SUL PIANO ARIA CLIMA DEL COMUNE DI MILANO di Giorgio Goggi da Arcipelago Milano del 4 gennaio 2021

04 gennaio 2021

SUL PIANO ARIA CLIMA DEL COMUNE DI MILANO di Giorgio Goggi da Arcipelago Milano del 4 gennaio 2021

Un piano ponderoso per dire nulla o cose sbagliate

L’ennesimo documento inconsistente dove tra ovvietà ed errori si rimasticano vecchi dati e si fanno ipotesi contradditorie e scoordinate. È un documento che potremmo definire di scuola burocratica romana e non è un complimento.

Il Comune di Milano ha approvato, in tempi assai serrati, il “Piano aria clima”. Il piano si compone di 968 pagine contenenti una grande quantità di “azioni”, ma senza alcun accenno all’assetto urbanistico sia di grande scala, sia di scala urbana. Si potrebbe dire che questo piano sarebbe perfetto per Tamanrasset, città isolata nel deserto (ammesso che Tamanrasset ne abbia bisogno).

Milano, invece, non è isolata, ma al centro di un esteso e strettissimo conglomerato di altre città circostanti che sostengono e fanno crescere la sua ricchezza con il lavoro dei loro abitanti, molti dei quali si spostano in Milano e lavorano per Milano. Della consapevolezza di questo impianto urbanistico manca ogni traccia nel piano; fatto ancora più singolare per un Comune il cui Sindaco ha il mandato di governare l’intera Città Metropolitana.

Nemmeno si scorge un’attenzione alla mobilità (che non sia meramente negativa e tesa a limitarne buona parte) e all’assetto urbanistico, entrambi aspetti ben legati ad aria e clima. Solo così, peraltro, si spiegano gli interventi volti a limitare la capacità delle strade di penetrazione da cui vengono i pendolari, realizzando le piste ciclabili che la tecnica internazionale, invece, vorrebbe tracciate sulle strade di quartiere.

Come se il Sindaco, già direttore generale quando la Giunta Moratti decise di cancellare dal PGT il progetto del secondo passante, non sapesse che la pur robusta rete di trasporto pubblico, come è ben noto, non è in grado di garantire l’accesso a Milano di tutti i pendolari che vi lavorano. Come se la città, agognando uno splendido e salubre isolamento, volesse suicidarsi mortificando l’accessibilità di quelli che la fanno vivere.

Per altre motivazioni, è già successo che città più grandi, come Londra e Parigi, si stiano oggi spendendo enormi risorse per riconnettere al trasporto pubblico attività e imprese fuggite per installarsi negli insediamenti circostanti.

Il problema non sono le piste ciclabili, né la lotta all’inquinamento, interventi necessari da mettere in atto con giudizio e tecniche adeguate. Il problema è la totale mancanza di un’esplicita strategia complessiva ambientale, urbanistica e di accessibilità.

Infatti il piano è composto da molte (troppe) azioni diverse, l’una totalmente slegata dall’altra, senza che il loro insieme componga una strategia da cui si capisca quale sarà il futuro assetto di Milano e della Città Metropolitana.

Basti, per esempio, pensare a quanto si scrive su teleriscaldamenti o riscaldamenti elettrici e sulla preoccupazione per il deflusso delle acque e gli allagamenti: tutte singole azioni ed ipotesi slegate. Al contrario, riscaldare e raffrescare con pompe di calore, prendendo acqua dal reticolo idrico minore riaperto (compresi i futuri navigli) e dalla falda e restituendola attraverso il reticolo idrico, costituisce una sola complessiva azione strategica, capace di migliorare l’ambiente e di portare cospicui vantaggi economici nelle casse del Comune e agli utenti (come è già emerso dai lavori e dal calcolo costi-benefici di MM sulla riapertura dei navigli).

Vi è un’acritica fede nella mobilità elettrica, incurante di quanto ha dichiarato Akio Toyoda, presidente della Toyota. Manca una riflessione sull’onere e sull’inquinamento procurato dallo smaltimento delle batterie, sui danni ambientali generati dall’estrazione delle terre rare. Una riflessione sul fatto che centinaia di migliaia di automobili di milanesi sono parcheggiate in strada (e circa un centinaio di migliaia di queste su marciapiedi e aiole impossibili da raggiungere con le colonnine di ricarica), e sull’onere necessario per elettrificare un parcheggio di medie dimensioni.

Si rischia di predisporre un futuro in cui solo le persone abbienti ed in particolari condizioni (ad esempio: possesso di box con impianto di ricarica) potranno permettersi la mobilità privata urbana.

È positiva, invece la volontà di realizzare parcheggi in struttura, quattordici anni dopo che la Giunta Moratti revocò analoghi parcheggi già convenzionati (e in gran parte prenotati) per circa 25.000 stalli.

Pure positiva la volontà di imporre il pagamento della sosta residenziale su strada, che è il sistema migliore per diminuire la motorizzazione, diffuso ormai in moltissime città. Se l’intento andrà a buon fine, sarà almeno venti anni dopo che il Consiglio Comunale si rifiutò di prendere in considerazione un analogo provvedimento.

Da ultimo, tutto il piano ha un marcato sentore di documento elettorale e questo, forse, fa sperare in una futura resipiscenza.

 

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