SOVRANISMO OD EUROPEISMO di Francesco Bochicchio

28 agosto 2018

SOVRANISMO OD EUROPEISMO di  Francesco Bochicchio

Una delle grandi tematiche politiche di ampio respiro, forse quella decisiva attualmente, è la scelta tra sovranismo ed europeismo.
Da un lato la sovranità nazionale, dall’altro l’integrazione sovranazionale: da un lato il nazionalismo, dall’altro l’inserimento del singolo Stato in più ampie comunità paritarie e consensuali.
I populismi vengono fatti rientrare nel sovranismo e nel nazionalismo.
Nazione e popolo vengono così identificati.
La realtà è, invece, ben più complessa.
La sovranità è l’elemento che contraddistingue la massima autorità, detentore esclusivo della violenza legittima: “Suprema auctoritas superiorem non recognescens”, sia nei confronti dell’esterno sia nei confronti dell’interno. Sul secondo aspetto non vi è alcuna differenza tra Stato-Nazione e Autorità sovranazionale.
La differenza, vi è ed è incolmabile sul primo aspetto, ma anche qui occorre chiarire: la sovranità nazionale può essere sia difensiva sia offensiva, mentre l’autorità sovranazionale può essere sia paritaria, consensuale e negoziale, sia oppressiva ed invasiva.
L’Impero è il perfezionamento della Nazione, mentre un’Autorità sovranazionale veramente paritaria, negoziale e consensuale non esiste al momento.
All’interno, la sovranità come detto non cambia. Peraltro, il punto vero è che la sovranità interna è sempre vista come riflesso di quella esterna, e la Nazione è l’elemento unificante della comunità.
La sovranità popolare quale forma di riconduzione della massima autorità al popolo non è riuscita al momento ad uscire dal piano dell’utopia come autogoverno o dal piano semantico, quale governo di tutti su tutti. Ha un significato in concreto solo in negativo, quale negazione dell’ammissibilità di un potere originario.
Ma tale negazione è spesso più formale che sostanziale. Il presidenzialismo, sia in modo espresso (America, il cui sistema politico-istituzionale è, non a caso, definito quale una “dittatura temporanea), sia in modo non espresso, come nell’Europa continentale, concentra la sovranità in una persona, dotata di un potere originario e continuativo anche attraverso persone diverse che si succedono nel tempo: la natura originaria del potere è conferita dalla sacralità del potere stesso che trascende la persona e viene ad identificare in sé l’essenza dello Stato, e così della Nazione ed a discendere del popolo. Come notò il grande storico e politologo tedesco Kantorowitz, la sovranità è nata, come figura giuridica ed istituzionale emblematica e nel contempo suprema, con la scissione e con la concomitante presenza, nel Sovrano, tra due corpi, quello fisico e quello simbolico, dalla natura mistica. Ora, il processo si è perfezionato con un cammino all’inverso, di fissazione della sovranità in una persona che è solo l’incarnazione dell’autorità. L’ipostatizzazione del potere si è realizzata in termini non più mistici e quindi non più religiosi ma creando appositamente un’entità, lo Stato, dotandolo di un’autorità assoluta e così di una persona che incarni l’autorità. E’, più che una “fictio”, una vera e propria creazione “ab nihilo” con cui il potere si serve non più della secolarizzazione della religione, come invece erroneamente ritenuto da C. Schmitt, ma semplicemente legittima sé stesso in via autonoma, senza necessità di supporto esterno. E’ il trionfo del razionalismo occidentale con la ragione e la norma al servizio della potenza: e nello stesso tempo, è l’esaltazione della conferma che si tratta di un razionalismo dimidiato, in cui la ragione è solo strumentale e non intrinseca.
Conseguentemente, è evidente che la polemica che appassiona ora l’Italia e l’Europa è fittizia e tale da travisare i termini della questione.
Popolo e Nazione non sono elementi assimilabili tra di loro: all’esatto contrario, la Nazione è l’elemento unificatore della comunità in modo autoritario per non far emergere ed anzi occultare le differenze ed in ultima istanza per reprimere i contrasti, mentre il popolo si identifica con la comunità, in senso omogeneo e quindi egualitario.
Il populismo è antitetico rispetto al nazionalismo: nella realtà non è riuscito a manifestare tale profonda ed irriducibile differenza, in quanto non è riuscito a fornire rappresentanza al popolo, e non ha nemmeno fatto un tentativo in tal senso, in quanto vuole incarnare il popolo, ma negandone la rappresentatività, che creerebbe elementi intermedi. In tal modo con un rapporto plebiscitario e cesaristico la contrapposizione all’”elite” è fittizia, ed addirittura si ricade in pieno nella sovranità assoluta non popolare ma nazionale, secondo lo schema sopra descritto: il populismo confluisce surrettiziamente nel nazionalismo, ma ciò è una patologia e non l’essenza.
Quello che conta è che la sovranità popolare e la sovranità nazionale non solo non sono la stessa cosa, ma sono addirittura antitetiche tra di loro.
E pensare ad autorità sovranazionali in grado di superare il nazionalismo è illusorio se non si organizzano le comunità nazionali su base popolare per poi renderle armoniche e coordinarle a livello per l’appunto sovranazionale.
Ma si è ancora alla superficie della problematica.
La sua essenza è che il nazionalismo non è affatto incompatibile con i veri poteri sottostanti alle autorità sovranazionali, sia sotto forma di Impero sia sotto forma di Comunità, vale a dire il capitale finanziario.
In definitiva, l’unica forza in grado di contrastare il capitale finanziario è la sovranità popolare.
Il populismo ha senso solo se, a mo’ di perifrasi dell’approccio marxiano alla dialettica hegeliana, si riesce a trarre da esso il nucleo vitale, rappresentato dal popolo e dalla sovranità popolare, unicamente staccandolo dal cesarismo, dall’antipolitica e dal mito della democrazia diretta per indirizzarlo a sinistra in senso classista ed antagonista, a partire da una rivitalizzazione della democrazia rappresentativa.

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