UN’OPPORTUNITA' PER IL SOCIALISMO LIBERALE, di Alberto Benzoni, da L’Avanti! della Domenica n.4, 6 febbraio 2011
12 febbraio 2011
Siamo - assieme alla Lega - l’unico partito ad aver mantenuto la sua ragione sociale lungo tutti questi anni.
Anni per noi difficili e magri. La nostra è stata una lunga traversata nel deserto, dove a prevalere è stata nel fondo la logica della sopravvivenza. Un’esperienza che ci ha segnato tutti; politicamente e psicologicamente.
Proprio per questo è necessario riflettere, insieme, sulle ragioni che ci hanno portato ad intraprendere la marcia, e a proseguirla.
A muoverci sono stati essenzialmente un rifiuto; e due speranze. Il primo aveva a che fare con la “pancia”dei nostri compagni; le seconde con le scommesse sul futuro formulate dai nostri gruppi dirigenti.
Per prima cosa, abbiamo sempre rifiutato l’approdo postcomunista. E per ragioni che, al limite, prescindevano dal merito della questione. Sapevamo che “avevamo avuto ragione”nel confronto con i comunisti; ma che, nonostante questo eravamo stati distrutti da loro, direttamente o, peggio, con il loro consenso. Entrare nel Pds-Pd significava allora riconoscere, implicitamente, che la nostra sconfitta era stata legittima e la nostra fine “oggettivamente”giustificata; cosa che nessuno di noi poteva ammettere. E però il risvolto positivo di questo nostro rifiuto, e cioè il cosiddetto “orgoglio socialista”era una roba assolutamente invendibile all’esterno, ce ne saremmo accorti amaramente nelle elezioni del 2008.
Ci rimaneva, e ci rimane, da scommettere su due eventi esterni. Il primo era il cosiddetto “recupero della diaspora”; il secondo, il riesplodere della “questione riformista”all’interno dello schieramento di centro-sinistra.
Negli anni novanta, e nei primi anni duemila, la grande maggioranza tra di noi avrebbe scommesso sulla prima prospettiva. E però le cose sono andate in modo diverso, anzi opposto.
Di fatto, le ipotesi su cui basavamo la speranza di recupero, si sarebbero sempre più rivelate fallaci. Puntavamo sulla progressiva prevalenza del “craxismo di testa” (“Craxi rinnovatore della sinistra e Mitterrand italiano”) su quello “viscerale” (Craxi teorico dell’esercizio del potere in funzione anticomunista). E’ avvenuto esattamente il contrario (anche perché i “craxiani viscerali”sono stati abbondantemente premiati mentre noialtri siamo stati completamente emarginati). Scontavamo, poi, che, finita la tempesta, i socialisti organizzati e quelli rimasti senza un punto di riferimento collettivo avrebbero ricostituito gli antichi legami. E, invece, quasi nulla di tutto questo; anche perché questi legami non erano poi così solidi…
E, allora, nessun futuro per il socialismo riformista e liberale? Diciamo che la nostra non è una missione impossibile; ma che, per tentare di realizzarla, occorre, per prima cosa, uscire da una transazione perversa, caratterizzata dalla egemonia berlusconiana e dalla incapacità della sinistra di contrastarla.
Oggi, però, i nodi stanno venendo al pettine. E tutte le partite si riaprono. Compresa quella su cui avevamo scommesso lungo tutti questi anni.
Accade così che, nella dissoluzione del bipolarismo coatto e del bipartitismo immaginario, riemergano, in contenitori nuovi, le tradizionali sensibilità. Curioso che l’unica a mancare all’appello rimanga quella del socialismo laico e liberale.
Ma accade anche che la degenerazione del berlusconismo sia giunta al suo punto più estremo e pericoloso con il rischio di portare la nostra società e il nostro stato fuori dall’Europa e dai valori storici che questa rappresenta. E accade, anche e soprattutto, che il Pd viva, in questa fase decisiva, una condizione di afasia che lo rende incapace non solo di incarnare ma persino di proporre, qui, una qualche alternativa al disastro che incombe. E accade, infine, che questa alternativa- all’insegna della ricostruzione dello stato, con le sue regole, le sue istituzioni e la sua capacità di iniziativa e di mediazione con la società, non abbia niente a che fare con le tradizionali divisioni tra destra, centro e sinistra e con gli schemi con cui sono state tradizionalmente gestite.
E, dunque: un berlusconismo giunto nella sua fase terminale e, perciò, più pericoloso; l’opposizione alla ricerca di una idea-forza su cui poterlo sconfiggere alle urne e, infine, un Pd in crisi di consensi perché in crisi di egemonia.
Per noi, e per i tanti rimasti, come noi, senza voce e senza rappresentanza, una grande finestra di opportunità. Per vederla non c’è bisogno di scomodare l’ottimismo della volontà. Basta e avanza quello dell’intelligenza.