“STORIA DI CRAXI” NEL PSI. DALLA MINORANZA A MILANO ALLA SEGRETERIA, di Ugo Finetti, da Critica Sociale n.10/2009

20 gennaio 2010

“STORIA DI CRAXI” NEL PSI. DALLA MINORANZA A MILANO ALLA SEGRETERIA, di Ugo Finetti, da Critica Sociale n.10/2009

La vicenda del leader socialista non è stata un”episodio” estraneo alla storia del PSI ma si svolge lungo 15 congressi di battaglia nel partito, per l’autonomia dal PCI e l’approdo all’identità riformista delle sue origini

In questo libro per la prima volta sono ricostruite tutte le tappe della vita di Craxi tra ascese e cadute, vittorie e sconfitte: l’esperienza di leader studentesco negli anni Cinquanta e di assessore nella Milano “laboratorio riformista” degli anni Sessanta, l’urto con la “contestazione globale” nella Milano delle stragi, gli anni in minoranza con Nenni nel Psi e poi la crescita come dirigente nazionale nella battaglia per il divorzio e come rappresentante dell’Internazionale Socialista. Gli anni alla guida del Psi che portarono il partito a una crescita elettorale e a un ruolo politico determinante per tre legislature; il caso Moro, il “duello” con Berlinguer, la conquista di Palazzo Chigi, la politica riformista, le battaglie per il presidenzialismo, l’unità socialista dopo la caduta del Muro di Berlino. Infine, le ragioni del declino e della caduta. Ricco di informazioni, articolate a partire da diverse, autorevoli fonti, il libro affronta con rispetto le tesi di parti opposte, entrambe sostenute da validi argomenti.
Pubblichiamo in queste pagine l’Introduzione ed alcuni brani del lavoro di Finetti


A dieci anni dalla sua scomparsa la ricostruzione del ruolo svolto da Bettino Craxi nella sinistra e nel governo dell’Italia dovrebbe cominciare ad uscire da una sorta di “coprifuoco”, di “stato di assedio”. Il decennale della morte di Craxi coincide infatti con il ventennale della caduta del Muro di Berlino e non può non colpire come il generalizzato giudizio negativo su Craxi si accompagna ad una valutazione positiva del comunismo italiano.
Gramsci, Togliatti e Berlinguer, strappati dal “movimento comunista internazionale”, appaiono come i fondatori di un riformismo “di fatto”, nazionale ed autonomo dal comunismo al potere: il Pci avrebbe “integrato” le masse nello Stato e sarebbe stato il vero punto di forza della democrazia - occidentale e liberale - in Italia.
In sostanza emerge che chi ha scelto di rompere con i comunisti – nel 1947, nel 1956, nel 1979 – è stato un venduto e/o un fallito. Prevale a livello storiografico uno sguardo severo per non aver fatto governare l’Italia dal “partito fratello” del PCUS.
Craxi ne sarebbe uno dei massimi e pessimi responsabili. Il suo operato è bocciato dalla storiografia dominante con un voto molto negativo. Uno dei più seri e diffusi manuali scolastici di storia contemporanea – il Giardina-Sabbatucci-Vidotto – insegna che vi fu un “lungo ministero Craxi”(1), ma del quale non c’è nulla da ricordare.
Anche i più autorevoli storici di cultura socialista sono categorici e quasi sprezzanti. “Il ‘nuovo corso’ di Craxi dalla fine degli anni settanta – scrive Maurizio degl’Innocenti - si sarebbe ridotto soprattutto ad una più o meno efficace capacità di manovra politica”(2). Il fatto che il Psi, dopo essere stato per tutti gli anni settanta al di sotto del dieci per cento, sia poi cresciuto con Craxi del cinquanta per cento diventa un argomento negativo: “Dopo più di dieci anni – dal 1979 al 1987 – la crescita dei socialisti – scrive Simona Colarizi – resta esigua, un 5% di elettori in più”(3).
Eppure Renzo De Felice sembra bruciare tali giudizi: “I socialisti – affermava nel 1995 – nel bene e nel male hanno avuto una funzione culturale solo con Craxi. Prima non esistevano”(4). In verità quando si insiste nel dipingere Bettino Craxi negli ultimi anni della sua leadership del Psi secondo il luogo comune di un miope accordo di potere con i democristiani, si dà una lettura affrettata. Bisognerebbe tenere presente come proprio Eugenio Scalfari, che nel 1989 aveva inventato l’espressione “Caf” accusando Craxi di aver dato vita ad un triunvirato con Andreotti e Forlani, pochi mesi dopo lo riconosceva come il principale ostacolo al potere democristiano e con una posizione di forte apertura verso il Pci post Muro di Berlino(5).
Più che col “senno del poi” l’itinerario storico e politico andrebbe ricostruito col “senno del prima” e cioè tenendo presente, man mano che si svolgono i fatti, da un lato le alternative scartate e dall’altro quelle avversate.
La storia di Craxi non è infatti quella di una “carriera”, di una ascesa fatta barcamenandosi ed intruppandosi. Essa si sviluppa invece - con una non comune coerenza di principi e di convinzioni - essenzialmente attraverso una successione di lotte – nel partito, nella sinistra italiana, tra i partiti di governo, tra maggioranza ed opposizione – in cui l’andare in minoranza fu anche una sua scelta.
In particolare nel caso di Bettino Craxi siamo di fronte alla formazione di una leadership politica che è legata alla crescita di una nuova generazione post-frontista e post-marxista nella sinistra italiana. L’ascesa di Craxi non è un colpo di Stato in Italia, lo sbarco di un alieno nel partito socialista. Quella che fu definita come “mutazione genetica” del Psi avviene attraverso quindici congressi in cui Craxi ebbe ruolo prima marginale e poi, man mano, di primo piano. Furono congressi in cui vinse oppure perse, fece forzature e compromessi in un quadro in cui compaiono tante personalità ed avvenimenti che lo contrastarono, lo condizionarono, lo rafforzarono. Fare la storia di Craxi significa ripercorrere un arco di quarant’anni. Il bilancio storico riguarda non solo il Psi, ma come nella sinistra italiana si sono gettate le basi per una cultura di governo, non più di “riforme di struttura” per “superare il capitalismo”. Prende forma con il Psi degli anni ottanta una sinistra con “titoli nobiliari” diversi dal passato cioè non più nazionalizzazioni e programmazione, lo Stato non come “sovrastruttura”, il funzionamento del Parlamento non come “democrazia formale”, le politiche del lavoro non come “integrazione neocapitalista”, la politica europea non come “internazionalismo” ed “antimperialismo”. Si è data prova di una leadership di governo ben diversa da quella democristiana e fortemente integrata con le altre leadership di governo espresse dal socialismo europeo. Secondo la storiografia prevalente Craxi non cambiava nulla rispetto ai democristiani eppure in quegli anni i leader socialisti europei - sia al governo sia all’opposizione - non consideravano Craxi un subalterno o equivalente ai democristiani, ma un punto di forza dell’Internazionale socialista.
Molte incomprensioni o comunque errori sono anche il risultato del far “nascere” Craxi nel 1976. In effetti quando egli viene eletto segretario del Psi era relativamente poco conosciuto sul piano nazionale e negli stessi ambienti romani. E’ quindi facile – soprattutto se si usa solo l’interruttore della luce che viene dal Palazzo di Giustizia – interpretare la vicenda Craxi come la parabola di un politico paracadutato dal nulla che sale alla ribalta di un Psi tutto “alternativa socialista” e “autogestione” e che poi tradisce ideali e compagni, insegue ambizioni sbagliate e fa una brutta fine. Una parabola tutta illusioni riformiste e conati autoritari.
Ma il Craxi segretario nazionale del Psi può essere capito solo se si ha presente il suo ventennio precedente. La sua storia, comunque la si giudichi, ha una sostanziale coerenza. La direzione di marcia prende forma nei primi dieci anni e si consolida, tra cadute in disgrazia e rinascite, nel secondo decennio. Comportamenti ed errori nella fase finale - da come pensa possibile un accordo con Achille Occhetto al farsi influenzare da Marco Pannella su Scalfaro – sono anche conseguenza dell’”onda lunga” della comune esperienza nella politica universitaria.
L’attenzione alla politica estera e la ricerca di rapporti con la socialdemocrazia occidentale non nascono in lui con le elezioni europee del 1979, ma risalgono a più di venti anni prima quando era dirigente universitario e a ventitre anni sedeva accanto a Pietro Nenni in minoranza nel Comitato Centrale del Psi. E’ a partire da quegli anni che si confronta e cresce guardando alle idee, alle esperienze e ai leader laburisti e socialdemocratici. All’inizio degli anni settanta, mentre il vertice socialista trascura i rapporti con i “partiti fratelli”, Craxi si appassiona a quel che fanno Mitterrand all’opposizione in Francia e Olaf Palme al governo in Svezia. Quando negli anni ’80 diventa uno dei protagonisti dell’Internazionale socialista non si tratta del riconoscimento automatico dovuto ad un capo di governo, ma del traguardo di una lunga corsa.
La figura di Craxi è stata una figura tra le più rilevanti del socialismo italiano ed internazionale. Le vicende penali sono qui citate, ma non ricostruite in quanto vengono considerate essenzialmente sotto il profilo politico e per l’incapacità degli avversari di sconfiggerlo con le loro forze alla luce del sole.
Fare la storia con la matita rossa e blu, distinguendo tra buoni e cattivi, vincitori e vinti, non facilita quel che è comunque preliminare: cercare di capire che cosa è realmente successo.
Nell’arco di quarant’anni vediamo affrontarsi personalità di grande rilievo secondo motivazioni non prive di fondamento in entrambi i campi.
Craxi ed i suoi avversari animarono scontri nobili e non inutili.


Note
(1) A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, “L’età contemporanea”, Laterza, Roma-Bari 1997, pag. 1353.
(2) Degl’Innocenti Storia del Psi vol. III, laterza, Bari-Roma 1993, pag. 270.
(3) Simona Colarizi, Storia del Novercento italiano, Rizzoli-Bur, Milano 2000, pag. 470.
(4) “Reset”, marzo-aprile 2004, pag. 18.
(5) Eugenio Scalfari, “Ritorna a casa, Pci”, intervista a Bettino Craxi, Repubblica, 3 maggio 1990.

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