UN’ASSOCIAZIONE PER EVITARE CHE LA ROSA SFIORISCA DEL TUTTO – di Lanfranco Turci, da il Riformista del 21 luglio 2006
28 luglio 2006
Lunedì scorso, nel corso di una riunione promossa dai deputati della Rosa nel pugno Lanfranco Turci e Salvatore Buglio, è stata costituita l’associazione Per la Rosa nel pugno cui hanno aderito tra gli altri Biagio de Giovanni, Luciano Cafagna e Alberto Benzoni. Il nucleo costitutivo è composto da un gruppo di giovani intellettuali, professionisti, docenti universitari e militanti di estrazione socialista e diessina che hanno votato per la Rosa.
Vi ricordate quel gioco infantile, non più di moda, delle ragazzine che strappavano uno a uno i petali della margherita per vedere se il loro amato le ricambiava o non le ricambiava? Sembra che alcuni dirigenti della Rosa nel Pugno stiano facendo lo stesso con i petali della Rosa, domandandosi se esiste o non esiste, dimostrando di non sapere che nessun fiore può sopravvivere senza la sua corolla. Fuor di metafora, questo spossante e grottesco gioco al rinvio a spese del funzionamento fisiologico degli organismi nazionali della Rosa nel Pugno sta avvicinando al punto di non ritorno la crisi di un progetto politico che pure in tanti, anche non votandolo, avevano accreditato come l’autentica novità di questa stagione politica. Tornare a interrogarsi sulle ragioni di questo stallo comporterebbe lunghe analisi sui conflitti e sulle resistenze presenti nel corpo dello Sdi, che hanno a lungo bloccato il processo e ancora indeboliscono il pur netto indirizzo del gruppo dirigente centrale, oggi più netto di ieri, a favore della prosecuzione del progetto. Ma soprattutto occorrerebbe capire cosa significhi concretamente in casa radicale quel mix di proclami quotidiani a favore della Rosa nel Pugno accompagnati da una evidente idiosincrasia a prendere in considerazione anche le più elementari regole di una vita organizzata di partito. Sta di fatto che al momento siamo ancora bloccati dal veto radicale a chiudere il capitolo delle dimissioni di Villetti, tenendo con ciò sotto schiaffo la più importante funzione istituzionale assegnata alla componente socialista nel quadro degli accordi che hanno portato i radicali ad assumere un ruolo di ministro con Emma Bonino e uno di presidente di commissione con Daniele Capezzone. Questa è la recita quotidiana che passa il convento. Se la Rosa nel Pugno fosse solo questo, non resterebbe che invocare il parce sepultis e chiudere di uscire al più presto dalle luci di una ribalta che corre il rischio di mettere in evidenza solo astruserie politichesi e meschinità personalistiche. Per fortuna non è così. C’è ancora intatto il grande potenziale di rinnovamento che potrebbe esprimere nella vita politica italiana un partito autenticamente liberale e socialista. Le sue ragioni sono confermate dal fatto stesso che l’agenda politica di questi mesi comprende proprio i temi che quel partito ha indicato nel suo programma: dall’amnistia alle liberalizzazioni, dalla laicità alla battaglia per la legalità della nostra vita pubblica. L’altra conferma di questa permanente potenzialità è in quel vivace fermento di voci di sollecitazione e di protesta che arrivano dalle più diverse parti del paese e si possono leggere anche nei siti istituzionali o informali nati attorno alla Rosa nel Pugno. È davvero impressionante la passione che ancora anima quei tanti giovani, quegli intellettuali, quei professionisti, quei militanti ex socialisti ed ex diessini che rappresentano l’area molto numerosa degli elettori che sono arrivati al voto per la Rosa nel Pugno non provenendo né dal voto per lo SDI o né dai radicali. Sono questi elettori senza casa, ma fortemente acculturati e politicizzati, la vera riserva del progetto in questa fase. È con loro e con quanti, pur già militando nello Sdi e nelle file radicali, non si rassegnano a lasciare deperire il progetto della Rosa nel Pugno, che abbiamo costruito nei giorni scorsi l’Associazione per la Rosa nel Pugno. Con quel per vogliamo rappresentare la direzione di marcia, la volontà di costruire la vera casa comune del nuovo soggetto politico da parte di chi non ha casette di riserva e comunque non crede che esse separatamente potrebbero avere più alcun ruolo politico. Qualcuno ha detto che potremmo rappresentare una “terza componente” tra lo Sdi e i radicali. L’espressione ha un senso in relazione alla eventuale costruzione di una vera e propria forma federativa, come fase iniziale della Rosa nel Pugno. E tuttavia è una espressione riduttiva. Qualcun altro ha detto che potremmo rappresentare gli utenti della Rosa nel Pugno, in polemica con gli azionisti e i manager. Anche questa è una definizione parziale, anche se ha il pregio di significare che se la società fallisse nessun azionista avrebbe titolo su quegli utenti. Ma forse per stare all’immagine delle società per azioni potremmo definirci come l’azionariato popolare di una public company. Per crescere davvero all’altezza delle sue potenzialità, e non restare un partitino del 2-3%, la Rosa nel Pugno avrà bisogno nel prossimo futuro di forti incrementi di capitale, mentre i due azionisti fondatori non hanno capitali di riserva da investire. Noi potenzialmente potremmo essere i garanti e i promotori di quell’azionariato diffuso pronto a investire se la società dimostrerà di credere nel suo progetto e sarà disposta a dargli una guida sicura. Avendo bene a mente che una vera public company esclude patti di sindacato, catene di controllo e padri padroni. Forse ce la possiamo ancora fare.