UN INCREDIBILE SCHIAFFO AL NO di Paolo Bagnoli

24 dicembre 2016

UN INCREDIBILE SCHIAFFO AL NO di Paolo Bagnoli

Un incredibile schiaffo al no Da critica liberale 19 dicembre 2016 paolo bagnoli Ciò che è avvenuto a seguito del risultato referendario ha dell’incredibile. A un Paese che per il 60% ha rigettato il progetto di riforma costituzionale del governo di Matteo Renzi, si è risposto con un governo del SI’. Il ministero Gentiloni, infatti, per il contesto nel quale è nato e per come è formato, equivale al cappello che il presidente cacciato dal popolo italiano ha lasciato sulla sedia per tenerla occupata nell’attesa sperata di riprenderne possesso. Diciamo la verità: è una vergogna. L’altra verità è che le preoccupazioni per la sorte del Pd hanno avuto la meglio su quanto il Paese ha chiesto: vale a dire, una svolta politica sostanziale che rimetta in moto una processualità di ricostruzione istituzionale della “politica democratica” – e non si tratta di forma, naturalmente – la cui assenza segna, oramai, un periodo ben più lungo di quello della dittatura fascista. Il risultato del referendum, infatti, ha consegnato al Paese l’occasione di una ripresa di coraggio nelle capacità della democrazia repubblicana, ma queste non sono certo rappresentate da un governo di sala di attesa quale quello Gentiloni la cui forza consiste solo nel non averne nei giochi del suo partito. Il significato del voto è chiaro e ci saremmo aspettati che il Presidente della Repubblica lo cogliesse nella sua essenza invece di regalarci un pasticcio che non è una risposta e ponesse in essere un tentativo serio di nuovo inizio con la formazione di un governo istituzionale, di responsabilità repubblicana che, archiviando la lunghissima sfibrante decoazione della nostra vita pubblica, ricollocasse la politica dentro un processo ricostruttivo della democrazia italiana e della intima moralità che deve sostenerla. Il Paese lo ha chiesto, ma si è detto no in salsa neodemocristiana, paludato da esigenze e necessità fittizie che aggiungeranno negatività al già tanto negativo accumulatosi in poco più di due decenni. Le questioni particolari del Pd sono state anteposte a quelle dell’interesse generale. Il presidente Mattarella ci sembra essergli andato incontro; forse, anche ai suoi esponenti ha detto quanto va ripetendo nelle periodiche visite ai terremotati: “non vi lasceremo soli, ricostruiremo tutto.”! Il presidente cacciato, segretario di un partito che vorrebbe, non riuscendoci, a essere “sistema”, dopo la sceneggiata, invero pietosa e macchiettista dell’addio, continua a muoversi per riprendersi il governo e con esso il Paese. Lo strumento dovrebbe essere una resa dei conti plebiscitaria da giocarsi nel prossimo congresso. Non a caso lo si vuole prima 057 19 dicembre 2016 6 possibile sperando in una legge elettorale che il Pd cercherà, come peraltro per l’Italicum, di tagliare sulle sue esigenze. La vocazione maggioritaria continua. Non sappiamo, in effetti, cosa possa succedere. Infatti, se il Paese ha cacciato Renzi, l’accoppiata di questi con le decisioni di Mattarella, ha ulteriormente indebolito il luogo principe della democrazia, cioè il Parlamento, considerato che Gentiloni si è presentato in aule con larghi vuoti i quali, piaccia o non piaccia, non segnano solo una modalità di opposizione al governo, ma lacerano la funzione stessa di legittimità del Parlamento. È anche sorprendente, inoltre, che negli interventi alla Camere, Gentiloni abbia fatto praticamente finta di niente, intessendo discorsi lunari. Perfino la parvenza della dignità istituzionale è parsa latitare; le intenzioni programmatiche si sono limitate a richiamare la priorità del lavoro e la condizione del Sud. Il lavoro, già, dal momento che i voucher del Jobs act hanno creato ancor più precariato. Sul settore incombono poi i tre referendum proposti dalla CGIL e sottoscritti da tre milioni di cittadini. Sulla loro ammissibilità la Consulta inizierà a discutere l’11 gennaio 2017. I referendum puntano a cancellare la modifica dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori, vale a dire la possibilità di licenziamento; ad abrogare le disponibilità che limitano la responsabilità in solido di appaltatore e appaltante in caso di violazioni a danno del lavoratore e, infine, a cancellare i richiamati voucher, ossia i buoni lavoro per il pagamento delle prestazioni accessorie. Il Jobs act è a rischio smantellamento ed era stato presentato come un fiore all’occhiello del governo Renzi. Si può immaginare la situazione se, dopo la bocciatura della nuova Costituzione, la Consulta dichiarasse ammissibili le proposte di referendum e decidesse di farli votare in primavera. Dalla sconfitta, per il Pd, si potrebbe passare alla disfatta; così, anche per scongiurare il pericoloso appuntamento, Renzi vorrebbe che si votasse prima, tra quattro o cinque mesi. Tornato a casa ha dichiarato, abbandonata per una volta la falsa burbanza del masaniello che la sa lunga: ”Nessuno ricorda cosa abbiamo fatto in mille giorni, robe mai fatte in dieci anni. E non c’è uno che mi renda almeno l’onore della armi.” Affermazioni buttate là perché è vero che quello che ha fatto lui non solo in dieci anni, ma nemmeno in oltre mezzo secolo, nessuno aveva tentato: stravolgere la Costituzione e pensare in contemporanea una legge elettorale quali due gambe a sostegno del suo disegno; ossia di se stesso quale dominus della politica praticata e dello Stato. Non è vero, poi, che non abbia avuto l’onore delle armi quando si legge - se pure all’interno di un ragionamento in cui si ammette che il partito in quanto tale non esiste - quanto dichiarato, due giorni dopo il risultato, un uomo politico di lungo corso quale Vannino Chiti, non un renziano stretto, ma da comunista di scuola nemmeno abituato, alla fine, a porsi contro il segretario di turno del suo partito. Chiti ha dichiarato – e c’è voluto coraggio per un uomo sicuramente prudente quale è il senatore toscano – che “Renzi è uno dei leader più forti della sinistra europea.” 057 19 dicembre 2016 7 Torniamo al governo. Una delle ragioni della fretta invocata da Mattarella per ridare un ministero al Paese era il Consiglio dei 28 capi di Stato e di governo della UE del 15 dicembre scorso: quello nel quale si dovevano prendere delle decisioni sull’immigrazione. L’Italia doveva dare battaglia nella pienezza del proprio quadro istituzionale.ma le richieste di Roma sono state del tutto disattese e quanto Gentiloni ha dichiarato al rientro a Roma fa cadere le braccia: gli avevano consegnato i saluti da portare a Renzi. In Parlamento è sembrato quasi che il governo facesse una dichiarazione della propria impotenza senza avere l’onestà intellettuale di dire al Paese il proprio pensiero sulla situazione della Repubblica dopo il referendum e di quanto racchiuso nel suo risultato, preoccupato solo di dare a Matteo Renzi omaggi di stima per il suo comportamento, invero fuori misura. Quasi che l’esecutivo varato da Mattarella si scusasse per il fatto di esistere augurandosi tutti che Renzi continui a governare; bastava solo si mettessero a cantare: ”torna, sta casa aspetta te”!. In tale triste scenario le furbate continuano a imperversare. Ci sbaglieremo, ma il comportamento di Verdini ci sa tanto di combinato disposto tra lui e Renzi poiché i voti che il gruppo verdiniano ha al Senato possono essere utilissimi per staccare la spina a Gentiloni Renzi ritenga di farlo. Inoltre perché, oggettivamente, l’entrata di uno dei suoi nel governo avrebbe quando dato nuovi stringenti argomenti all’opposizione bersaniana. Riteniamo, tuttavia, che la compensazione possa avvenire tramite la legge elettorale che, nelle loro intenzioni, dovrebbe prevedere un premio di maggioranza alla coalizione. Allora, considerata anche l’iniziativa di Pisapia che si propone di unire la sinistra fuori dal Pd, si intravede un connubio con il partito renziano al centro, Alfano, Verdini e Casini sulla destra e Pisapia sulla sinistra sempre che l’ex-sindaco riesca nel proprio intento. Una parte della sinistra fuori dal Pd – Sinistra Italiana – sta strutturandosi dopo la decisione di Sel di sciogliere i ranghi ed è una presenza che l’operazione Pisapia non contempla. L’occhio sul futuro, però, non deve farci perdere l’attenzione sul presente perché il dato politico del NO vincente non può essere lasciato cadere e non c’è, al momento, nessuna forza che possa porsi a riferimento di quanto di democraticamente omogeneo il NO contenga. Lo sforzo, ora, deve essere di far germogliare in termini di politica pratica il senso politico di quel risultato cercando di articolare un’aggregazione alla quale possano fare riferimento – e, per intenderci, ricorriamo a formule gloriose del passato - sia quelli della “rivoluzione liberale” che quelli della “rivoluzione democratica” ramificando nel Paese punti di riferimento di cultura e di soggettività politica. Le energie ci sono, singole o facenti capo a riviste, circoli, cenobi intellettuali e così via; si provi a fare uno sforzo per mettersi insieme cercando di far prevalere ciò che unisce rispetto a quanto divide; in fondo il NO ha fatto intravedere che l’idea di un’Italia “comune” c’è ed è meno esangue di quanto si potesse pensare. 

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