UN ANNO DI PISAPIA, C’È ANCORA SPINTA? di Stefano Rolando da Reset del 4 luglio 2012
24 agosto 2012
Il primo bilancio lo hanno fatto i giornali, gli uffici della Giunta e lo stesso Pisapia. A parte il legittimo inventario del sindaco, si punta per lo più alla quantità, i media soprattutto al “fatto e non fatto”. E’ difficile annodare argomenti per tentare un bilancio qualitativo. Per il quale si dovrebbe cominciare con le parole di Shakespeare: “non siamo qui per lodare Cesare”. Ma ricordando che il monologo di Antonio era sulle ceneri di Cesare, ci si limita a dire (non dimenticando il fervore e il sostegno manifestato nella campagna elettorale): “non siamo qui solo per lodare”. In realtà anche la campagna elettorale – per chi affiancava con volontaria indipendenza – è stata sempre valutativa e consapevole che, nelle discontinuità, si aprono problemi al pari di quelli che si chiudono. Come va giudicato un anno – solo “un anno” – di cambio della guardia in una città? Un anno di discontinuità politica e amministrativa, dopo 17 anni di governo della parte avversa con problemi di comprensione della “eredità” e di adeguamento di politiche e di metodo nell’amministrazione dovendosi al tempo stesso fronteggiare emergenze onorando tutte le scadenze ordinarie che regolano la relazione tra città e cittadini. C’è un dossier di 157 pagine – che circola a Palazzo Marino – con forse duemila provvedimenti che, pur ben organizzato tematicamente, accontenta l’approccio ad una valutazione quantitativa. E ci sono i bilanci giornalistici che segnalano – rispetto all’annunciato – la riuscita e il peso di vincoli . Ogni ambito di analisi (partiti, movimenti, organizzazioni sociali e della partecipazione, imprese, circoli di cultura politica e civile, ambiti di studio) ha propri parametri per compiere una valutazione qualitativa. Questa che segue è solo una gabbia di criteri per provare a discutere. La traccia è servita ad introdurre un dibattito all’Umanitaria proprio in occasione del compleanno (con consensi e dissensi, soprattutto quando il discorso va nei dettagli e nelle specificità) che è stato concluso con realismo e chiarezza dall’assessore Franco D’Alfonso. Quando le urne diedero il segnale evidente di un ribaltamento dei pronostici non è certo che lo stesso Pisapia ne fosse sorpreso. Ma è certo che il forte scarto non era previsto. E alla domanda: “ma voi, questa composita alleanza vincente, chi siete?” buttò lì una risposta lapidaria, anch’essa non prevista, che ricapitolava una tradizione per proporsi di innovare cercando radici: “in fondo siamo riformisti”. Ricordando – noi certamente, ma senza dubbio lo stesso Pisapia – che per certa sinistra la parola suonava male, rasentava l’insulto, così che quel posizionamento presentava un fattore di ricerca e di prova. Così che a un anno di distanza il senso di marcia da cogliere potrebbe proprio essere attorno all’evidenza di tracce di quella strada difficile e minoritaria che appunto riguarda la tradizione del metodo riformista, cioè di una politica che cerca di stare lontana dal rischio del massimalismo e sa riconoscere e superare le ovvietà del santificare l’esistente, cioè sa smontare le politiche conservatrici. Due minacce che da tempo hanno campeggiato nella politica milanese: quella costruita sul governo degli interessi e quella beata di perdere mantenendo il diritto di esecrare. Il riformismo vuole miglioramenti compatibili, vuole difendere regole e legalità, vuole assicurare spazio alle politiche sociali. Proviamo a ricomporre qualche osservazione partendo da questi presupposti. Punti di riferimento Due brevi premesse. Una rispondendo a questa domanda: cosa – tra gli argomenti del successo elettorale – è restato, cioè cosa si e evidenziato come strumento anche di un possibile successo gestionale? Quattro cose sembrano condivisibili. 1. Alcuni fattori di metodo che riguardano la partecipazione, l’ascolto, il patto di governance tra partiti e società e sulle pari opportunità. 2. L’indice di consenso, che ha confermato (forse ampliato) l’adesione largamente maggioritaria al profilo di un sindaco accettato anche come patrimonio simbolico. 3. Il miglioramento – prezioso per la città – delle relazioni inter-istituzionali, che è la conferma del profilo del “sindaco dialogante”. 4. La conferma del convincimento di alcuni soggetti collocati nel sistema delle rappresentanze e dei soggetti produttivi della città di sostenere politiche pubbliche che necessitano di intese (come l’accordo sui “derivati finanziari” ha permesso di constatare). La seconda premessa porta in scena lo stesso Pisapia e la gerarchia dei risultati da lui stesso prospettata in forma non troppo meditata, cioè in risposta ad una domanda in diretta tv – il giorno stesso del compimento del primo anno (nell’ordine dei fattori evidenziati): 1. Il rilievo di provvedimenti per la “qualità sostenibile”.2. L’accordo sui “derivati” che ha permesso di chiudere contenziosi con soggetti importanti del sistema finanziario internazionale con intese con benefici per la città nel tempo (440 milioni recuperati di cui 40 nel 2012). 3. Una rilevante soluzione per i “senza tetto”. 4. Superate le emergenze come quella delle intense nevicate. 5. Nuova attenzione alla “società dei cittadini” e soprattutto ai meno abbienti. 6. Attenzione reale ai problemi delle periferie. 7. Avere risanato il bilancio del Comune. 8. In concreto, avere affrontato un deficit ereditato di 580 milioni (cioè deficit strutturale da almeno 5 anni che già nel 2010 era arrivato ad essere pari a oltre il 10 % delle spese correnti). 9. Avere rispettato il patto di stabilità (che ha permesso un impatto positivo sull’economia del territorio in particolare per il rispetto dei tempi di pagamento dei fornitori). 10. Avere posto la vicenda Expo con una linea di negoziato e di metodo che, pur essendoci ancora irrisolti, ha portato maggiore chiarezza sui ruoli. Vi è chi ha letto punti sostanziali in questa sintesi, chi invece non ha trovato punti attesi. L’elenco ci è però utile come compendio per misurare gli spunti che seguono. Le questioni che possono riguardare un bilancio qualitativo potrebbero a questo punto essere così poste: in cosa si sono date risposte alle maggiori criticità della politica (più democrazia; più accoglimento dei bisogni secondo interessi generali; più riduzione dell’affarismo nella vita pubblica)? come si può dire che le linee adottate facilitino misure per accelerare i tempi della ripresa e della ripartenza “da Milano” (più qualità dei servizi; più capacità di attrazione; più condizioni di rinnovamento della classe dirigente)? Più democrazia, più ascolto, più interessi generali rispettati, più legalità? Si accennano qui alcune risposte per poi concludere su questioni (e quindi anche su interrogativi) che riguardano la prospettiva. Le “gravi criticità” della politica italiana sono molte. Ma la transizione che stiamo attraversando – con la crisi drammatica di fiducia nei partiti, un governo “tecnico” e un preannuncio di astensione di un cittadino su due – mette al centro la questione della democrazia. Ora il “nuovo anno” ambrosiano segnala più democrazia? E’ chiaro che va portata in emersione la discussione sull’ascolto e sullo sviluppo di pratiche co-decisionali, che ha caratterizzato la promessa elettorale e una certa inclinazione personale della figura di Pisapia. La tendenza francamente appare. Ma il bilancio qualitativo non può essere a spanne. Qualche bilancio di questo processo andrebbe fatto da chi sa valutare queste cose. Che aiuterebbe a togliere dalla retorica la questione dell’ascolto e a porla con argomentazioni serie nel tema del rinnovamento della politica. Vi è poi la partita dei referendum ambientali ad offrire uno spunto concreto. Massiccio risultato sugli orientamenti delle volontà dei cittadini in attesa di un programma di attuazione. Sull’area C (forti limitazioni del traffico in centro) vi è stata determinazione, rilevante per avere indotto – in materia di provvedimenti sulla sostenibilità – pratiche di nuovo patto per cambiamenti culturali degli utenti. Sul risanamento della Darsena si dice che siano pronti i bandi di gara. E’ già una mezza attuazione. Quanto al piano generale del territorio – il PGT – anche il suo totale riesame rientra sul bilancio sia delle misure tecniche che delle politiche partecipative. Il saldo “meno cemento più verde” è ora generalmente accettato nella metabolizzazione del provvedimento, che fa segnare anche un +25% di edilizia sociale. Aperta alla discussione infine anche la domanda sull’evoluzione della relazione con partiti e movimenti, cioè sul “modello” di efficacia di una cultura politica rinnovata nel territorio. Non basta ricordare il tema, andrebbero fatte anche qui ricognizioni critiche serie, su cui temiamo una condizione stagnante. Un secondo tema che risponde all’idea invalsa nei cittadini che la “casta” riorganizzi la gerarchia dei bisogni in relazione ai propri interessi (non solo di consenso ma spesso di più basse convenienze) ci consente di formulare un secondo quesito cult del metodo riformista: è più garantita la gerarchia di accoglimento dei bisogni secondo interessi generali? E’ chiaro che questa “gerarchia” non va colta per impressioni emotive. Va innanzi tutto letta attorno alle regole di formazione del bilancio (il Comune è dieci volte meno della Regione – che esprime oggi un bilancio di 23 miliardi, contro i 2,6 appunto del Comune – e due volte più della Provincia) e cioè sulla condizione di generare le risorse per affrontare quei bisogni. Almeno nel primo anno qui si collocano le precondizioni essenziali di quella formazione delle priorità. La gerarchia va assicurata infatti da una efficace recupero di risorse attorno a quattro leve che vanno realisticamente rese compatibili alla riduzione di trasferimenti (riduzione che come si sa è avvenuta). Sulle tasse si è dovuto ovviamente premere, sembra in linea con l’insieme degli enti locali anzi con qualche differenza in meglio; sul patrimonio si è data un’impostazione che ha rettificato una linea puramente di vendita con indirizzi che puntano ora anche alla riqualificazione di rendimento; sulla spending review si vanno compiendo riflessioni responsabili per evitare paralisi da tagli ma sapendo che questa è una leva limitata che non va sbandierata per demagogia e compiacimento dei media, come l’Amministrazione milanese ha saggiamente fatto ; sulla ridefinizione di partite si è detto del positivo accordo sui “derivati”. A valle di questa analisi va poi compiuta una sintesi di provvedimenti annunciati, realizzati, in itinere, che toccano diritti e interessi dei cittadini e, in sostanza, la prospettiva della vivibilità della città. Il “bilancio giornalistico” ha considerato che il processo in itinere sia positivo. Vi è tuttavia una evidente forte attesa per la materia dei diritti civili (unioni di fatto, città multietnica, pari opportunità, libertà religiosa) laddove i conflitti potenziali sono di natura sociale e politica complesse e la soluzione richiede composizioni comprensibili. Su alcuni di questi punti si sono costituiti presidi competenti, su altri ancora no. Il terzo quesito è sulla bocca di tutti in Italia e naturalmente anche a Milano: è ragionevole dire che l’affarismo nella gestione delle risorse pubbliche sia sotto controllo? In una tendenziale risposta affermativa è importante constatare l’istituzione di strumenti per la prevenzione e il controllo, come il Comitato antimafia e l’attivazione del Protocollo Legalità, insieme ad altri provvedimenti. Nel breve sarebbe importante disporre di un serio tavolo statistico (bilancio forze dell’ordine, sistema giudiziario e fiscale, sistema di impresa) per incrociare tutti gli elementi di valutazione e cogliere quindi il quadro della legalità come indice reale di un processo sociale in movimento. La riduzione della morsa malavitosa su Milano e dell’allargarsi dell’illegalità nelle pieghe di gare e appalti è un punto qualificante dell’approccio culturale stesso di Pisapia giurista e già presidente della Commissione Giustizia della Camera. Gli strumenti messi in atto devono dimostrare ora efficacia. Servizi, attrattività e classe dirigente: vi è politica per la ripresa? Il secondo fronte di un governo che punta a sostenere lo sviluppo è naturalmente quello che riguarda – anche qui la domanda è nazionale, anzi mondiale – le dinamiche della possibile ripresa. Vi è chi dice – anche tra competenti analisti di economia dello sviluppo – che se ci sarà ripresa in Italia essa sarà generata al nord e guidata da Milano. Essa comporta che ripartano gli investimenti, che i servizi siano adeguati al fabbisogno della crescita e che vi sia una classe dirigente pubblica all’altezza della sfida. E’ in atto un quadro di misure che assicurano più qualità nei servizi? Bisogna naturalmente distinguere provvedimenti di manutenzione e provvedimenti di innovazione. Chiedendo che i repertori del “fatturato” amministrativo siano chiari in proposito. Gli stessi presupposti del rilancio produttivo debbono distinguere con chiarezza gli ambiti di sinergia necessari, sapendo che qui il Comune mette in atto una quota sola e non quella maggiore del fabbisogno perché tanto la Regione (infrastrutture e sanità) quanto e soprattutto lo Stato (con fisco, giustizia, istruzione, università, comunicazioni in campo, nel territorio, tra le proprie competenze) contano parecchio. Su questo il dibattito stesso attivato permette di avanzare punti di richiesta all’analisi. Nevralgica è la situazione delle aziende energetiche, di trasporto e ecosistemiche. Importantissimi i servizi sociali, la sicurezza, l’assistenza. Non trascurabile nella prospettiva della città è il modo – su cui si registrano impostazioni pragmatiche interessanti – di predisporsi alla visione amministrativa della città metropolitana che è materia essenziale per lo sviluppo di impresa. Sull’insieme manca però un dato di riferimento in grado di comparare gli esiti raggiunti oggi con quelli del passato. Il connesso quesito che poggiando su qualche rassicurazione nelle risposte precedenti avrebbe più frecce all’arco è il seguente: vi è attenzione alla capacità di attrazione della città? Molteplici fattori concorrono a definire una matrice virtuosa per mantenere la soglia nella capacità attrattiva (turismo, investimenti, lavoro, buone idee). Il primo anno non varca la soglia delle pre-condizioni. Era previsto ma deve essere colto come segnale di “stretta” nella focalizzazione dei nuovi obiettivi. La tenuta del profilo di identità della città – è il tessuto di riferimento di ogni politica di brand – passa attraverso un presidio forte alle attività culturali, su cui tuttavia sono segnalati problemi e una ridotta progettualità. L’attrazione degli investimenti passa attraverso un’azione coordinata con i soggetti delle rappresentanze attorno a cui il primo anno segnala solo dichiarazioni di volontà. La valorizzazione del sistema universitario e di ricerca è materia che dipende da competenze altrove collocate ma su cui la città (l’assessore competente) ha svolto ricognizioni preliminari ben indirizzate. In materia di turismo e branding si è giunti a definire il terreno di intervento e a concepire strumenti di coordinamento del sistema città. In materia di Expo si legge la sintesi di attese, di sforzi di orientamento alla fase due di regole-risorse-contenuti-alleanze, ancora in un terreno di irrisolti che mantengono inquietudini. Con reiterate espressioni dello stesso sindaco al riguardo. Il passo avanti è di metodo. Le ombre sono su risorse, poteri e contenuti. La terza domanda collegata alle due precedenti è dunque questa: si vanno formando condizioni per fornire nuova e adeguata classe dirigente all’amministrazione e per indurre classe dirigente nella politica? Il tempo di un anno genera un nucleo di classe dirigente forse insufficiente a comprendere – nella evidente discontinuità – il senso di marcia. Se si guardano le emergenze affrontate e sostanzialmente superate (Neve, Expo, Deficit, le visite con carattere di evento del Papa e del Dalai Lama) vi sono luci e ombre in cui si apprezzano risultati ma che scontano anche risorse non sempre adeguate per acquisire tutto il quadro di competenze necessarie. La leva formativa interna deve così avere una messa a punto strategica a breve. Quanto alla capacità, generata da un soggetto pubblico che ha storicamente nella città consenso e attenzione, di stingere virtuosamente sul rinnovamento della dirigenza stessa della politica è presto per fare anche il minimo bilancio: il raccordo con il sistema politico della città darà le sue risposte nel 2013 che è anno elettorale che farà maturare i profili di responsabilità che hanno vissuto il cambiamento anche come una opportunità formativa. Il direttore generale del Comune è consapevole della strada in salita per assicurare uno schema organizzativo all’altezza di tre distinte sinergie: quella sociale con i cittadini, quella economica con i soggetti della produzione e dello sviluppo, quella civile (regole e obiettivi) con il sistema politico. Esprime al riguardo due punti di vista: che si è messo al centro del primo anno la reingegnerizzazione dei processi amministrativi; cosa che ha portato ad una abbastanza diffusa consapevolezza che serve più innovazione e meno tagli; che il bene da difendere quando si hanno poche risorse è soprattutto l’equità e che su questo punto vanno ritarati i piani strategici delle politiche pubbliche. La conclusione a grandi linee di questi spunti argomentativi è che allo stato appaiono più esiti sul terreno dei principi (democrazia, bisogni, legalità) che sul terreno della rigenerazione di politiche attrattive. Sul terreno della prospettiva Ma la conclusione di un breve bilancio qualitativo che investe un processo in movimento deve essere proiettata sullo scenario a venire. Ovvero quello in cui la città è intesa come un soggetto politico collettivo che guarda a sé e, al tempo stesso, ai sistemi di riferimento, nell’evoluzione di processi in parte segnati da scadenze certe, in parte caratterizzati da incognite. Milano per Milano Il primo tema consiste nel domandarci se e quando si metterà mano a un piano (non da intendersi come un compendio dirigistico, ma come una visione di tendenze che produca cultura amministrativa e civile) di evoluzione del profilo delle cinque città che già in campagna elettorale hanno dimostrato la loro diversa e in parte conflittuale natura: la Città creativa (non solo moda&design, ma anche modernizzazione della città industriale e dell’artigianato), la Città della salute, la Città della conoscenza, la Città glocale e la Città verde . Vi sono tracce di innovazioni, di piani, di spunti – che nel campo ambientale paiono più organici – e che debbono evolvere, esprimersi e incrociarsi. Un piano che si collochi nel tempo ancora non disegnato. Il tempo naturalmente del dopo-Expo, verso il 2020. Finora è anche poca ridisegnata Milano come città europea, con evidente rilancio relazionale con le città che pensano di più al loro futuro in modo nevralgico per l’integrazione europea. Ma in materia di “piani” va anche qui detto che è stato sensato spostare i tempi di questa analisi strategica a valle di un primo presidio serio alle condizioni di bilancio e ai requisiti di un primo piano triennale che producendo pareggio potrebbe anche determinare meno tasse e più investimenti. Milano per la Lombardia Il rapporto città-territorio nel caso di Milano è parte di alcune soluzioni strutturali a questioni irrisolte e a piani per ora non ridisegnabili. La storia delle relazioni tra Città e Regione va riletta alla luce di particolarità e complessità. Il modello Milano non è certo che abbia automatiche applicazioni. La crisi in corso del quadro politico regionale rende serio e altamente complesso il problema dei contenuti e della prospettiva di una classe dirigente adeguata. Milano-Lombardia rappresenta una condizione diversa da quella Roma-Lazio (rapporti tra soggetti forti e deboli). Milano per l’Italia La domanda qui è se vi è un contributo diretto o indiretto alla prefigurazione della “terza repubblica“ dell’esperienza che Milano sviluppa, immaginando che la transizione riguardi: la capacità di autoriforma dei partiti; la acquisizione di responsabilità politica della società civile; il ruolo dei sindaci nel rapporto di consenso tra cittadini e istituzioni. E’ questo un altro dibattito, appena dischiuso e, malgrado le urgenze, ancora acerbo; che – proprio sul tema dei cantieri Milano/Italia – chi scrive ha cercato di delineare un recente contributo che sta affrontando il dibattito del pubblico. Stefano Rolando è professore di ruolo all’Università Iulm di Milano. E’ stato direttore generale alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e direttore generale del Consiglio regionale della Lombardia. Di recente ha scritto La buonapolitica-Cantiere Milano/Italia, prefazioni di Fabrizio Barca e Giuliano Pisapia, Rubbettino (giugno 2012).
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