Tra Partito Riformista e Unione dei Socialisti: evitiamo la paralisi di Francesco Robiglio
03 maggio 2005
La vittoria dell’Unione alle regionali ha rilanciato in qualche modo il tema dell’unità organizzativa dei partiti aderenti all’attuale coalizione di centro-sinistra e, almeno apparentemente, rafforzato i suoi sostenitori. Tutto ciò sembrerebbe riproporre anche, seppure in una prospettiva di lungo termine, il tema della costituzione del Partito dei Riformisti. Nello stesso tempo, il risultato elettorale dell’Unione e la sconfitta del centro-destra sembrano aver riaperto tra i socialisti il tema della loro ricomposizione: ci sono state dichiarazioni post-elettorali di parziale apertura provenienti dai compagni del Nuovo PSI (ancorché presto dimenticate a favore di qualche poltrona sotto-governativa); e il tema è stato riproposto anche da Enrico Boselli nell’ultima Direzione dello SDI. E’ certamente possibile stare nell’Unione aspirando e anche cercando di promuovere la formazione di un Partito dei Riformisti. Non è però evidente che, nel contempo, si possa e si desideri lavorare per la riunificazione dei socialisti italiani: i due progetti, almeno al momento, non sembrano compatibili e, piuttosto, indicano direttrici politiche opposte. Se si lavora per la costituzione di un Partito dei Riformisti, lo SDI aderirebbe – sulla base degli attuali rapporti di forza – come un partner minore, ancorché con un peso specifico importante in termini di tradizione politica e di apporto elettorale: i socialisti risulterebbero indispensabili innanzitutto ai due “soci di maggioranza”, i cattolici e gli ex-comunisti, per presentarsi come una coalizione (o formazione) che si origina anche daklla tradizione del riformismo europeo. Lavorare ad un simile progetto porrebbe al primo posto nell’agenda politica la ricomposizione anche organizzativa delle attuali forze che compongono l’Unione: i confini del nostro agire politico sarebbero sostanzialmente definiti e confinati all’interno dell’attuale cartello elettorale. Rispetto a questo scenario, lavorare all’unità socialista risulterebbe, è evidente, fuori agenda e poco utile, oltre che poco comprensibile agli alleati che dovrebbero condividere con noi questo progetto. Sarebbe del tutto diverso, invece, uno scenario in cui lo SDI si adopera per la riunificazione dei socialisti italiani: si punterebbe, all’interno della sinistra, alla costituzione di un polo socialista, con un peso relativo rispetto a cattolici ed ex-comunisti più equilibrato rispetto a quello attuale (e in questo caso sì che i voti degli altri compagni socialisti sarebbero importanti). Sarebbe un polo autonomo, pienamente inserito nella tradizione socialista europea, con una propria distintività programmatica e politica rispetto alla quale gli alleati sarebbero chiamati a confrontarsi; un polo che sancirebbe un accordo politico di alleanza, o di coalizione, con le altre forze del centro-sinistra, per garantire un governo riformista al Paese del quale i socialisti costituirebbero il baricentro politico. Dunque, il percorso per la ricomposizione dei socialisti italiani prevede una correzione di rotta rispetto alla politica attuale. Questa correzione costituirebbe anche un passaggio necessario per aprire il confronto con gli altri compagni socialisti e per offrire loro l’opportunità di contribuire ad un progetto che si incardina nella tradizione socialista e nello scenario attuale della sinistra europea. Quello che non è possibile, e non lo è in particolare in questo passaggio storico-politico del Paese, è volere entrambe le cose: Partito dei Riformisti e Unione Socialista. Rischieremmo di non riunire i socialisti italiani (perché non sarebbero superate le ragioni dell’attuale separazione) e di non entrare da posizioni di forza (o almeno di uguaglianza) nel futuro Partito dei Riformisti: parteciperemmo alla coalizione di centro-sinistra come “soci minori”, portatori più di voti (marginali ma essenziali per i “soci di maggioranza”) che di progettualità politica. E, soprattutto, ci troveremmo con un cartello elettorale prima, e un Partito dei Riformisti in futuro (se mai ci dovesse essere), improntato ad un accordo elettorale che poco avrebbe a che fare con il socialismo riformista europeo. Ha quindi ragione Boselli a porre il tema dell’unità dei socialisti: questo dovrebbe portare il partito ad un’azione politica più autonoma e distintiva rispetto agli alleati di centro-sinistra. E ritengo che questo fatto stesso aumenterebbe le possibilità concrete di una svolta riformista del Paese, ancorché eventualmente, con forme diverse da quelle fino ad ora evocate del Partito unico dei riformisti.
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