UN PARLAMENTO COSTITUENTE CON LEGGE PROPORZIONALE di Enzo Paolini da il Manifesto 10 maggio 2017

15 maggio 2017

UN PARLAMENTO COSTITUENTE CON LEGGE PROPORZIONALE di Enzo Paolini da il Manifesto 10 maggio 2017

Il Quirinale potrebbe esercitare una «moral suasion» in due semplici richieste: eliminazione delle preferenze e ritorno al proporzionale, senza premi e soglie.

Ma non si era detto – ripetendo un principio fondato su una basilare esigenza di rispetto democratico – che nell’anno precedente le elezioni non si devono fare leggi elettorali? Il motivo è ovvio ma bisogna rinfrescarsi la memoria e fare un po’ di ginnastica democratica.

Venticinque anni fa, sull’onda suggestiva ed emozionale dello sfacelo di un sistema politico devastato da ladri e corrotti un partito azienda guidato da un tycoon vince le elezioni e prende il potere. Avrebbe potuto semplicemente espellere dal sistema i ladri ed i corrotti e governare meglio, ma la genia politica venuta fuori da questa accecante catarsi non era diversa. Invece di cambiare le persone hanno ritenuto più sicuro cambiare il sistema dicendo agli italiani che il marcio stava li e che semplicemente modificando il meccanismo elettorale tutto si sarebbe risolto. Manfrina ipocrita e gattopardesca per la conservazione.

Avendo una cultura istituzionale che non contempla il dibattito, il ragionamento, la convinzione delle proprie idee ma anche la disponibilità ad essere convinti da quelle altrui, i mandarini di questa nuova forza politica inventano un sistema elettorale che elimina totalmente il cardine sul quale si era retto sino ad allora il sistema politico italiano, quello pensato dall’Assemblea Costituente come assicurazione contro l’uomo solo al comando: il legame stretto e diretto tra il popolo ed i suoi rappresentanti attraverso il voto di preferenza e la composizione del parlamento in maniera proporzionale al consenso espresso dagli elettori.

Ma questo sistema comporta una fatica enorme, quella di fare politica, di discutere, di esprimere pensiero convincente, idee affascinanti, di confutare quelli degli altri, incontrare persone, guardarle negli occhi, farsi carico dei loro problemi. Un compito improbo, fastidioso ed inutile per chi non ha tempo da perdere dovendo badare ai fatti propri facendo finta di curare, in parlamento, quelli di tutti.

E cosi inventano una legge per risolvere il problema: i parlamentari non li elegge più il popolo ma il capo del partito e via, il leader sarà presidente del consiglio ed avrà la fiducia di chi ha nominato lui stesso. Problema risolto.
Però come si dice: il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, ed ecco che gli anticorpi presenti nel corpaccione del Paese, faticosamente si attivano e, dopo lungo tormento e anni di anestesia istituzionale, trovano la strada della Corte Costituzionale, la quale con una sentenza esemplare boccia la legge, denominata Porcellum, perché incostituzionale. Nel frattempo nel Parlamento dei nominati c’è un altro capetto incapace di dialogo politico. E’ giovane e non ha tempo da perdere neanche lui.

Ripete lo schema di venticinque anni prima, evoca la naturale fascinazione per tutto ciò che – a stare a slogan e slides – è nuovo, portatore di cambiamento (senza capire né spiegare se da ciò derivi un miglioramento della società) e, proponendo la parodia del sistema americano delle “primarie”, conquista il partito.
Poi ritenendo che il partito coincida con il Paese, e dovendo per prima cosa fare la legge elettorale come imposto dalla sentenza della Corte Costituzionale, ne fa una peggiore del Porcellum e così, per sovrapprezzo, ci mette pure una riforma della Costituzione.

Anche questa pentola rimane, però, senza coperchio e perciò la minestra evapora in venti milioni di no, ed un’altra sentenza della Corte Costituzionale dichiara incostituzionale anche la legge pomposamente denominata Italicum.
Dunque tutto da rifare, tenendo presente, dopo queste sonore lezioni che il popolo italiano non è bue e che vuole eleggere direttamente i propri rappresentanti i quali dovranno poi svolgere con responsabilità, il ruolo loro assegnato cioè quello di fare politica, discutere, confrontarsi, mantenere gli impegni presi in campagna elettorale in modo che il Paese abbia un governo e delle leggi secondo i processi stabiliti dalla Costituzione.
Pe​r far questo l’unico metodo possibile, ora che siamo a pochi mesi dalle elezioni, è il proporzionale. Perché, come è noto dal tempo di Pericle, le leggi elettorali giuste, quelle che servono per rispecchiare in maniera equa la volontà degli elettori si devono fare quando le elezioni sono lontane e gli autori – quanto più possibile – scevri da interessi personali e di partito.

Ci​ò soprattutto quando si vuole prevedere – in limiti e modi ragionevoli – meccanismi che consentano di assegnare a chi abbia conseguito un certo consenso un numero di seggi aggiuntivi tale da agevolare la cosiddetta governabilità.
Argomento, questo dei pesi e contrappesi istituzionali, delicatissimo e controverso (c’è ad esempio chi pensa che il premio debba essere attribuito alle opposizioni per evitare squilibri e prevaricazioni delle maggioranze) e che deve essere maneggiato con cura e saggezza, non con la superficialità e la spregiudicatezza di chi non conoscere la storia, ma deve fare in fretta.

Se invece si discute di queste regole – come sembra pretendere il capo dello Stato – a poche settimane di distanza dalla loro applicazione, la discussione sarà, inevitabilmente condizionata da tanti fattori: convenienze di partito (il premio di maggioranza a chi va? Alla formazione singola o alle coalizioni? Qual è la soglia oltre il quale si ha diritto al premio? E quella minima di ingresso?) aspettative personali (rimangono le nomine o si ripristinano le preferenze?).
​E siccome il parlamento è tuttora – abusivamente – composto da nominati è facile prevedere che l’unico elemento estraneo alla genesi di questa legge annunciata sarà l’interesse generale. Meglio sarebbe una moral suasion in due semplicissime richieste: eliminazione delle preferenze e ritorno al proporzionale, senza premi e soglie.
Si formerebbe un’assemblea che non potremo definire “Costituente” (perché abbiamo già una Costituzione che stiamo difendendo con le unghie e con i denti) ma potrebbe averne lo spirito. Quello che ci vuole per rigenerare le istituzioni e riconciliarle con tutti noi.

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