SUL GOVERNO di Pieraldo Ciucchi del 16 luglio 2019
16 luglio 2019
La crisi di governo che finora era una minaccia di Salvini ora è diventata
un’arma ostentata contro di lui. Già prima del voto europeo il previsto
successo della Lega attribuiva al suo leader il ruolo di dominus della legislatura.
Ancora oggi sembra scontato che la crisi di governo aprirebbe la strada alle
elezioni anticipate: esse vedrebbero certamente vincente la coalizione di
centro-destra (con Berlusconi o con scissione di Toti) a guida Salvini, che
tutti i sondaggi considerano ben oltre il 40 per cento. Con l’attuale legge
elettorale, il leader della Lega si garantirebbe una sicura maggioranza
parlamentare. Lo stesso segretario del Pd, Nicola Zingaretti, quasi
quotidianamente cerca di rassicurare Salvini che se si apre la crisi chiederà
le elezioni anticipate.
Ma con il caso Metropol lo scenario è cambiato. A cominciare dalle
“provocazioni” di ministri ed esponenti del M5s, si direbbe che Salvini venga
non solo sfidato, ma spintonato ad aprire la crisi.
L’ipotesi che la Lega di Salvini si sia finanziata con fondi neri su cui ora
indaga la Procura di Milano interessa ovviamente l’opinione pubblica italiana,
ma è un fatto sostanzialmente irrilevante per le cancellerie estere. Il vero
“scandalo” da Washington a Berlino è già ampiamente provato dalla “introduzione
politica” divulgata in cui si sostiene che la politica di Salvini ha come
obiettivo che l’Italia divida e indebolisca Nato e Unione Europea a favore di
Mosca. Si tratta del resto di un fatto evidente da tempo di cui Salvini in
prima persona non fa mistero.
Ma proprio questo è il “vulnus” che porta al crescere di un concorso di intenti
a destituirlo da un ruolo di guida dell’Italia. Il fatto che, ad esempio, il
ministro degli Esteri Moavero abbia “preso in mano” a nome del premier Conte la
questione migranti da trattare con Bruxelles indipendentemente dal ministro
dell’Interno e del suo neoministro agli Affari europei è chiaramente una
“provocazione” verso la Lega e uno spintonamento a farle aprire la crisi.
Perché?
È evidente che in caso di crisi con l’eventualità di elezioni anticipate il
Presidente della Repubblica non lascerebbe in vita il governo in carica con un
quotidiano “teatro dei burattini” tra Salvini e Di Maio come è successo durante
la campagna per il voto europeo. La scelta scontata è un “governo di garanzia”
nominato dal Quirinale. Ma non è scontato che il Parlamento lo bocci per
suicidarsi a vantaggio di un futuro governo salviniano (che eleggerebbe un
successore di Mattarella di centro-destra).
In caso di crisi, la nascita di un governo non come espressione di un accordo
diretto tra Pd e M5s, ma che si presentasse “neutrale” come espressione del
Quirinale in vista di concludere le trattative per i nuovi vertici dell’Unione
Europea e varare la necessaria legge finanziaria molto probabilmente non
sarebbe bocciato, ma troverebbe una maggioranza di non suicidi non solo dal Pd
al M5s.
In particolare sembra sempre più evidente che anche in campo grillino, a
cominciare dalla Casaleggio Associati, rimanere con Salvini, approvare la Tav,
trattare in prima persona con Bruxelles è logorante, mentre sarebbe più
vantaggioso mantenere voce in capitolo sulle nomine e prendere le distanze
dalle quotidiane responsabilità di governo.
Inoltre è la grande crescita della Lega che oggi supera il 35 per cento a
essere il “boccone” che unifica gli appetiti di destra, di sinistra e di
centro.
Salvini è infatti cresciuto ed esploso nei voti e nei sondaggi in quanto
“campione sul ring”. Il match con la capitana tedesca gli ha portato più
consensi che dissensi. Ma il giorno in cui si trovasse tra il “pubblico”,
seduto sui banchi dell’opposizione, di fronte a un governo “benedetto” dal
Quirinale, con la sdrammatizzazione della stessa emergenza migranti prefigurata
da Moavero attraverso una politica di accordi con le cancellerie che oggi
vedono Salvini come un sabotatore, il primeggiare mediatico del leader della
Lega evaporerebbe.
La visibilità che oggi il ministro dell’Interno ha per i continui “braccio di
ferro” sarebbe sostituita da una visibilità mediatica concentrata per lo più su
inchieste giudiziarie.
Mancando il deterrente della crisi di governo e accettando di collezionare
provocazioni quotidiane, Matteo Salvini rischia però lo “scacco matto” e cioè
di perdere il ruolo di “uomo forte” su cui si basa la sua crescita elettorale.