TERRORISMO. LA VICENDA DEL GIORNALISTA RENZO MAGOSSO, IMPUTATO A MONZA PER DIFFAMAZIONE - Di Franco Corleone, da Il Riformista del 10 luglio 2007
10 ottobre 2007
Per la morte di Tobagi non serve un capro espiatorio
Tobagi poteva essere salvato? Questo è l'interrogativo su cui si sono arrovellati nel corso degli anni politici, giornalisti, amici, e prima ancora il padre Ulderico e i famigliari. Le polemiche sulle responsabilità della sua morte erano esplose immediatamente. Lo scontro aveva al centro le vicende del Corriere della Sera, stretto tra il ruolo della P2 e dell'amministratore Tassan Din da una parte e il sindacato guidato da Raffaele Fiengo dall'altra. I socialisti scesero in campo accusando i giornalisti avversari di Tobagi di essere i mandanti morali dell'omicidio. Anche questa tragedia entrò nel conto del dissidio insanabile tra Craxi e Berlinguer e ancor più della frattura tra il Psi e la magistratura milanese, ben prima di tangentopoli.
Dopo 27 anni questa vicenda non è ancora storia ma rimane cronaca. Il 28 maggio, in occasione dell'anniversario, la morte di Tobagi è stata rievocata in tono rituale, mentre invece attende ancora giustizia. D'altronde, la ferita è aperta da tutti i punti di vista. Infatti, nel silenzio più assoluto, presso il Tribunale di Monza è in corso un nuovo processo. In realtà, il procedimento penale vede come imputato il giornalista Renzo Magosso, autore del volume Le carte di Moro. Perché Tobagi querelato dal generale Ruffino e dalla sorella del generale Bonaventura.
La querela per diffamazione concerne un articolo del settimanale Gente del 17 giugno 2004 in cui il giornalista Renzo Magosso intervistava un sottufficiale dei carabinieri dell'epoca, Dario Covolo, che dichiarava di avere presentato sei mesi prima del delitto una nota informativa sui terroristi che stavano progettando l'azione criminosa e che i suoi superiori la chiusero in un cassetto. Sulla base dell'articolo, in Parlamento alla fine della scorsa legislatura fu discussa una interrogazione a risposta immediata dell'onorevole Marco Boato e successivamente una interpellanza urgente sui misteri del caso a firma sempre dell'onorevole Boato e sottoscritta dai deputati Intini, Biondi, Pisapia e Bielli. In quella occasione il ministro Giovanardi per la prima e unica volta in vita sua difese la magistratura di Milano e si rifece alle affermazioni del dottor Armando Spataro. Vale la pena riportare una frase sconcertante della risposta del governo: «Quindi il governo non ha potuto fare altro che raccogliere nuovamente dalla procura di Milano, dai magistrati, sulla base di dichiarazioni rese in passato e di quelle di oggi, la loro volontà di non (proprio così, ndr) spiegare nuovamente cose già chiarite in tutte le sedi competenti».
L'onorevole Boato in sede di replica definì la risposta di Giovanardi «semplicemente indecente». Da quel momento si sviluppò, proprio in coincidenza con il venticinquesimo anniversario della morte di Tobagi, una ricerca e un approfondimento sui lati oscuri che facevano dire al direttore del tempo del Corriere della sera, Stefano Folli, «di non ritenere ancora chiusa la vicenda». Sono stati pubblicati alcuni volumi: Il caso Tobagi di Ugo Finetti, Le parole di piombo di Paolo Franchi e Ugo Intini, Walter Tobagi di Daniele Biacchessi. Giovanni Minoli ha dedicato all'affaire diverse puntate de La storia siamo noi e Claudio Martelli una trasmissione che gli ha fatto guadagnare una dura contestazione da parte di Tino Oldani, caporedattore di Panorama sul ruolo di Caterina Rosenzsweig, fidanzata dell'omicida Marco Barbone, che per la procura di Milano «poteva non sapere». È sterminato l'elenco dei pezzi giornalistici usciti in quel periodo che hanno riportato i nuovi elementi emersi dall'inchiesta di Magosso. Cito alla rinfusa i nomi degli autori: Antonio Dipollina, Luca Fazzo, Riccardo Chiaberge, Attilio Giordano, Giangiacomo Schiavi, Sebastiano Messina, Giuseppe Caruso, Dario Fertilio, Enrico Bonerandi, Gaspare Barbiellini Amidei, Stefano Salis, Dino Martirano, Piero Degli Antoni, Gian Guido Vecchi, Annachiara Sacchi, Claudia Fusani, Ruggiero Capone. Nessuno è sotto accusa, solo Magosso è sotto processo per una intervista. La cosa ha dell'incredibile, eppure non suscita scandalo. Le udienze finora si sono svolte nel silenzio più assoluto. Mi sono chiesto la ragione della latitanza dell'Ordine dei Giornalisti e della Federazione Nazionale della Stampa. Qui non è in gioco una difesa corporativa ma l'essenza della libertà di stampa e del diritto-dovere dell'informazione. La giurisprudenza della Cassazione è chiara sul punto, ma la solitudine di Magosso pone un problema politico.
In Sicilia situazioni del genere segnano il destino di una persona. Qui la partita è ancora più delicata. Renzo Magosso da imputato si è trasformato in accusatore. Ha rivendicato la sua amicizia con Tobagi e il suo impegno perché l'oblio non nasconda le ragioni occulte che hanno determinato quella tragedia. Magosso, peraltro, ha riferito in aula una circostanza inedita e clamorosa: venti giorni dopo il delitto, nel giugno 1980, il generale Dalla Chiesa incontrò l'allora direttore del Corriere Franco di Bella e gli disse chiaramente che a uccidere Tobagi era stato Marco Barbone, figlio di un alto dirigente dell'Editoriale. Di Bella chiese a Magosso, che lavorava al quotidiano L'Occhio, e che seguiva le indagini sul terrorismo, di accertare quanto ci fosse di vero. Magosso si rivolse all'allora capitano Bonaventura che confermò la circostanza, aggiungendo: «Abbiamo la certezza, la notizia arriva da Varese». Va chiarito che Rocco Ricciardi, l'informatore citato da Dario Covolo, abitava proprio nel varesotto. Ebbene, il 25 settembre, a poche ore dall'arresto di Barbone, Magosso scrisse sull'Occhio, il tabloid della Rizzoli diretto da Maurizio Costanzo, che era stato arrestato il killer di Tobagi e fece esplicito riferimento a Varese. Solo il 10 ottobre, «in maniera inaspettata e clamorosa», come riferiscono gli atti processuali, Barbone confessò di aver ucciso Tobagi. Magosso dunque non si era sognato nulla. E questa sembra proprio la riprova che nella vicenda ci sia ancora moltissimo da chiarire.
Occorrerebbe allora cogliere l'occasione per far fare finalmente chiarezza e giustizia. Ma l'impressione che si ricava dall'andamento del processo di Monza è che non si voglia andare in fondo, così che chi ha dato un contributo alla verità rischia di essere invece punito: serve a molti una condanna per diffamazione e magari una causa civile per danni per mettere una pietra tombale sulla vicenda.
Perché non fu salvato Tobagi? Fu solo sciatteria e insipienza, o ebbe un ruolo la P2? Fu decisivo l'utilizzo dei pentiti e un indecente rapporto di scambio? Dopo l'uccisione di quattro br in via Fracchia a Genova faceva comodo una ripresa del terrorismo in cui la vittima sacrificale poteva ben essere un riformista socialista, magari vicino alla direzione del maggiore quotidiano italiano? Sono domande inquietanti.
Barbone venne prontamente scarcerato, grazie alla collaborazione con i magistrati, che portò all'arresto di decine di suoi ex compagni. La sua ex fidanzata non venne neppure inquisita, nonostante avesse partecipato al progetto di sequestrare lo stesso Tobagi. Ora il processo contro il giornalista Magosso rischia di trasformarsi, al di là della volontà dei giudici, nella identificazione di un capro espiatorio che sia di monito per chi volesse insistere nel non rassegnarsi a una verità di comodo. L'Ordine dei giornalisti e la Federazione della stampa, il ministro della Giustizia, le forze politiche e i tanti sedicenti garantisti, di destra e di sinistra, non hanno nulla da dire?