UN CONTRIBUTO DI ALBERTO BENZONI SUL TEMA DELLA RIFORMA ELETTORALE – 26 marzo 2007
02 aprile 2007
L’attuale discorrere sulla legge elettorale è pieno di trappole e di riserve mentali. Ci si dice che cambiarla è necessario ed urgente, ma non si spiega perché. E, all’interno di questo discorso, da una parte si indicano i requisiti della legge che si auspica, ma senza indicare a quale dispositivo corrispondano questi requisiti, mentre dall’altra si parla di continuo di nuovi modelli (francese tedesco, spagnolo) ma senza illuminarci sulle ragioni per le quali si propongono.
Riteniamo quindi opportuno provare a chiarire, tra di noi, i termini della questione: insomma ciò che garantiscono e ciò che non garantiscono i vari modelli oggi in discussione, sotto il profilo: a) del mantenimento del sistema bipolare; b) della formazione di maggioranze politico-programmatiche coerenti e perciò efficaci; c) della rappresentanza delle varie forze politiche e d) della facoltà degli elettori di scegliere.
Il nostro sarà un esame obiettivo, ma non asettico. Indicheremo, infatti, in conclusione, il modello che ci pare più funzionale all’affermazione del nostro progetto politico. E’ un esercizio praticato da altri; e non si capisce, allora, perché non dovremmo praticarlo anche noi.
1. Il sistema attuale _ L’attuale legge elettorale è stata denunciata, dal Presidente del Consiglio e da quasi tutti gli esponenti della maggioranza, come la peggiore possibile. In realtà – data l’attuale distribuzione dei voti tra i due schieramenti – era l’unico che potesse garantire una maggioranza per l’Unione, alla Camera come al Senato. Nessun altro sistema (almeno tra quelli oggi in discussione) avrebbe potuto conseguire lo stesso risultato.
Si aggiunga – altro punto favorevole al bipolarismo e al ruolo centrale del Presidente nella sua gestione – che l’attuale sistema sviluppa la logica delle coalizioni contrapposte sino alle sue estreme conseguenze. Per vincere è infatti necessario che la coalizione coinvolga tutti; sulla base di un programma insieme generico ed omnicomprensivo; e garantendo un ruolo di governo a tutti i firmatari dell’intesa.
In questo “bipolarismo obbligato” si lamenta, da parte dei suoi sostenitori, la proliferazione dei partiti rappresentati in Parlamento e, come dire, la loro possibilità di ricatto; e infine, il fatto che gli elettori non sarebbero in grado di scegliere i loro rappresentanti.
Si tratta però di difetti che possono essere facilmente corretti. Alla proliferazione potrebbe rimediare una ragionevole introduzione dello sbarramento: diciamo intorno al 4% (ciò porrebbe problemi ad alcuni partiti dell’Unione – Rosa nel pugno, Udeur, Italia dei Valori, Verdi, PdCI; ma attenzione, non all’Unione nel suo complesso, che potrebbe sempre fruire del premio di maggioranza). E, a evitare ogni possibilità di ricatto, sarebbe sufficiente calcolare il premio di maggioranza – al Senato – su base nazionale anziché regionale. Infine. Se ci si preoccupa della “sovranità dell’elettore”, basterebbe reintrodurre il voto di preferenza alla Camera; e, perché no, le candidature nei singoli collegi al Senato. In tal modo il cittadino sarebbe in grado: di scegliere tra due candidati alla Presidenza e due schieramenti politici; di votare per il partito e anche per i candidati di sua fiducia.
Ora, un sistema siffatto dovrebbe essere in grado di soddisfare tutti. Sia coloro che insistono nella difesa dell’attuale sistema bipolare (quello del bipolarismo preventivo e coatto); sia quelli che puntano all’autonoma presenza delle varie formazioni politiche.
Ma non è così. A proporre le correzioni dell’attuale legge è il solo Berlusconi. Altri dicono di no (e sono quelli, come l’Udc, che contestano il sistema bipolare); altri tacciono (come i vertici dell’Unione) senza motivare le ragioni del loro silenzio rifiuto. Perché?
2 . Il modello referendario _ Come è noto Segni, Barbera, con l’incoraggiamento aperto o “sottotraccia” di molti altri, propongono un sistema elettorale che attribuisca la maggioranza assoluta dei seggi alla lista che abbia ottenuto la maggioranza relativa dei voti (così l’Ulivo, con il 31% del 2006, avrebbe ottenuto il 55% dei seggi).
Una proposta assolutamente senza precedenti. A meno di accettare come tale la legge Acerbo del 1923. Nel senso più neutro del termine: una vera e propria mostruosità. Politicamente, dunque, una minaccia politica; non una proposta che abbia qualche possibilità di essere accettata.
E la minaccia non è quella di una coalizione nei confronti dell’altra; o dei “moderati” delle due coalizione nei confronti delle rispettive estreme; ma piuttosto dei partiti maggiori nei confronti degli altri, all’interno dei due schieramenti.
Una linea, attenzione, che non ha niente a che fare con la contrapposizione bipolare; ma che passa piuttosto attraverso una intesa tra Prodi/Fassino/Rutelli e Berlusconi-Fini volta a garantirne il dominio sull’”aree di competenza”.
Difficile condurre più ancora è concludere l’operazione alla luce del sole. Anche perché avrebbe un effetto dirompente, e da subito, all’interno dei due schieramenti.
Contraddicendo, insieme, non solo al “bipolarismo preventivo” sul futuro; sua anche la logica politica del bipolarismo di coalizione, qui ed oggi.
L’obbiettivo di rafforzare il peso dei partiti più forti può, comunque, essere raggiunto con altri sistemi elettorali. In qualche misura, con il proporzionale corretto; più drasticamente con il doppio turno alla francese.
3. Il proporzionale corretto Alla base di questo modello – che in Spagna, come in Grecia – ha consentito la formazione di governi politicamente omogenei; almeno nel senso di essere liberi dal condizionamento delle estreme – la drastica riduzione nella dimensione dei collegi elettorali (che in Spagna coincide addirittura in quelle delle province). In tal modo, le formazioni minori (ad eccezione di quella, ancora in Spagna, di tipo regionalista) vedono drasticamente ridotta la propria rappresentanza; a tutto vantaggio delle formazioni maggiori; e senza che queste ultime debbano ricorrere al meccanismo del “premio di maggioranza”.
Un’ipotesi, però, difficilmente attuabile sul nostro sistema politico. E per due ragioni: perché, oggi come oggi, la aggregazione “moderata” FI/AN ha quattro punti di vantaggio sul PD prossimo venturo; e, ancora, perché a sparire dal Parlamento sarebbero tutte le formazioni minori del centro-sinistra (ad eccezione di RC) mentre conseguirebbero seggi sia la Lega che l’UDC. E, dunque, il centro-sinistra non avrebbe alcun interesse a percorrere questa strada; e in nessuna delle sue due componenti.
4. Il doppio turno alla francese Il sistema si può definire, sinteticamente, secondo questa parola d’ordine: “al primo turno si sceglie; al secondo si elimina”. Principio che, come è noto si applica sia alle presidenziali che alle legislative.
E dunque, al primo turno si possono presentare tutti, in rappresentanza di un partito o di una “sensibilità”. Mentre, al secondo rimangono in lizza alle presidenziali i due candidati più votati e alle legislative, assieme ai primi due, tutti quei candidati che abbiano superato la soglia minima (in Francia, parecchio alta: il 12,5% degli iscritti).
Un sistema che, in linea di principio, presenta almeno tre vantaggi: incoraggia, anzi premia, il radicamento territoriale attraverso il voto alla persona; comporta, al primo turno, un confronto aperto tra le diverse sensibilità politiche anche all’interno dello schieramento di appartenenza; implica, infine, al secondo turno una disciplina ”repubblicana” o “moderata” con tutti i rischi e i vantaggi di una soluzione che è, in definitiva, sempre il frutto di una libera scelta.
E, dunque, prima confronto aperto e poi libera aggregazione dei due schieramenti; il tutto sullo sfondo di un forte rapporto tra eletto e territorio.
Pure il sistema ha il difetto incriminabile di essere fortemente penalizzante, direi radicalmente penalizzante e verso tutte dico tutte le forze politiche minori; di più di cancellare la presenza parlamentare dei partiti che, per diverse ragioni (lepenisti, trotokisti, verseforzisti), rifiutano di essere incasellate sullo schema destra-sinistra o vengono dichiarati, comunque “off limits”.
Un sistema che ha vissuto la sua grande stagione negli anni sessanta e settanta, quando a destra e a sinistra, si misuravano formazioni, e quindi linee politiche di uguale consistenza: gollisti e giscardini, socialisti e comunisti.
Oggi i secondi sono stati assorbiti – nel centro destra – dai primi, mentre i comunisti sopravvivono solo grazie al radicamento dei loro esponenti in pochi e sempre più ridotti “bastioni”ò gli altri, da Le Pen ai partiti minori del centro sinistra sono, a tutti gli effetti, praticamente scomparsi: salvo alcuni (pochissimi) candidati che abbiano avuto il “via libera” da un accordo con il Po.
Inutile sottolineare che in Italia l’annullamento delle rappresentanze dei partiti minori, in particolare sarebbe ancora più totale: in base ai dati del 2006 dopo il 31% del PD ci sarebbe il 5-6% di RC.
Un elemento che rende assai improbabile il varo di una legge di questo tipo. Il centro destra vi si oppone globalmente perché ritiene (in base all’esperienza delle amministrative di tutti questi anni) che il doppio turno, comunque, lo danneggi. Si aggiunga, a questo punto, l’opposizione dei partiti (in particolare dell’Unione) destinati a perdere la loro rappresentanza parlamentare e il giuoco è fatto: in negativo.
Ricapitolando, i quattro possibili scenari che abbiamo sin qui esaminato – il mantenimento del sistema attuale con gli opportuni correttivi, il sistema derivante dal referendum, il proporzionale corretto in senso maggioritario, il doppio turno alla francese – hanno un punto in comune: quello di collocarsi necessariamente in uno schema bipolare. La differenza è che, nel primo caso, si tratta di un bipolarismo rigido, preventivo ed amministrativo; per vincere bisogna necessariamente allearsi con tutti e prima dell’appuntamento elettorale. Mentre, negli altri tre casi, si tratta di un bipolarismo, per così dire, flessibile: il partito dominante, per vincere e per governare non ha bisogno di allearsi con tutti; può escludere le estreme.
Per i partiti minori, e in particolare per il nostro, lo scenario di gran lunga preferibile è il primo; mentre quello da scartare nel modo più assoluto è l’ultimo.
Nel primo caso, infatti, per raggiungere una rappresentanza parlamentare, basterebbe superare un’eventuale sbarramento intorno al 4% che dobbiamo abituarci a considerare un vincolo minimo con cui dovremmo, comunque, misurarci. Negli altri tre, invece, e soprattutto nell’ultimo, questa percentuale sarebbe del tutto insufficiente. Né sarebbe possibile per noi superare l’ostacolo con opportune intese elettorali: può farle l’ala radicale fondamentalista mettendo insieme Bertinotti, Diliberto e Pecoraro Scanio e raggiungendo, così, una percentuale tra il 10% e il 15% più che sufficiente a garantirgli una adeguata presenza in Parlamento; mentre è francamente improponibile una nostra intesa con Mastella o, magari, Di Pietro.
Ma lo scenario della legge attuale, con i necessari correttivi, è, per noi, quello politicamente peggiore. Perché riproporrebbe un quadro politico e di governo in cui i riformisti continuerebbero ad essere – come nella situazione attuale – “sotto scacco” da parte di radicali fondamentalisti.
Perciò, almeno per noi, l’unico modello proponibile è quello tedesco.
5 Il sistema tedesco Il sistema elettorale tedesco è, come è noto, la combinazione del sistema uninominale (e a turno unico) con quello proporzionale, con lo sbarramento al 5%. Ed è un sistema che gli elettori hanno imparato ad usare con grande sapienza; concentrando il loro voti sui candidati più forti nell’uninominale e distribuendoli generosamente sui partiti minori sul proporzionale così da garantire a questi la rappresentanza parlamentare decisiva per il successo della coalizione; il tutto attenzione, nella stessa logica bipolare.
Insistiamo sul “bipolarismo”. Non c’è nulla, ma proprio nulla, nel sistema tedesco che spinga nella direzione della grande coalizione; e, del resto, questa è “tecnicamente possibile” in tutti i sistemi che abbiamo sommariamente ricordato: ad eccezione del primo (che, come è noto lega rigidamente e preventivamente il candidato presidente del consiglio alla coalizione che lo propone). Insomma la scelta della grande coalizione è e rimane una scelta esclusivamente politica; per inciso realizzata in Germania, prima di oggi, solo nella seconda metà degli anni sessanta.
Ciò posto il sistema tedesco ci appare il più equilibrato e “garantista” di tutti. Garantisce, infatti, come si è detto, l’alternanza bipolare ma senza imprigionarla in uno schema rigido e preordinato.
Garantisce la scelta degli elettori (nella parte proporzionale, è vero, non c’è il voto di preferenza; ma la composizione delle liste è il frutto di un’ampia consultazione degli iscritti).
Garantisce la libera competizione dei partiti, senza alcuna distorsione a favore di quelli “dominanti”; ma con il vincolo del 5% (e di almeno un parlamentare eletto nell’uninominale) che ne limita la proliferazione (e qui, sia detto per inciso – ma quando ci vuole ci vuole! – soccorre il paragone con il Mattarellum partorito in serie nuovi partiti politici, con rappresentanza parlamentare garantita da accordi di vertice; in Germania siamo arrivati, ultimamente, a cinque).
Per noi è il modello di gran lunga preferibile. Il primo, certo, assicura la nostra rappresentanza parlamentare; ma per stringerci nella camicia di forza di un’alleanza “da Mastella a Caruso”, in cui la nostra capacità di condizionamento è pressoché nulla. Gli altri tre, poi, ci ridurrebbero al ruolo di “donatori di sangue” ad uso e consumo del partito democratico.
Rimane, certo, l’ostacolo da sollevare. Ma non è detto che questo ostacolo, in sede di approvazione della nuova legge elettorale, non venga abbassato (diciamo al 4%?); mentre è certo che le eventuali modifiche concordate alla legge attuale si introdurranno meno (nel migliore dei casi almeno il 3%).
In ogni caso però un ostacolo siffatto non può spaventarci oltre misura. Perché i casi sono due: o crediamo a quello che diciamo, alla nostra aspirazione di costruire una forza socialista a vocazione maggioritaria; e allora dobbiamo prepararci al salto. O non ci crediamo: e allora dobbiamo rimetterci la tuta e abbandonare il campo di gara.
Puntare, infine, sulla possibilità di introduzione del modello tedesco non è affatto irragionevole. Abbiamo, infatti, la sensazione che l’ostilità nei suoi confronti sia essenzialmente di natura psicologica; l’orrore nei confronti del proporzionale, considerato fonte di inciuci e di perdizione; un orrore di marca seconda repubblica e destinato, comunque, ad attenuarsi nel corso del tempo.
Eppure analoghi blocchi psicologici (se non vogliamo chiamarli riflessi pavloviani) giocano anche contro altri modelli: c’è l’ostilità – caricata altre misura ma reale – dell’Unione nei confronti della legge attuale che viene ritenuta concepita esclusivamente a suo danno. E c’è, anche, l’ostilità di Berlusconi al doppio turno; e per le stesse ragioni. Mentre le ipotesi di modelli referendari o di proporzionali fortemente corretti possono far trovare, forse, un asse tra Prodi e Berlusconi; ma al prezzo di attriti irrimediabili nei due schieramenti.
Sarebbe, dunque, opportuno che i socialisti (in questo caso senza i radicali, fanatici assertori di un “sistema anglosassone” che li cancellerebbe definitivamente dalla scesa politica) si facciano promotori assieme ad altre forze politiche del modello tedesco: anche (ma non solo) perché il loro totale silenzio sulla questione apparirebbe un (ennesimo) segno di debolezza politica.