TEMPO DI OSMOSI, LIBERIAMOCI DALLE NOSTRE ZAVORRE, intervista a Massimiliano Cacciari di Federico Brusadelli, da il Secolo d'Italia, 3 ottobre 2010

15 novembre 2010

TEMPO DI OSMOSI, LIBERIAMOCI DALLE NOSTRE ZAVORRE, intervista a Massimiliano Cacciari di Federico Brusadelli, da il Secolo d'Italia, 3 ottobre 2010

Premessa:"Cacciari lei e' sicuro che sta per nascere in Italia una destra costituzionale e republicana, laica ed attenta alle libertà individuali? Per me che probabilmente non la voterà mai, se non altro perchè non posso scordare le responsabilità che ha nell'aver portato al governo la secessione e la xenofobia di Bossi, rappresenterebbe comunque una vera e storica rivoluzione. Possiamo sperare in un futuro nel quale destra e sinistra pur contrapponendosi abbiamo dei valori comuni: il risorgimento e l'unità del paese, la costituzione e la repubblica?"
Per quasi vent’anni l’Italia ha provato a costruire la Seconda Repubblica. Tutto inutile. E adesso, per guardare al futuro e per riportare la politica al centro delle cose, serve lanciare una scommessa. Serve «abbandonare le vecchie categorie del Novecento», spazzate via dalla storia. Serve un nuovo patto costituente. Serve liberarsi di tutte le «zavorre inerziali» (dall’anticomunismo al populismo spinto) che appesantiscono «partiti e pseudo-partiti». Massimo Cacciari, filosofo ed ex sindaco di Venezia, non ha dubbi: è questa l’unica via di salvezza. È questa «l’ora dell’osmosi». E chissà che con Fini.
Professore, siamo all’alba della Terza Repubblica?
Ma la Seconda Repubblica non è mai nata. Come non sono mai nati né il Pdl né il Pd. Perché sono mancati i soggetti responsabili e “aggreganti” che potevano costruirla, la Seconda Repubblica. È mancato il soggetto attuatore, quello che per la Prima Repubblica è stato il patto costituente vero tra le forze di estrazione socialista e quelle di tradizione democristiana. Insomma, dal 1991-92 a oggi abbiamo assistito, da una parte e dall’altra, ad atti, anche generosi, diretti a creare i soggetti in grado di costruire a loro volta la Seconda Repubblica. Eccola, la storia degli ultimi venti anni: una serie infinita di tentativi (falliti) di costruire forze maggioritarie o almeno tendenzialmente maggioritarie. Da destra e da sinistra, nel centrodestra e nel centrosinistra, l’Ulivo e il Pdl: tutto fallito. Le ragioni di questo fallimento? Andrebbero analizzate in profondità con coraggio e capacità culturale, al di là dei gossip e delle cronache.Ma cosa sta accadendo in questi giorni nel panorama politico italiano?I due pseudo poli si stanno disgregando, questo è evidente. E speriamo che da questa “decostruzione” si possano generare nuove forze, in grado di accordarsi e di trovare un ubi consistam che dia vita a un nuovo patto costituente. A una Nuova Repubblica.
Destra e sinistra rimangono categorie valide per interpretare la politica?
No, non hanno più alcun senso. I termini su cui si definivano la “destra” e la “sinistra” sono ormai collassati, e dovremmo averlo capito da tempo. Quei termini erano le contraddizioni storiche del Novecento: programmazione e mercato, pubblico e privato, atlantismo e neutralismo. Tutte grandi contraddizioni che sono state spazzate via dalla storia. Ed è chiaro, allora, che continuare a parlare di destra e sinistra nei termini in cui se ne parlava ancora una generazione fa non ha più alcun senso. Il fatto poi che il tentativo di costruire una Seconda Repubblica sia stato compiuto usando proprio questi termini e queste contrapposizioni è stata una pura sciagura. La ragione di fondo per la quale ci troviamo, diciamolo pure, nella merda, è che quella forza maggioritaria uscita dalla crisi di Tangentopoli e dalla caduta dei muri, ha voluto costruire la sua fortuna sull’anticomunismo. Una follia, pura demagogia, puro flatus vocis ideologico.
Come si inserisce la Lega in questo quadro?
La Lega è l’unica forza politica, uscita dalla grande crisi di vent’anni fa, che fondi la propria ragione d’essere su obiettivi che non hanno nulla a che fare con la “destra” e la “sinistra”. L’obiettivo federalista è un obiettivo che, comunque declinato, fuoriesce dallo schema tradizionale e dalle contrapposizioni della Seconda Repubblica. Purtroppo, e ritorniamo al punto di prima, non è stato uno schema di questo tipo ad affermarsi, non si è scelto di dividersi su obiettivi nuovi rispetto al passato novecentesco. Forse questa crisi spazzerà via le vecchie polarità, e bisognerà vedere se le forze politiche riusciranno a ridefinire uno spazio politico che sia impostato sulla base di nuove contraddizioni. Insomma, dovremo vedere se riusciremo a dividerci su cose, obiettivi, termini e linguaggi che non riguardano più il Novecento. Ecco la scommessa.
A proposito di scommesse, Gianfranco Fini ha appena lanciato la sua...
Da questo punto di vista mi pare che Fini abbia sviluppato negli ultimi anni uno sforzo reale. Su certe cose con Fini posso essere totalmente d’accordo (e penso al modo in cui ha scelto di declinare le questioni della sicurezza, dell’immigrazione, dell’integrazione), e su altre no. Ma lui ha cercato di declinare termini e questioni dal suo punto di vista, e soprattutto ponendosi al di fuori degli schemi novecenteschi destra-sinistra.
Ma senza più destra e sinistra resta la scelta obbligata del “centrismo”?
No, c’è la “centralità”. Perché su tutti i grandi i temi della contemporaneità la politica può e deve riassumere una sua “centralità”. E può farlo solo se le contrapposizioni e le contraddizioni – che sono l’anima della politica democratica – si concentreranno sulle questioni nuove, senza più fare ideologia ripetitiva sulle questioni vecchie. Questo è lo sforzo che, a me pare, stanno operando timidamente le forze più consapevoli della nostra politica: Fini, Casini, certe voci della società civile, Montezemolo. Certo, si tratta spesso di voci che ancora sono all’interno di partiti o di pseudopartiti tuttora oberati e appesantiti da zavorre inerziali, demagogie, populismi, veterogiustizialismi, anticomunismi, ideologie stataliste. Di zavorre ce ne sono di tutti i colori, sia a sinistra che a destra.
Si aprono inevitabilmente nuovi scenari, insomma.
Ma certo. Vedremo osmosi, vedremo aggregazioni assolutamente imprevedibili. Che ne so: persone come il sottoscritto che possono trovarsi con Fini! E perché no? Che problema ci sarebbe? I momenti di grande crisi, se vengono vissuti in tutta la loro autentica drammaticità, possono dar vita a scenari del tutto inaspettati. Se pensiamo che da crisi di questo genere si possa uscire con “continuismi”, ripetendo le vecchie frasi e le vecchie ricette, beh, siamo fritti. Ma non sono fritte la destra o la sinistra, è fritto tutto il paese…
Passiamo ai temi: su quali grandi questioni la politica dovrebbe trovare questa sua “centralità”?
Ne elenco solo alcuni. La riforma del welfare, che è inderogabile. E che significa garantire diritti fondamentali dimagrendo lo stato, snellendo l’amministrazione (e non dissipare le risorse allargando le burocrazie come è successo nella storia del vecchio welfare). Il federalismo, la riforma delle riforme. Perché non si costruisce l’unità italiana, che non c’è mai stata, senza federalismo. E va fatto a partire dalle autonomie locali, cioè all’opposto di quello che dice la Lega; passando poi per un federalismo fiscale che nulla ha a che vedere con quello disegnato da Calderoli, in cui muta solo la distribuzione delle risorse mentre la finanza rimane assolutamente centralizzata. La politica estera: come affrontare le grandi crisi internazionali? Come confrontarsi con il mondo islamico? E la lista potrebbe continuare a lungo…
“Né destra né sinistra, noi siamo sopra”. L’ha detto Beppe Grillo. Dunque è d’accordo con lei?
Ma no, quella è demagogia pura. Sopra? Ma sopra a cosa? “Sopra” si credevano Mussolini, Stalin, Hitler. Lasciamo perdere Grillo. Anche perché si tratta di fenomeni fisiologici in democrazia, soprattutto in momenti di crisi. L’attenzione, ripeto, deve essere su quelle forze che possono esprimere una “centralità” e che invece non la esprimono affatto. Da lì può uscire l’innovazione, non da Grillo. Ma quest’innovazione deve essere innanzitutto innovazione rispetto alla loro storia. Queste forze che possono essere “centrali” devono capire di essere arrivate a un punto di crisi irreversibile, e liberare le energie che ancora hanno al loro interno ancora per riguadagnare fiducia della società civile, di quel 50% di italiani che – secondo tutti i sondaggi – non si interessa più di politica.
Altro problema: la politica italiana sembra aver trascurato il mondo degli intellettuali, ultimamente. È solo un’impressione?
L’Italia ha una tradizione, che va rivendicata positivamente, di grande presenza intellettuale, di impegno nobile e buono all’interno della lotta politica. Sia nell’area cattolica che in quella laica, sia in quella socialista che in quella di destra. Ma oggi, purtroppo, è vero: la voce libera e critica (perché tale è e tale deve essere sempre) dell’intellettuale in politica, non viene minimamente ascoltata. È così.
Di recente ha tenuto una lezione sull’Umanesimo. Una tradizione da recuperare per costruire questa Nuova Repubblica?
Dunque, ho parlato dell’Umanesimo italiano sottolineando il fatto che non abbia come sua conclusione inevitabile l’esaltazione delle forze produttive e tecnico-scientifiche, quanto piuttosto l’esaltazione della nobiltà e della maestà dell’uomo attraverso il suo essere in continua ricerca, il suo essere un “possibile”. Si tratta, in sintesi, della manifestazione della piena consapevolezza del carattere dubbioso, incerto, insicuro, di ricerca permanente, che l’uomo esprime in sé. Sì, da questo punto di vista, quella dell’Umanesimo è una lezione preziosa. Perché spinge alla relazione, al dialogo, all’ascolto, all’attenzione per l’altro. Senza andare a caccia di facili sicurezze e di facili consolazioni. E credo davvero che un Umanesimo di questo tipo possa essere considerato a tutti gli effetti l’anima della convivenza democratica.

Vai all'Archivio