UN LIBRO: CHI HA UCCISO OLOF PALME? COSÌ LA SVEZIA PERSE L'INNOCENZA – di Paolo Soldini da Il Riformista del 22 giugno 2007
27 giugno 2007
Biografia. Vita e assassinio del leader socialista nel libro di Aldo Garzia
La mattina del 1° marzo del 1986 Stoccolma era una città piena di paure. Sulla Sveavägen, davanti al cinema Grand, un quadrato ripulito dalla neve e circondato da fiori, cartelli e biglietti indicavano il luogo dove la storia della Svezia aveva subito la più brusca e la più violenta delle sue svolte. Alcuni paesi d'Europa venivano da una lunga stagione di terrorismo, ma ai cittadini di quell'angolo di benessere in testa al continente, lassù, l'infamia era stata risparmiata e loro s'erano convinti d'essere beniamini dell'innocenza. Fino alla sera prima. Fino alle 23 e 18 di venerdì 28 febbraio, quando un uomo alto, con una giacca a vento azzurra e un cappello calato sugli occhi aveva sparato tre colpi di pistola contro Olof Palme che insieme con la moglie usciva dal cinema.
Che l'omicidio rappresentasse una svolta radicale, di quelle che cambiano in profondità la vita di un paese come possono cambiare il destino di un uomo, era chiarissimo nelle risposte che si accumulavano sul taccuino del cronista. E chiaro era il fatto che la morte di Palme veniva considerata un lutto da condividere, sì, con il resto del mondo, con quella vastissima area di consensi planetari per le sue battaglie contro la guerra, in favore dell'uguaglianza e dello sviluppo dei popoli, per il disarmo; ma anche una «cosa svedese», l'amarissima sconfitta di una battaglia combattuta in patria; la fine, forse, di un sogno. Ricordo un vecchio sindacalista che mi portò a un angolo di strada dal quale si vedevano insieme il grattacielo della Casa dei sindacati e quello che ospitava le sedi di rappresentanza di tante aziende importanti, con la stella della Mercedes piantata sul tetto. «Finora - disse l'uomo indicando i due edifici - noi svedesi siamo stati quello e quello, e il nostro Palme era una garanzia che saremmo stati sempre noi a decidere. Ora questa garanzia è morta».
Ha fatto molto bene Aldo Garzia a far iniziare la sua biografia del leader svedese (Olof Palme, vita e assassinio di un socialista europeo, Editori Riuniti, 223 pagine, 15 euro) proprio dall'ultimo atto: dagli spari davanti al cinema Grand. Ha fatto bene per due motivi. Il primo è che la complicatissima vicenda giudiziaria che alla fine si arenò senza certezze sulla possibile colpevolezza di un «balordo» morto a sua volta prematuramente, ha fatto emergere dubbi, che non sono mai stati dissipati, sull'esistenza di un complotto: qualcuno avrebbe lavorato perché Olof Palme venisse ucciso. Dove? In qualcuno dei palazzi del potere di Stoccolma? Oppure all'estero, nel sancta sanctorum di chissà quale servizio segreto?
La sussistenza del dubbio dà già conto, da sé, della svolta epocale (nel senso proprio del termine) che la fine di Palme rappresentò nella politica svedese, avviata con il piano Meidner sui fondi d'investimento dei lavoratori verso un approdo che nessuno poteva ancora prevedere ma che certo a moltissimi non piaceva affatto, e nella politica internazionale, dove venne a mancare, con l'uomo che molti vedevano già seduto sulla poltrona di Segretario generale dell'Onu, un punto di riferimento per una parte importante, e crescente, dell'opinione pubblica mondiale nonché un nemico da mettere a tacere per molti governi (e molti poteri che li sorreggevano).
Perché la figura di Palme, come Garzia spiega con grande dovizia di particolari biografici, corse sempre su questo doppio binario. Fin dall'inizio, da quando il giovane Olof nell'immediato dopoguerra cominciò a girare il mondo indignandosi per le ingiustizie che la storia di quegli anni gli metteva davanti agli occhi (dall'apartheid alla repressione comunista a Praga) e, nello stesso tempo, cominciò a scoprire in casa propria l'arte della politica e la consuetudine con chi la praticava, a cominciare dal suo grande maestro Tage Erlander, alla cui scuola crebbe: ghostwriter e consigliere, deputato, dirigente di partito, ministro e infine, solo quarantaduenne, primo ministro.
Nella personalità «doppia» di Palme non c'erano scissioni. Le sue due anime convivevano dentro la stessa idea, che era quella socialdemocratica. Palme, come Willy Brandt e Bruno Kreisky, i «fratelli ideali» con cui formò dagli anni '60 agli anni '80 una triade mondialmente riconosciuta, era una sorta di incarnazione della socialdemocrazia europea. Di una professione politica che faceva propri i valori della giustizia sociale e dell'eguaglianza tra gli uomini e rifiutava il comunismo, condannandone non solo i tratti illiberali ma l'essenza totalitaria. Olof Palme fu un uomo di sinistra, e seppe essere anche radicale in molte sue scelte, sia interne che internazionali. Ma, pure nei momenti in cui le circostanze lo portarono a schierarsi sullo stesso fronte in cui c'erano l'Urss e i partiti comunisti, come per esempio sulla guerra del Vietnam o sugli euromissili, tenne sempre fermo il principio di una differenza di fondo, irriducibile, tra il comunismo e il socialismo sui valori della libertà, del rispetto dei diritti umani e della pratica della democrazia politica.
Che sia stato un leader molto amato dai suoi concittadini e da un vasto schieramento di forze progressiste nel mondo è un fatto. Ma Garzia ci mostra anche quanto potesse essere odiato; di quali indegne campagne fu oggetto, in patria, specie quando, obbedendo alle proprie ispirazioni, cercò di attuare una politica economica e sociale di sinistra. Come fu il caso più volte in materia fiscale e come avvenne più che mai a cavallo dell'adozione del piano Meidner sui fondi di investimento dei lavoratori, una misura che, secondo la destra e il mondo dell'impresa, avrebbe fatto uscire la Svezia dall'economia di mercato e dal «mondo occidentale». Né va dimenticata l'ostilità che suscitò, in patria ma soprattutto all'estero, e massimamente negli Stati Uniti, la creazione della Commissione Palme che, facendo seguito alla Commissione Brandt sulla riforma dell'Onu, elaborò una serie di proposte per la creazione di un'area di sicurezza demilitarizzata nell'Europa centrale.
Olof Palme era, insomma, un uomo schierato. Un dirigente politico che era capace di muoversi sulla scena con grande abilità, cercando alleati e sapendo ascoltare la voce del paese, ma animato da una coerenza della quale, ancor oggi, la politica europea, non solo quella di sinistra, avrebbe un gran bisogno. A Garzia va il riconoscimento di avercelo ricordato.