UN PARLAMENTO CHE NON CI RAPPRESENTA, di Roberto Biscardini, dall’Avanti! della Domenica n.32 del 24 ottobre 2010
15 novembre 2010
Nessun partito può esimersi dal dire la sua sulla riforma delle legge elettorale. Men che meno si può stare zitti in un momento in cui, finalmente, certe ipocrisie vengono a galla ed incomincia a prevalere la convinzione che ci sia bisogno, se non proprio di stravolgere, almeno di correggere la legge “porcata” del 2005.
Primo. Il passaggio, dopo il ’94, dal proporzionale al maggioritario, per costruire un bipolarismo bipartitico, non ha dato buoni frutti. Il bipolarismo non ha dato prova né di buona governabilità, né di stabilità, nonostante l’amplissima maggioranza parlamentare di cui hanno sempre goduto le coalizioni vincenti. Si è ora capito che i sistemi bipolari, se hanno basi politiche solide, reggono benissimo anche con un sistema elettorale di tipo proporzionale. D’altro lato anche con il proporzionale si fanno coalizioni, che si dichiarano prima del voto e queste reggono anche dopo, a meno di eclatanti orientamenti diversi dell’elettorato. Insomma in Italia, il maggioritario (ben interpretato da Berlusconi) ha avuto come unico risultato, non la governabilità, ma quello di annientare il “centro”. Un “centro” che non è per definizione criminale. Né è stato criminale chi non si è riconosciuto in un bipolarismo che ha sempre subito la logica degli estremi.
Coloro che per anni sono stati colpevolizzati perchè proporzionalisti, oggi sembrano avere una nuova legittimità. Anzi, il diritto di votare un partito, in ragione dei suoi programmi come della sua identità, anziché un semplice candidato di coalizione, è ormai cosa acquisita.
Secondo, la frammentazione. Il paradosso è che dal mattarellum al proporzionale di Calderoli il numero dei partiti non solo non è aumentato, ma si è ridotto troppo. Riducendo di molto la rappresentatività del Parlamento. Scriveva Michele Ainis qualche giorno dopo il voto del 2008: “Un sistema che rappresenta senza decidere è tendenzialmente anarchico; un sistema che decide senza rappresentare è tendenzialmente autoritario. La prima distorsione la conosciamo bene, perché ne abbiamo fatto esperienza durante la legislatura scorsa. Una quarantina di partiti rappresentati fra i banchi delle Camere… Ce ne siamo finalmente liberati, ma per cadere nell’eccesso opposto. Le prove? Facciamo parlare i numeri.
Alle elezioni della Camera ha votato l’80,5 per cento del corpo elettorale; significa che 10.575.785 italiani sono rimasti deliberatamente estranei alla consultazione. Fra quanti hanno deposto nell’urna il proprio voto, si contano 1.391.806 non-voti, perché incartati in schede bianche oppure nulle. Infine altri 3.578.698 voti sono stati sparati a salve, verso liste che non hanno scavalcato la soglia di sbarramento del 4 per cento, sicché non hanno generato nessun seggio. Risultato? 15.546.289 italiani non sono rappresentati da questo Parlamento, per loro scelta o per la tagliola della legge elettorale.
Il vizio d’origine È una cifra enorme, equivalente al 33 per cento dell’elettorato; e tale cifra significa a sua volta che un italiano su 3 “non è di casa nella casa delle istituzioni”.
Questo pone due problemi. Le soglie di sbarramento avrebbero dovuto essere introdotte con maggiore gradualità. Se l’obiettivo è arrivare il 4%, simile al modello tedesco, ci si doveva arrivare per gradi. Quindi meglio passare da una fase in cui lo sbarramento è al 2% per tutti, dentro o fuori dalle coalizioni. Inoltre, un proporzionale senza preferenze è un mostro di immoralità partitocratrica. Al cittadino non si può togliere il diritto di scegliere il proprio candidato. Anzi l’eliminazione della preferenza plurima è stato un doppio errore. Ha esasperato la lotta politica, che la pluripreferenza attutiva ed ha persino penalizzato l’elezione in Parlamento delle donne.
Infine le questione più spinosa: il premio di maggioranza alla coalizione vincente. Come ha scritto recentemente Rino Formica: “Allo stato attuale abbiamo maggioranze parlamentari che non sono maggioranze di voto popolare” e ciò incide “nei meccanismi di garanzia democratica e potrebbe sfregiare la Carta costituzionale in maniera irreparabile”. Formica fa due esempi.
Primo. Con l’attuale legge maggioritaria, “una maggioranza relativa può divenire maggioranza assoluta e pur non rappresentando la maggioranza degli elettori potrebbe riuscire ad evitare lo sbarramento referendario per le modifiche costituzionali.
Secondo esempio: da diciassette anni non occorre più la maggioranza assoluta e qualificata della rappresentanza del voto popolare per eleggere il Presidente della Repubblica, i Presidenti delle Camere, i Giudici Costituzionali, i componenti del Consiglio superiore della Magistratura, e per modificare i regolamenti della Camera… E questo è uno stravolgimento dell’equilibrio della Costituzione”.
Ciò ha una conseguenza precisa: con l’attuale Costituzione il premio di maggioranza può scattare solo quando una lista o un gruppo di liste apparentate raggiungono il 50% più uno dei voti validi.
D’altra parte gli equilibri costituzionali, per tutti coloro che hanno veramente a cuore la difesa della Costituzione, almeno fino quando non sarà cambiata, reggono solo con un sistema elettorale proporzionale e con un sistema elettorale che non assegna la maggioranza parlamentare a chi non ha la maggioranza del voto popolare.