TRA DIECI ANNI I SOCIALISTI CI SARANNO, IL PD NON SI SA – di Peppino Caldarola, da il Riformista del 10 marzo 2007
15 marzo 2007
Fassino sta vincendo il congresso e lo staff è felice anche se una fetta del partito va via. In altri tempi avremmo aperto un dibattito
Mi ha detto un altissimo dirigente dei Ds che bisogna fare il Partito democratico per combattere meglio Rutelli. Mi ha detto un pensoso riformista dei Ds che è meglio aderire al Pd e poi uscirne se questo partito non entra nel Pse. Dalla Margherita alcuni mi dicono che il loro congresso serve a stoppare Rutelli. Antichi e intelligenti ex Dc al Pd non aderiranno. Nell’area parisiana lo scontento per come si sta arrivando al nuovo soggetto politico è visibile a occhio nudo. Poi c’è Michele Salvati. Il professore milanese vuole Mussi nel Pd ma non lo vuole con Boselli. Non voleva D’Alema e Marini e se li ritrova sul ponte di comando. Scrive a Luigi Covatta e gli chiede di partecipare per rafforzare «la sparuta pattuglia libera» che con disperazione gioiosa darà vita alla nuova formazione politica.
Avete presente le vecchie partite fra scapoli e ammogliati? Tu fai il portiere, tu ti metti a sinistra, tu mi copri la fascia. Mutande lunghe eppure bisogna andare. Fassino sta vincendo il congresso, il suo staff è felice anche se una buona parte del partito se ne è andata o se ne sta andando. In altri tempi avremmo riflettuto attentamente sul fatto che la sinistra Ds ha scelto la socialdemocrazia. Avremmo analizzato puntigliosamente il partito di Bertinotti che accetta il conflitto con i movimenti, non pesca diffidenti, ma vuole discutere sull’avvenire della sinistra partendo da una scelta di governo.
Nicola Rossi e Antonio Polito vogliono il Pd ma la garanzia di serietà la affidano all’adesione di Follini. I socialisti cominciano a ritrovarsi e scoprono che da Aosta alla Sicilia proliferano gruppi autonomi che dopo Bertinoro, con i circoli liberalsocialisti e repubblicani di sinistra, si può dar vita a un nuovo socialismo.
È un terremoto. Le scosse si susseguono mentre il governo è appeso a un filo e la legislatura, legge elettorale permettendo, è entrata nella fase finale. I dati oggettivi dicono che: a) il vecchio bipolarismo costrittivo è morto; b) il vincolo occulto che legava gli ex comunisti si è sciolto definitivamente, in pratica è rimorto il Pci; c) che la questione cattolica non è nelle mani né di Rutelli né della Binetti; d) che i partiti personali ci riportano ai primi del Novecento; e) che gran parte della sinistra considera governare la propria missione abbandonando l’antagonismo; f) che lo scontento dilaga nel lavoro dipendente, fra i giovani, nelle imprese che rischiano in proprio, fra quelli che vogliono un’Italia con più diritti e paventano una religiosità che si fa Stato; g) che il cambio generazionale è una necessità e non una graziosa concessione di leader per tutte le stagioni; h) che non ci sono più portatori di una superiorità morale antropologica: economia, politica e intercettazioni telefoniche ci hanno spiegato molte cose.
Da qui due scelte. È in campo un futuro Partito democratico che emoziona poco ed è una specie di torre di babele. Torna viceversa in campo l’ipotesi di un «socialismo largo», come dice Rino Formica, che si propone di dare alla sinistra un partito europeo, plurale, riformatore. Nel primo partito le tavole della legge non prevedono identità. Meno diciamo chi siamo e meglio è. Nell’altro campo, guardando al futuro, ci diciamo socialisti perché vogliamo il mercato e le politiche pubbliche, perché vogliamo diritti, perché siamo laici, perché siamo figli di un Occidente forte delle sue ragioni e non forte delle sue armi.
Di là un Partito democratico fondato su un tesseramento che non ha rapporti con la reale forza elettorale. Di qui una rete di cittadini organizzati che fanno vivere sul territorio l’idea di una democrazia partecipata. Fra dieci anni i socialisti ci saranno, il Partito democratico non so. I suoi promotori hanno iniziato uno spericolato sorpasso su una stretta strada statale. Accelerano perché vedono un tir che gli viene a forte velocità di fronte. Spero che si salvino. Potremmo trasformare questa discussione in una rissa globale, come nel finale di Valencia-Inter. Potremmo viceversa competere e considerarci alleati. La connessione sentimentale del post-comunismo è finita. Non stiamo più bene assieme. Sapete come va nelle coppie sfinite: uno dice vorrei pensarci, l’altro riproviamoci ancora. Ma se l’amore è finito, è bene dare un taglio. In fondo in amore, e la politica bella è una forma di amore, i momenti migliori sono l’inizio e la fine. La fine ci riconsegna al mondo e a nuove relazioni. Mettiamola così, è meglio per tutti.