo 2010, l'affissione del manifesto recante le liste e le candidature ammesse deve avvenire a cura dei sindaci, non oltre il sesto giorno antecedente la data della votazione.
ARTICOLO 3
Entrata in vigore .
Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella «Gazzetta Ufficiale» della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. É fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare.
6 Marzo 2010
Che dire, al riguardo?
E’ innegabile che l’esclusione delle liste PdL avrebbe falsato il risultato elettorale. Ma un sistema democratico, comunque concepito, non si regge senza regole scritte, riconosciute, e fatte rispettare. Questo è uno dei rischi e degli incerti della democrazia. E, ove si vada ad invocare la ragionevolezza del non falsare una competizione elettorale con l’escludere dal voto liste elettorali sicuramente significative che non avevano rispettato i requisiti stabiliti dalla legge, si dovrebbe anche ricordare quanto sia poco rappresentativa la nostra democrazia, senza che ciò abbia suscitato alcuno scandalo nella maggioranza ed in buona parte dell’opposizione.
Due considerazioni sorgono immediate.
Il “pasticcio”, ammesso che così si voglia definirlo, nasce da norme farraginose, suscettibili di interpretazioni discrezionali, e volutamente orientate a render problematica la partecipazione all’elettorato passivo di forze minori e di “new entries”: è nella cronaca dei giorni scorsi la difficoltà che PSI e radicali hanno incontrato nella raccolta e nell’autenticazione delle firme; è in numerose denunce e segnalazioni il mancato adempimento di precise norme di legge da parte di molti comuni italiani circa gli obblighi e la disponibilità degli autenticatori. Ma nessuno si è preoccupato di questo. Se una lista “minore” non raggiungeva il prescritto numero di firme in questa o quella provincia, pazienza: la questione non era rilevante.
Ma, una volta che, per la presunzione di poter esser considerata legibus soluta, la lista PdL è stata esclusa, in base ad un’interpretazione letterale della norma (l’unica possibile, in una democrazia che si fonda su regole scritte), si grida allo scandalo e si ricorre all’ennesimo provvedimento ad listam.
Quanto ieri è stato consumato da un consiglio dei ministri presieduto da un corruttore prescritto è fatto molto più grave delle numerose leggi ad personam che hanno caratterizzato la traduzione del berlusconismo in politica. Perché qui, per la prima volta, si travolge, e solo per interesse di parte, il meccanismo delle norme che regolano il momento fondativo di qualsiasi democrazia rappresentativa: quello elettorale. E, mentre a forze e gruppi minori la partecipazione al voto è seriamente ostacolata, viene imposto, con argomentazioni che non hanno alcun fondamento giuridico, il ripescaggio di chi, con i propri errori, e con il proprio disprezzo delle regole, si era autoescluso dalla partecipazione alla competizione elettorale.
Dopo questo decreto, tutto diviene possibile. Si manifesta una concezione politica fondata sull’arbitrio, più vicina al despotismo orientale che alle tradizioni illuministe dell’Occidente, che svuota alla radice i concetti stessi di democrazia e di Stato di Diritto.
Sia quindi chiaro che con questa gente nessuna condivisione, nessun accordo, nessuna trasversalità è possibile. Chi vuole ripristinare la democrazia non può venire a patti con chi la sta distruggendo. E’, questa, una lezione per il maggior partito dell’opposizione: troppe incertezze ed esitazioni, troppi ammicchi di convenienza, troppe ricerche di un dialogo rinunciatario e perdente in partenza, troppe furbizie ai danni di chi non accettava la logica bipartitica, hanno condotto a questa situazione.