STAVOLTA IL CONTAGIO ARRIVA IN IRAN, di Virginia Di Marco, da Il Riformista, 14 febbraio 2011
02 marzo 2011
Piazza Azadi. Il regime prova a intestarsi la rivolta araba, l’opposizione lo smentisce. Per la prima volta da oltre un anno rialza la testa. Scontri alla marcia. Centinaia di arresti. Mousavi agli arresti domiciliari.
Le informazioni sono confuse, i numeri ancora incerti; solo su una cosa non c’è dubbio: l’Onda verde è tornata a far sentire la propria voce.
Ieri mattina migliaia di manifestanti hanno marciato verso piazza Azadi, a Teheran.
Una manifestazione indetta per mostrare solidarietà alle popolazioni tunisina ed egiziana, hanno dichiarato gli organizzatori, i due leader dell’opposizione Mir Hossein Moussavi e Mehdi Karrubi. Ma soprattutto – hanno sottolineato i due – una manifestazione in sostegno di chi «cerca la libertà da un regime autoritario». Nella Repubblica islamica ogni riferimento a cose o persone realmente esistenti non è certo casuale. Il regime si è sentito chiamato in causa e, con le immagini di piazza Tahrir ancora negli occhi, ha cercato fino all’ultimo di ostacolare la marcia. Ma a nulla sono serviti gli arresti preventivi, né le esplicite intimidazioni del comandante della Guardia rivoluzionaria, che pochi giorni fa aveva dichiarato alla agenzia di stampa filogovernativa Irna: «Schiacceremo senza riguardi ogni movimento, quei sobillatori sono cadaveri che camminano».
Quella fetta di iraniani – sempre più larga, sembra – che vuole cacciare il presidente e il suo governo ha sfidato il divieto, ed è scesa in strada al grido di «Morte al dittatore». Uno slogan storico, scandito all’epoca della rivoluzione contro lo scià e ripreso nel 2009, durante le settimane di sollevazione popolare seguite alla controversa vittoria di Ahmadinejad alle presidenziali. «Uno scippo», avevano accusato allora studenti e parte del ceto medio, convinti che le elezioni fossero state viziate da pesanti brogli.
Il dissenso prese la forma di quella che i giornali battezzarono “Onda verde”, movimento elitario ma ben organizzato, che le autorità di Teheran riuscirono a soffocare con una repressione senza scrupoli.
Oggi il ricordo di quei disordini è più vicino che mai. Chi era in piazza Azadi ha raccontato di feroci cariche della polizia, di lacrimogeni lanciati ad altezza d’uomo, di spari e di centinaia di arresti. «Ci è stato riferito di violenti scontri con le forze di polizia e di diversi manifestanti feriti», racconta al Riformista Bitta, attivista iraniana che anima la pagina Facebook “25 Bahman” (14 febbraio per il calendario persiano). Altri social network, Twitter per primo, hanno parlato anche di alcuni morti.
Ma per fare bilanci di vittime e danni è ancora presto: da ieri mattina le informazioni arrivano frammentate, voci e fatti si mescolano. I cellulari erano fuori uso, e internet ha funzionato a rilento per tutta la giornata. Malgrado le difficoltà, video e messaggi sono riusciti a raggiungere la rete, che li ha immediatamente rilanciati.
Il sito dell’opposizione kalema.com ha diffuso la notizia che Moussavi – che parte dei cittadini considera il vero vincitore dell’ultima tornata presidenziale – e la moglie Zahra sarebbero stati posti agli arresti domiciliari, per impedire che si unissero ai contestatori. Nella stessa condizione si trova anche l’altro spauracchio del regime, Mehdi Karrubi: ufficiali di polizia stazionano da giorni davanti alla sua porta di casa. Una precauzione che avrebbe dovuto scongiurare la manifestazione di ieri, ma che al contrario sembra averla eccitata, dando ai contestatori un motivo in più per scendere in piaza a gridare la propria rabbia e la propria frustrazione. Ahmadinejad e il suo entourage, del resto, non sono gli unici ad aver seguito da vicino gli sconvolgimenti politici del nord Africa. «Come in Egitto e in Tunisia, la rivolta del popolo iraniano continuerà fino al rovesciamento del fascismo religioso al potere», ha dichiarato ieri Maryam Rajavi, presidente del Consiglio di resistenza nazionale iraniano in esilio.
Parole che ricordano quanto scriveva pochi giorni fa sul suo sito Moussavi, prima ancora delle dimissioni del presidente egiziano Hosni Mubarak: «Senza dubbio il punto di partenza di quanto stiamo osservando nelle strade di Tunisi, Sana’a, Cairo, Alessandria e Suez deve essere individuato nelle proteste iraniane». I contestatori dell’Onda verde si augurano che questi paragoni, queste analogie siano veri fino in fondo. Scoprire che regimi apparentemente inamovibili possono cadere come giganti con i piedi d’argilla sotto i colpi della determinazione della parte più consapevole e matura dei cittadini è confortante.
Soprattutto per chi, oggi come due anni fa, ha deciso di rischiare in prima persona per conquistare quei diritti che i sistemi politici più chiusi sono ancora convinti di poter tenere fuori dai propri confini nazionali.