UN SISTEMA POLITICO IMPAZZITO IN ITALIA ED IN OCCIDENTE di Francesco Bochicchio

10 febbraio 2017

UN SISTEMA POLITICO IMPAZZITO IN ITALIA ED IN OCCIDENTE di Francesco Bochicchio

La vittoria di Trump ha fatto saltare ogni equilibrio: è un uomo anti-sistema (ciò, almeno, in apparenza), ma da destra. E’ a favore dei ceti ricchi ma ha avuto il consenso dei ceti deboli. Sono i ceti deboli interni al Paese che vengono da lui favoriti, mentre è contro gli esterni, esterni in apparenza forti o deboli che siano, ma in realtà solo i ceti deboli esterni. E’ l’esaltazione della contrapposizione su base locale e nazionale. Essa può favorire i deboli interni  ma solo quelli dei Paesi forti. L’ottica alla fine è di mero imperialismo, con tolleranza con altri imperi tipo la Russia:  il punto invalicabile è che gli atri imperi od anche nazioni o gruppi di nazioni come l’Europa rinunzino ad un’ottica universalistica, che fa pugno con l’imperialismo, e si rifugino nel particolare: in pratica, si può anche tollerare la coesistenza  tra nazioni che, in caso di disparità di forza tra di loro non marginale, diventa nazionalismo bellicista od addirittura rapporto tra imperi (non a caso la Germania aspira a fare dell’Europa un impero tedesco). Il nazionalismo bellicista ed anche la contrapposizione tra nazioni sono forme di attenuazioni dell’imperialismo o meglio costituiscono forme di limiti di estensione all’imperialismo che resta così parziale, anche se la tendenza generale è verso la coesistenza tra imperi o forme assimilate. Quale che sia lo scenario di riferimento, lo Stato nazione è privo di valore, restando al servizio del capitale interno, con la conseguenza che i valori tipici della destra hanno realizzazione solo parziale, vale a dire nei soli limiti in cui la stessa tutela gli interessi dei ceti ricchi. Nonostante l’ottica protezionistica che caratterizza Trump (e lo ha portato ad annullare il Trattato Trans-Pacifico ed a mantenere bloccato il Trattato Trans-Atlantico), a ben vedere la globalizzazione trionfa incontrastata nei limiti  degli interessi del capitale interno, che a sua volta non incontra limiti (si chiede scusa per il bisticcio di parole) se non quello dei capitali esterni: quello che conta è la dialettica interna al capitale con il trionfo delle sue leggi e dinamiche oggettive; in altri termini, è un’unione perversa tra globalizzazione ed imperialismo.

Trump è, in buona sostanza, anti-sistema solo in apparenza, in quanto in realtà non contrasta la globalizzazione ma prende atto del fallimento delle istanze universalistiche della stessa globalizzazione e, conseguentemente, esalta le tendenze imperialistiche.  Trump è incompatibile rispetto ai valori di civiltà occidentali ed occorre vedere se possa incontrare ostacoli in America. Obama,  prima di lasciargli la carica, ha emanato in serie misure a lui ostili, radicalizzando una tradizione americana sulle modalità di successione tra due Presidenti (non a caso Sergio Romano, grande ammiratore del modello americano, ha criticato il comportamento di Obama come eccessivo rispetto ai suoi predecessori, tentando così di minimizzare la rottura provocata da Trump,  e soprattutto senza mettere in discussione un presidenzialismo senza limiti al Presidente, solo in apparenza nominato dal popolo ma in realtà dai grandi elettori, ed infatti Trump ha preso meno voti popolari della Clinton) , è comprensibile se si pensa che Trump distrugge i valori che hanno fatto grande l’America. In Trump si vede non l’uomo forte, che non esiste, in quanto lo stesso non ha alcuna capacità di trovare risposte che non siano di favore al capitale interno, ma la reazione al sistema, solo che è una falsa reazione, in realtà insussistente, mentre in realtà è solo la consacrazione della  fine dell’universalismo. La destra capitalistica, che con Trump vuole dare potere a Wall Street contro ogni ipotesi di riforma, realizza con lui tale perfetta sintesi tra globalizzazione ed imperialismo. La destra anticapitalistica e populistica che ha individuato in Trump il proprio campione ha preso un abbaglio spiegabile solo parzialmente con la mancanza di sincerità dell’anticapitalismo e del populismo di destra (qui vi è un punto non banale di contrasto tra lo scrivente e Giorgio Galli, con cui si è avviata una ricerca tesa ad individuare ravvisare ipotesi di rinnovamento della sinistra sul piano dello Stato-nazione e del popolarismo come completamento di una logica rigorosamente classista ed egualitaria): la vera spiegazione è rappresentata dall’illusione di vedere nel particolarismo e nel localismo una forma di tutela del popolo. Ma si tratta di illusione generalizzata anche oltre la destra in quanto, venuta meno l’identità tra globalizzazione ed universalismo, manca qualsiasi forma di  sostegno dell’universalismo, essendo d’altro canto crollati la classe ed il lavoro. Tanto vale ripiegare verso la tutela del locale: ma, come visto, è un’illusione. Ed allora, il vero nodo politico di questa situazione impazzita è di favorire un populismo non razzista e non nazionalista: l’unico al momento è il populismo puro a-politico dei 5Stelle. Le incertezze dei 5Stelle al riguardo nell’impostazione della linea politica (più che su profili dubbi a Roma, che fanno ridere rispetto a quelli del centro-destra e del centro-sinistra, è sul vuoto sulla linea politica che sorgono fondate preoccupazioni, ma, il “Corriere della Sera”, quando rimprovera al Movimento mancanza di scelta tra destra e sinistra, si dimentica che proprio da quelle parti si incita al grande centro ed a una sinistra che diventi liberista) e nelle alleanze sia interne sia estere (basti pensare al pasticcio che hanno fatto con oscillazioni tra i  liberisti e Farange). Il populismo a-politico non può virare a destra ma può attirare consensi della destra: non può virare a sinistra che è profondamente incerta sul  popolo e sullo Stato-nazione, ma necessita di essere guidato da questa per una rielaborazione dello Stato nazione in senso non nazionalista nel senso della sovranità popolare e di ancoramento del popolo al lavoro in contrapposizione al capitale. Per concludere, la vittoria di Trump dipende non dalla crisi delle classi dirigenti, ma al contrario dalla mancanza di limiti alle classi dirigenti manovrate del capitale. Non occorre trovare altre “elite” ma al contrario occorre vincolare il potere al popolo. E qui un populismo che si trasformi in  popolarismo e si basi sulla rifondazione popolare e democratica dello Stato-nazione è un punto di partenza imprescindibile.    

 

 

 

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