UN FORTE PARTITO SOCIALISTA (CHE ADESSO NON C’È) SERVE ALL’ITALIA E ALL’EUROPA di Roberto Biscardini da Critica Sociale novembre/dicembre 2023.
14 dicembre 2023
L’idea che molti di noi hanno perseguito in questi anni di
ricostruire una forza socialista nel nostro paese non è morta. Perché è una
necessità e ne sentiamo la mancanza. Perché senza un partito socialista la
sinistra non esiste.
L’abbiamo fatto nella consapevolezza che non c’è nessuna
ragione al mondo per abbandonare il pensiero socialista e che sono ancora vivi
gli attrezzi anche ideologici necessari per poterlo fare: la critica al
capitalismo come fondamento della nostra esistenza; l’emancipazione del mondo del lavoro come
obbiettivo prioritario del nostro impegno quotidiano; la difesa della pace contro
la cultura della guerra, anticamera delle destre e del fascismo in Italia e nel
mondo.
Solo
così si spiega ancora oggi l’esistenza di tanti circoli, associazioni,
fondazioni, riviste e testate giornalistiche nazionali e locali che operano nel
territorio, come avamposti operativi, fiammelle di resistenza di un socialismo
del futuro.
Piccole
organizzazioni politiche, nuovi segnali, uomini e donne, giovani e meno giovani
che, anche fuori dai partiti, non smettono di vivere di fatto la propria
esistenza da socialisti, e la praticano più o meno consapevolmente nei luoghi
di lavoro, nelle università, nei sindacati, nel sociale e nelle istituzioni.
Ma
tutte queste realtà pur importanti non sostituiscono il bisogno di un movimento
politico socialista, anticipatore di un’organizzazione politica come può
esserlo solo un vero partito.
Un
movimento da costruire con il contributo di chi ci sta, partendo da interessi
concreti, esperienze politiche, formazioni culturali e storie personali diverse.
Partendo dal bisogno di giustizia e libertà delle persone.
Un
insieme di energie che pur senza una rappresentanza politica ancora riconoscibile
fanno molto, estranee a vecchi rancori e a vecchie diffidenze, guardando avanti
con generosità e intelligenza, nella prospettiva di un “socialismo largo” in
grado di integrare le istanze del popolo unico della sinistra democratica.
Energie
che operano affinché la gravissima situazione in cui ci troviamo, e nella quale
si sono infilati l’occidente, l’Europa e l’Italia, possa cambiare. Coscienti
che bisogna evitare gli errori commessi in passato. Quelli che la sinistra ha
compiuto negli ultimi decenni facendo prevalere lo spirito di autoconservazione
delle singole forze politiche. Una politica miope e perdente che ha prevalso
sulla necessità di perseguire obiettivi comuni, di avere orizzonti più grandi e
di essere alternativa alla destra.
Una
sinistra che da un lato ha consentito alle forze capitalistiche di stravincere
e alle forze reazionare di tornare a prendere il sopravvento. Dall’altro una
sinistra che è stata incapace di unirsi anche nei momenti in cui le leggi
elettorali di tipo maggioritario imponevano alleanze di coalizione come unica
soluzione per battere la destra.
Il
caso italiano è esemplare. Abbiamo, dopo il fascismo, dopo 75 anni, consegnato
il paese al primo governo di destra-destra della storia repubblicana. L’abbiamo
fatto per incapacità di elaborare e praticare politiche convincenti anche
quando la sinistra ha avuto responsabilità di governo.
Dalle
riforme elettorali ed istituzionali che hanno via via indebolito la nostra
democrazia, alle politiche economiche e sociali che ci consegnano ora un paese
con un’economia ferma da almeno vent’anni, un debito pubblico sul Pil tra i più
alti di Europa, con la più alta evasione fiscale, con una debolissima capacità
di investire in infrastrutture produttive. Con sei milioni di cittadini che
sopravvivono con poche centinaia di euro al mese.
In
un paese in cui il popolo che ha più bisogno, e che per quasi un secolo abbiamo
pensato che avrebbe dovuto sentirsi naturalmente rappresentato dalle forze
della sinistra, ha cambiato campo. Un popolo di sinistra che da anni non vota
più o vota persino a destra.
Ceti
popolari e ceti medi sui quali pesano maggiori diseguaglianze e ingiustizie,
che perdono continuamente terreno e si impoveriscono di continuo, che non si riconoscono
più nelle forze politiche che dovrebbero essere più predisposte a tutelarli.
Per
questo bisogna cambiare rotta ed evitare che sia ancora la sinistra a regalare
alla destra una maggioranza parlamentare e di governo che non ha nel paese.
Ma
se l’obiettivo della ricostruzione di un partito socialista è chiaro, più
complesso può apparire il percorso per costruirlo in tempi ragionevoli, se non
si parte dalla realtà. Dal bisogno di dare voce a chi non ce l’ha. Dalla
necessità di colmare la distanza che separa la politica dal bisogno reale delle
persone. Cogliendo in positivo tutto ciò che pur si muove. Affrontando in modo
serio le ragioni della crisi delle culture politiche tradizionali, dopo una
lunga fase nella quale sembrava scomparsa l’idea che solo sulla rinascita di
partiti dalla chiara identità si possa restituire al paese democrazia e
giustizia. Ma senza partito non c’è identità.
Ecco
perché, nel bene e nel male, l’identità di tutti coloro che hanno tentato in
questi anni di tenere viva l’idea socialista si identifica ancora con la storia
del PSI morto nel 1993.
E
non è un caso che nonostante tanti sforzi l’opinione pubblica non conosca altro
socialismo italiano se non quello praticato dall’allora PSI.
Evidentemente
questo non basta, anzi rende più difficile il nostro impegno. La questione
socialista, per stare nella contemporaneità, e per essere identificabile come
tale, ha bisogno di nuovi contenuti, di un movimento politico largo e di un
nuovo partito socialista organizzato. Un partito che si identifica in un popolo
e in una classe dirigente in grado di andare ben oltre, per dimensioni ed
elaborazione politica, agli attuali partiti del centrosinistra. In un rapporto
stretto con il sindacato. Espressione di un socialismo concreto e
“materialista”, con una piattaforma alternativa al modello postdemocratico che
ci propone la destra illiberale e revanscista.
Per
passare da una fase in cui la sinistra da semplice forza di opposizione diventa
vera e propria forza di contestazione.
Per
affrontare seriamente la questione democratica e il tema della pace, che si
legano insieme. Le guerre e la cultura della guerra favoriscono le destre
autoritarie e reazionarie in tutto il mondo. La crisi democratica e il venir
meno di un controllo democratico dei popoli favoriscono l’espandersi dei
conflitti alimentati dagli interessi economici e finanziari del mondo
capitalistico. In un momento in cui prevale l’indifferenza degli Stati e delle
persone, l’individualismo contro la solidarietà.
La
contestazione è sulle questioni istituzionali. A distanza di trent’anni dalla
riforma che ha introdotto prima l’elezione diretta dei sindaci oggi trasformatisi
in piccoli podestà, e poi l’elezione diretta dei presidenti di Regione
comunemente chiamati governatori, la destra ci propone il premierato
all’italiana, una specie di sindaco d’Italia, di cui non si sente assolutamente
il bisogno. E la contestazione non può non affrontare le questioni del lavoro e
la battaglia per l’aumento dei salari. Contro ogni provvedimento che aggrava le
condizioni economiche e sociali delle famiglie. In difesa dei lavoratori,
contro la povertà e contro le condizioni di lavoro in schiavitù. Per stare
dalla parte degli operai anche se la “classe” non c’è più. Contro ogni forma di
prevaricazione dell’uomo sull’uomo. Contro la disumanizzazione del lavoro e la
deprofessionalizzazione dei lavoratori. Contro un mercato del lavoro che ha
ridotto ai minimi termini l’autonomia e la libertà della forza lavoro.
Alle
soglie delle prossime elezioni europee, un primo banco di prova di questa nuova
prospettiva è verificare subito la reale disponibilità delle forze politiche,
sociali e sindacali ad affrontare insieme, il tema della costruzione di una
grande forza della sinistra democratica europea.
Per
due ragioni. Perché le elezioni europee si devono tenere sulle politiche
europee, non solo sulle cose di casa nostra, riaprendo così un canale di
collegamento virtuoso con il proprio popolo. E perché le grandi questioni
europee come la pace, il lavoro, la crescita e l’immigrazione, potranno trovare
una risposta positiva solo se si coniugano con la grande questione democratica.
Creando le condizioni affinché, a fronte di una destra che nel prossimo
parlamento europeo vorrebbe stravincere contro i socialisti, ci sia una forza
democratica e socialista molto più forte e coesa, in grado di superare le tante
debolezze manifestate in questi anni da un’Europa oggi sulla soglia della
disgregazione. Per un’Europa più autonoma e indipendente, dopo essersi infilata
sul terreno “minato” dell’occidentalismo e dell’atlantismo, della tecnica e
della finanza senza politica, persino in contraddizione con le sue stesse
esigenze economiche e di crescita.
Un’Europa
che ha accettato che le politiche neoliberiste prevalessero sul modello di
sviluppo del Welfare State europeo ha messo in discussione i diritti sociali
che davamo per acquisiti e l’attacco al Welfare State si è identificato con
l’attacco ai socialisti.
Come
dire, il continente del “moderno e della civiltà”, il continente della pace,
della libertà e della socialdemocrazia si è ridotto ad essere il continente,
per giunta sempre più marginale, dei capitali finanziari. Il continente del
riarmo e della guerra, a volte persino a caccia dei pacifisti.
A
noi il compito di stare dalla parte di quel popolo europeo che mai come in
questi anni è stato inascoltato. Quello che scende nelle piazze in nome dei
diritti, della giustizia e della libertà. Che scende nelle piazze per il
bisogno di cambiamento e la voglia di contestazione. Una nuova forza
democratica nella quale i socialisti possono identificarsi con lei, e lei con loro,
è sicuramente il primo segnale per dimostrare che dalla barbarie della destra
si può uscire. E che il socialismo, che è stato il “sole dell’avvenire” di
intere generazioni, non è scomparso.