TRE PRIORITA' PER LA POLITICA REGIONALE – Intervento di Roberto Biscardini per il seminario regionale della costituente, Merate 29-30 settembre 2007
15 ottobre 2007
Ritorniamo a discutere di Regione e di politiche socialiste per la Lombardia dopo due anni di relativo silenzio.
La non elezione nel 2005, dopo trenta anni di presenza socialista in Consiglio Regionale, ci ha messo in oggettiva difficoltà.
Difficoltà che, già da questo seminario, dobbiamo superare con l’indicazione di proposte e iniziative politiche da gestire nei prossimi mesi.
Vale la pena di ricordare che l’assenza di un socialista in Consiglio regionale nelle ultime elezioni è stata causata per lo Sdi dalla sciagurata decisione presa dai partiti dell’Ulivo di presentare in Lombardia liste unitarie e per il Nuovo Psi dal non essere riuscito a conseguire il quorum necessario.
La costituente socialista deve essere considerata quindi non solo come l’inizio di un grande processo politico per ridare al paese una nuova forza socialista, ma anche in Lombardia come la vera opportunità per far sentire la nostra voce e per predisporci a ritornare al governo di questa istituzione.
Il tema della mia breve relazione riguarda le proposte dei socialisti per una riforma dell’istituzione regionale, negli interessi di massa dei cittadini lombardi.
Riforma della politica quindi, non come problema dell’ingegneria istituzionale, ma come risposta concreta della politica alla crisi di credibilità delle istituzioni.
L’istituto regione dopo trenta anni di esistenza appare agli occhi dell’opinione pubblica ormai vecchio, parte di un unico sistema vecchio e inefficiente dello Stato, lontano dagli interessi del cittadino, ingessato e burocratizzato.
Primo compito dei socialisti è il profondo rinnovamento e la modernizzazione della Regione.
Le nostre proposte, molto concrete di riforma e di mobilitazione popolare, per una campagna socialista per il rinnovamento della Regione non sarebbero capite se non affrontassimo, seppur brevemente, lo stato attuale della situazione politica in Regione.
1. La Regione Lombardia rappresenta un anomalia nel panorama politico italiano.
Dal 1995 in Lombardia governa ininterrottamente la Cdl , ma più precisamente governa Formigoni con le annesse Compagnia delle Opere e Comunione e Liberazione.
Sul piano politico dopo la terza legislatura consecutiva il presidente Formigoni sembra aver perso la sua, anche se discutibile, spinta propulsiva.
La consapevolezza di un’improponibile sua candidatura nel 2010, apre per Formigoni il problema e la necessità di una sua uscita anche prima della fine della legislatura. Ciò è possibile solo se il Consiglio regionale approverà in breve tempo una modifica statutaria ed elettorale per evitare lo scioglimento del Consiglio al momento delle sue eventuali dimissioni (il noto del simul stabunt – simul cadent).
Ma una disposizione statutaria ad hoc, ad personam, fuori da un contesto generale di riforma istituzionale non solo rischia l’impopolarità, ma potrebbe addirittura essere illegittima.
2. Dietro un’immagine di efficienza che la Lombardia ha costruito intorno al presenzialismo di Formigoni, che peraltro si avvale di circa 5 milioni di Euro per la propria comunicazione, rimane il problema dell’efficienza reale e dell’efficacia del sistema Lombardia.
Sul piano politico il problema oggi è questo: la maggioranza governa stabilmente ma deve trovare il modo di affrontare il dopo Formigoni, l’opposizione non esiste, debole e con poche idee, ha recentemente trovato per sopravvivere il salvagente di un originale rapporto bipartisan offertogli da Formigoni stesso.
Ma questo rapporto sembra sfiancarla anziché consentirgli di svolgere un ruolo politico.
In Regione mancano i socialisti e si sente.
TRE PROPOSTE
Sul piano istituzionale.
Dopo la legge 1/99 sull’elezione diretta dei presidenti della Regione ed altre disposizioni, nelle regioni italiane vige una forma di governo ibrida, né presidenziale (con netta separazione delle competenze e dei poteri tra esecutivo e parlamento), né parlamentare (perchè inficiata da tanti fattori primo fra tutti l’elezione diretta del presidente che non risponde al consiglio perché eletto direttamente, ma contemporaneamente ne fa parte).
Questa forma di governo inesistente in qualsiasi paese del mondo (sperimentata qualche anno fa in Israele ma poi abbandonata) è giudicata dalla maggioranza dei costituzionalisti come un vulnus alla democrazia.
Elezione diretta del Presidente, con annesso premio di maggioranza alla coalizione da lui guidata, che fa parte del consiglio e da esso in qualche modo dipende, fino al punto che se cade o molla lui trascina con se l’intero consiglio, è l’esempio più recente di quanto sia malata e contorta la nostra democrazia (i padri della costituzione americana, ma non solo loro, si stanno rigirando nelle tombe).
Darhendorf in un suo saggio ha sostenuto come la democrazia americana rimanga un importante modello di riferimento, forse più da guardare che da copiare. Contemporaneamente ha riconosciuto al modello tedesco la forma più adatta a rafforzare i sistemi democratici. Detto questo però, Darhendorf aggiunge “Il pericolo maggiore nel darsi nuove istituzioni democratiche è quello di commettere un errore di ibridazione” combinando cioè un pezzo del sistema presidenziale con un pezzo di sistema parlamentare.
Il consiglio regionale per volontà della sua maggioranza nonostante la legge del 1999 desse a lui la facoltà di legiferare in modo autonomo in materia di statuto e di legge elettorale non ha finora prodotto nulla.
Sono passati da quella data quasi 10 anni invano.
Ormai è chiaro che l’efficacia dell’azione regionale e la trasparenza della sua politica anche di spesa (si pensi quanto sia oggi indebolito il potere di controllo sull’esecutivo di un consiglio votato con premio di maggioranza) passa per una scelta chiara tra un sistema presidenziale con elezione diretta del presidente e separazione netta dal potere legislativo, modello americano, e un sistema parlamentare, con presidente eletto dal consiglio, come avveniva prima del 1995 e come avviene nella maggioranza di molti paesi del mondo.
Noi socialisti non abbiamo la forza numerica per imporre il nostro pensiero, ma abbiamo la forza di riaprire la questione.
Propongo che la questione della forma di governo e del sistema elettorale, fondamentale per la democrazia della nostra regione, sia rimessa al giudizio popolare attraverso l’indizione di un referendum consultivo/propositivo che il consiglio regionale non può impedire.
Che siano i cittadini a scegliere tra sistema presidenziale e sistema parlamentare, che lo facciano subito e sulla base di questo referendum il consiglio legiferi.
In altre parole i socialisti propongono di sospendere la pantomima dell’attuale commissione per lo statuto e di far precedere alla conclusione ormai comatosa di questa commissione il giudizio del popolo.
Sul funzionamento della macchina burocratica.
La questione può apparire come non prioritaria e non interessante per l’opinione pubblica, ma lo è in Lombardia come nel resto del paese.
Essa coinvolge i costi delle istituzioni che sono sempre costi della politica.
Lo sviluppo economico regionale e le politiche sociali che interessano tutti i cittadini dipendono in larga misura dall’efficacia del funzionamento delle proprie istituzioni e dai loro costi e dalla sua struttura organizzativa.
Non dimentichiamoci che una delle carte vincenti di Tony Blair al momento della nascita del New Labor non fu la prospettiva dell’abolizione dello Stato, ma la capacità di definire un nuovo ruolo, concreto, non ideologico dello Stato come risposta puntuale ai bisogni della collettività. Prima tra tutti il bisogno di avere uno Stato che garantisce opportunità, che mette in condizioni di fare, invece di intervenire direttamente nelle relazione economiche.
Un’idea che poggiava sulla centralità della libertà dell’individuo e della valorizzazione dello sviluppo personale, per l’acquisizione di nuove opportunità. Nuova strategia di giustizia sociale.
Libertà e diritti individuali, laicità, come diritto alla libertà di realizzare se stessi.
Ma potremmo mai raggiungere un obiettivo di questo genere con una macchina regionale indebolita nei numeri e deviata negli obiettivi?
Ciò che viene spesso dichiarato come un merito della Regione Lombardia, nei fatti non lo è. La Regione sembra avere due contraddittori primati.
La Lombardia appare come la regione più virtuosa in quanto ha il più basso numero di dipendenti per abitante rispetto a tutte le altre regioni di Italia, ma avrebbe anche il più alto numero di consulenze esterne. Nel 2004 a fronte di 3729 dipendenti, sarebbero 45.500 gli incarichi di consulenza pari a un costo di 185 milioni di euro (fonte L’espresso). A questo si aggiungono altre distorsioni: dei 3700 dipendenti, circa 400 dipendono direttamente dalla Presidenza della Giunta e molti dei 297 dirigenti provengono dall’esterno e sono assunti secondo il principio dello spoil system.
A questo quadro si devono aggiungere i dipendenti delle società regionali esterne, i processi di esternalizzazione e di privatizzazione dei servizi, oggi difficilmente calcolabili e dei quali nessun dato ufficiale è in grado di dimostrare i livelli di produttività.
Conclusione. L’attuale sistema piramidale è fortemente centralizzato sia dal punto di vista politica (il ruolo della giunta è praticamente scomparso), sia dal punto di vista organizzativo (anche i vecchi dirigenti dipendono verticalmente da sei superdirigenti collegati alla figura del Presidente).
Il modello di funzionamento della burocrazia regionale lombarda è quindi uno dei più sofisticati esempi di burocrazia “speciale”, fuori da qualunque controllo democratico.
Governare la Regione nell’interesse dei cittadini significa anche governarla con una struttura burocratica nuova, professionalizzata, interna e stabile, non arruolata sulla base di interessi e di complicità politiche, con un organizzazione trasparente e controllabile dai cittadini, ispirata ai principi di efficienza e meritocrazia.
Ti tratta di avviare un riforma della pubblica amministrazione regionale, abbassare i costi della spesa pubblica, rendendo più efficiente il sistema.
Sul piano finanziario.
E’ ormai largamente riconosciuto che uno dei motori del progresso economico e sviluppo dello Stato sociale è rappresentato dalla forza dello stato delle autonomie, da decentramento dei poteri e di conseguenza dall’introduzione del federalismo fiscale.
D’altra parte l’autonomia fiscale è condizione necessaria per un corretto rapporto tra pressione fiscale e spesa pubblica.
Anche se il principio è stato abbondantemente acquisito sul piano politico e recepito nella modifica costituzionale voluta dal centrosinistra nel 2001, l’Italia è indietro rispetto a molti altri paesi europei.
Il governo di centrodestra non ha fatto nulla in questa direzione, il governo di centrosinistra è in ritardo e si muove con molta lentezza. Dopo aver depositato alla Camera un progetto di legge la discussione si è di nuovo arenata.
Un buon punto di riferimento per la Lombardia è l’esempio della Catalunya, molto simile a noi per numero di abitanti, per livello di produzione del reddito, in un paese anch’esso facilmente paragonabile all’Italia.
Attualmente la Lombardia oltre ai tributi propri e un’addizionale dell’Iperf pari allo 0,9%, trattiene il 38,5% dell’IVA. Secondo il modello Zapatero la Lombardia potrebbe trattenere il 50% dell’Iva, il 50% dell’Irpef e il 58% delle imposte speciali (benzina, tabacco, alcool, ecc.), ma non molto diverso sarebbe se ci riferissimo ad altri sistemi, quello Canadese per esempio.
E’ possibile proporre subito:
- che alcuni provvedimenti in attuazione del federalismo fiscale per avvicinare responsabilità di spesa a quella del prelievo siano inclusi già nel prossima Finanziaria 2008;
- che si avvii subito un negoziato tra governo e regione per definire un nuovo modello di ripartizione dei tributi simile a quello della Catalunja
- tenendo conto dello stato di emergenza e in relazione al deficit infrastrutturale della nostra Regione, come avviene in Spagna, per un certo periodo di tempo, in prima istanza per i prossimi cinque anni, sia garantito un investimento annuale in infrastrutture equivalente alla percentuale di Pil prodotto cioè il 20%.
Altre considerazioni a margine
Sul terreno dell’azione di governo, chiunque verrà dopo Formigoni dovrà inoltre affrontare:
- la riforma sanitaria per eliminare le distorsioni della aziendalizzazione, per ridurre il crescere del disavanzo, per garantire a tutti prevenzione, assistenza e riabilitazione (attualmente i cittadini lombardi pagano circa 800 milioni di euro all’anno per mantenere il disavanzo storico e circa 250 milioni di euro come rata di mutuo per la copertura del disavanzo pregresso;
- una politica coordinata di programmazione degli interventi infrastrutturali, adesso proposti senza visione strategica, fuori dall’idea forza che i socialisti erano riusciti a imporre negli anni ’80 e cioè quella di “Lombardia città policentrica”, come condizione per garantire a tutti e ovunque accessibilità trasportistica, informazionale e decisionale;
- una nuova politica della casa, assente dall’azione regionale da molti anni, nonostante il crescere di domande differenziate; le leggi dopo il 1995 sono servite più a favorire il lasser faire dell’iniziativa privata senza visione di interesse generale che i bisogni;
- una diversa politica dell’ambiente come centro dei diritti e dei doveri dei cittadini.