UN’IDENTITA’ SOCIALISTA DA RICOSTRUIRE, di Alberto Benzoni, dall’Avanti! n.14 del 16 maggio 2010
03 giugno 2010
L’ONU, tramite varie Onlus, ha deciso e avviato, a partire dai paesi poveri dell’Africa subsahariana,
un vasto programma di distribuzione di carte d’identità ai cittadini che ne sono sprovvisti. L’idea alla base del progetto è che una persona, per avere o poter rivendicare diritti, deve, per prima cosa, essere formalmente riconosciuta.
Ora, lo stesso principio vale anche per un partito politico.
E, allora, conterà molto poco l’immagine che, nel caso specifico, i socialisti avranno di se stessi; mentre sarà determinante la loro capacità di essere identificati dagli altri (dalle formazioni politiche alleate alla pubblica opinione).
Il segreto, in questo caso, sta nel “vendere” all’esterno la propria identità interna.
Un’operazione riuscita brillantemente per la Lega e l’Idv e, nel peggiore dei casi, suscettibile di garantire la permanenza nel tempo a Verdi e neocomunisti di varia obbedienza.
A noi questa operazione non è riuscita. Perché non poteva riuscire. Perché la nostra identità, psicologica prima ancora che politica interna, quella in sintesi, di “eredi buoni” del socialismo craxiano, era semplicemente invendibile, fuori dalla nostra cerchia e nell’area in cui avevamo deciso di stare, quella di centrosinistra.
I nostri gruppi dirigenti sono stati, del resto, perfettamente consapevoli di tale situazione. La loro, diciamo così, colpa è stata però quella di cercare un rimedio all’esterno, adottando, via via, le identità dei nostri successivi alleati: ‘nuovisti’ con Segni, ‘cattolici popolari’ con Martinazzoli, ‘sinistra moderata’ con Dini, ‘ambientalisti’ con la Francescato, ‘ulivisti’ con Prodi, ‘laici e socialisti liberali’ con Pannella, ‘socialisti europei’ con Angius, ‘sellini’ con Vendola.
Nessuna di queste operazioni è andata in porto. E oggi ci troviamo con undici anni sulle spalle nella stessa condizione di quindici anni fa.
E allora il nostro congresso si trova di fronte a due problemi resi più difficili per il fatto di non essere mai stati seriamente affrontati in passato.
Il primo è quello della nostra strategia, dei nostri obiettivi generali e del nostro ruolo (cosa significa chiamarsi socialisti nell’Italia di oggi?) nel contribuire a realizzarli.
Il secondo è quello dei mezzi: e cioè delle iniziative che dobbiamo e possiamo mettere in campo nella situazione estremamente difficile in cui ci troviamo.
Affrontare con onestà questi due problemi, insomma guardare a noi stessi, è la cosa meno autoreferenziale che ci sia. Autoreferenziale è affrontare i problemi nazionali pur sapendo di non poter essere in grado di contribuire a risolverli. O ancora spacciare “l’orgoglio” socialista come garanzia della nostra identità.
O, infine, invocare il 2% come una specie di maledizione divina che ci impedirebbe non solo di presentarci da soli ma anche di pensare e di agire in modo autonomo. Mentre così non è.
In definitiva, una nota di speranza. La ricostruzione di una identità esterna non è una missione impossibile.
E, se appare, qui ed oggi, difficile e complicata è semplicemente perché non ci siamo mai posti veramente questo problema.