SUL CONGRESSO DEL PSI di Roberto Biscardini

07 marzo 2017

SUL CONGRESSO DEL PSI di Roberto Biscardini

Non parteciperò, insieme ad altri compagni al prossimo Congresso Nazionale del Psi, per non legittimare con la nostra presenza un Congresso fatto solo per mettere una pezza e per eludere le sentenze del Tribunale di Roma che hanno giudicato nullo quello precedente di Salerno. Né per legittimare con la nostra presenza e il nostro voto una gestione non più democratica del partito in un Congresso già finito prima ancora di iniziare. Naturalmente la questione più rilevante è la divergenza con la politica espressa dall’attuale segreteria del Psi, confermata dalla mozione unica. Una divergenza ormai sulla strategia e sulla natura del partito.
Bastano tre questioni contenute nella mozione unica che accompagna l’attuale Congresso per chiarire come l’attuale gruppo dirigente abbia portato il Psi fuori dalla sua storia.

1. Nessun esame serio, men che meno autocritico, è rivolto al voto del 4 dicembre. Anche il Psi come Renzi continua a ritenere che il 60 % degli italiani, compresi i tanti socialisti che hanno votato No, abbiano commesso un errore, avendo “bloccato un percorso riformatore che faticherà a riprendere velocità”, aggiungendo “un apprezzamento per la coerenza per il Presidente del Consiglio che subito dopo la sconfitta ha rassegnato le sue dimissioni”.
Nulla naturalmente si dice sulla scelta effettuata della segreteria del Psi a favore del Si, che ha segnato una frattura profonda con il senso della propria tradizione e con i militanti socialisti. Ha collocato il partito strategicamente in una area che non le è propria, un po’ egoistica e po’ di destra, una collocazione che con il socialismo non c’entra nulla e ha tradito la storia socialista del Psi come partito della democrazia. Come non accorgersi che la causa del fallimento del Si non può essere attribuita opportunisticamente alla sola gestione bullistica di Renzi o a errori di comunicazioni? Come non accorgersi che dietro a quel voto c’è il netto rifiuto della maggioranza degli italiani a un modello che avrebbe voluto stravolgere il valore della democrazia e il diritto al voto? Ciò ha messo in evidenza come il Psi oggi, non sia solo un partito con un gruppo dirigente autocratico che lo usa per propri fini personali, ma in nome di questi fini rinnega il mandato che ha avuto dai suoi iscritti. E con questo gruppo dirigente ci sono i suoi parlamentari che non possono nascondersi dietro un dito dopo che hanno votato la riforma costituzionale bocciata dagli italiani, l’Italicum bocciato dalla Consulta e le riforme del lavoro e della scuola bocciate dai lavoratori.

2. Sul tema legge elettorale, si sostiene che la strada maestra per i socialisti sia il ritorno al Mattarellum, con ciò negando una posizione sostenuta dal Psi fin dal 1994 a favore di un sistema proporzionale con preferenze.
Riproporre un sistema maggioritario e la rinascita di una colazione di centrosinistra  ha senso solo nella logica dei vecchi cespugli. Non per fare una politica autonoma, ma per trovare una facile rielezione in parlamento per qualche proprio rappresentante.
Ma di quale centrosinistra stiamo parlando, dentro quale penosa situazione ci vogliamo collocare, il centrosinistra a guida Renzi? Mi sembra un’idea irrealistica. La sentenza della Corte Costituzionale sull’“Italicum”come quella sul “Porcellum”, apre una fase nuova nella politica italiana. Certo il sistema elettorale che deriva dalle sentenze, di natura sostanzialmente proporzionale, conserva notevoli incongruenze, prima tra tutte il mantenimento della possibilità della nomina dei parlamentari della Camera dei Deputati da parte dei Partiti attraverso i capilista bloccati, tuttavia consente la sopravvivenza autonoma dei Partiti piccoli e medi, senza imporre, come farebbe il sistema elettorale cosiddetto “Mattarellum”, la confluenza in coalizioni forzate o liste più grandi.

3. Infine il problema del lavoro a cui viene dedicata nella mozione una riga assolutamente generica quando parlando di alleanza riformista si aggiunge “che ponga al centro il lavoro soprattutto quello giovanile”. Con ciò si conferma un giudizio positivo sul jobs act e nulla si dice dell’opportunità di schierarci a favore dei referendum richiesti da milioni di italiani. I socialisti non possono non avere del lavoro un’idea chiara, non possono non stare dalla parte del diritto ad un lavoro dignitoso, un lavoro opportunamente retribuito, dentro un quadro più generale che comprende il diritto alla piena occupazione, la lotta alla disoccupazione, la lotta allo sfruttamento del lavoro subordinato e nuove regole a tutela del lavoro autonomo. Contrastando le tragiche riforme dell’ultimo governo a partire dal jobs act, impegnandosi a sostenere i referendum promossi dalla Cgil. Anche per questo una nuova prospettiva per il socialismo italiano è assolutamente necessaria.

 

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