SOTTO LE MACERIE DELLA SINISTRA ANCHE QUELLE DI LEU di Roberto Biscardini da Jobnews.it
08 marzo 2018
Inutile esercitarsi sul tema di quale governo riuscirà ad
avere la maggioranza in parlamento. E in quali tempi.
Più interessante qualche considerazione sui risultati
elettorali con particolare riferimento alla crisi della sinistra.
In sintesi: con le elezioni di domenica scorsa ha certamente
vinto il centrodestra, ma dentro quella coalizione ha prima di tutto vinto la
Lega che passa dal 4% del 2013 al 17%,
quadruplicando il suo peso elettorale e superando FI. E ha vinto il M5S che con
il 32,6 è solidamente il primo partito nazionale, raccogliendo un voto giovane
e recuperando buona parte dei voti persi dal Pd. Infatti, non è da
sottovalutare il dato politico che il popolo del Pd, che avrebbe dovuto essere
l’espressione di una solida cultura di governo e riformista, ha scelto questa
volta il movimento apparentemente più populista dello schieramento politico. Hanno
vinto quindi i cosiddetti partiti antisistema. O meglio i partiti che più di
altri hanno rappresentato l’alternativa
al vecchio ceto politico. Al ceto politico che ha governato il paese in questi
venti anni. Confermando con ciò che questo voto liquida la Seconda repubblica,
i suoi residui e i loro eredi. Liquida, forse definitivamente, il Pd
espressione di ciò che rimaneva del centrosinistra prodiano e dell’alleanza cattocomunista
nata nel 1996. Fa tabula rasa di Renzi, ma anche di Letta, di Franceschini e di
tutti gli altri. Il voto rottama il vecchio quadro dirigente che Renzi non è
riuscito a rottamare da solo.
Ma, a destra, liquida sostanzialmente anche Berlusconi, che
non sarà più la guida della sua coalizione e prima o poi dovrà trarre le
conseguenze.
Quello di domenica è stato quindi soprattutto un voto contro
la politica e contro il ceto politico
che più l’ha rappresentata. Ed in particolare il ceto politico più conosciuto,
premiando quindi per paradosso i partiti, Lega e M5S, con candidati meno noti,
più giovani, meno esperti, anche se meno capaci. Pur di mandare “a casa” gli
altri. Come dire: più sono sconosciuti e meglio è.
Non è un caso che la vittoria del M5S sia la vittoria di un
movimento di ignoti, e soprattutto al Sud, dove per differenza rispetto ad una
classe politica molto più radicata sul territorio, sia quella del Pd che quella
di FI, l’elettore ha premiato chi non si conosceva, all’insegna: meglio nuovi
che compromessi.
Ma il dato politico più rilevante è la disfatta, se non
l’annientamento, di ciò che si è chiamata sinistra senza esserlo. In primo luogo
il Pd che raggiunge il minimo storico del 18,7%, dimezzando in solo 4 anni i
suoi voti e perdendo dalle ultime elezioni europee più di 5.000.000 di
elettori.
Però, sotto le macerie della sinistra non si salva neppure Liberi
e Uguali, che avrebbe potuto rappresentare la speranza della rinascita di una
forza della sinistra di governo, degna di questo nome, in alternativa alla
destra ma anche alternativa alle politiche del Pd sulle questioni centrali del
lavoro, dell’Europa e della democrazia.
Non a caso la sua data di nascita è stata di fatto il 4
dicembre 2016 quando Renzi perse il referendum sulla riforma costituzionale,
Liberi e Uguali non raccoglie quindi i consensi che politicamente
avrebbe potuto a causa di molti errori. Come spesso accade in politica conta di
più quello che appare di quello che sei e per Liberi e Uguali ha pesato
l’immagine di essere più una corrente esterna del Pd piuttosto che una cosa
nuova.
Hanno pesato gli errori di tante candidature sbagliate.
E’stato un errore mettere alla testa della lista i presidenti di Camera e Senato.
Così come è stato un errore grave pensare di proteggere con le pluricandidature
un ceto politico per giunta ritenuto già emarginato o rottamato dal Pd.
La sconfitta della sinistra e di tutte le sue diverse componenti,
che molti di noi avevano previsto, è andata così ben oltre i peggiori
presentimenti.
La sinistra ha perso la fiducia del suo popolo e persino la
sua classe dirigente sembra aver perso fiducia in se stessa e nei valori che
avrebbe dovuto difendere e rappresentare. Da questo punto di vista è molto più
grave della sconfitta del ’48, molto più profonda e non solo dal punto di vista
elettorale. E’ una crisi politica che è andata alle radici della sua stessa esistenza
e ciò che più impressiona è che non si coglie ancora l’immediato bisogno di
reagire. E’ una sinistra cloroformizzata che sembra aver perso il senso del
dramma, in un momento in cui un processo rifondativo andrebbe avviato subito.
Come? Mettendo una pietra tombale sulla storia della Seconda
Repubblica, ammettendo gli errori che sono stati commessi in questi ultimi 25
anni e ripartendo da una piattaforma autenticamente socialista, così come
avviene, se pur tra mille difficoltà, in molte parti d’Europa e del mondo.
Una cosa è certa, la questione socialista, nella prospettiva
di costruire un grande soggetto politico europeo, può rinascere solo in un
soggetto politico largo di tutta la sinistra, come espressione del socialismo
necessario al nuovo secolo.
Il piccolo Psi, oggi morto, potrebbe rinascere dando il suo
contributo attraverso un congresso di rifondazione, così come sarebbe persino
salutare, l’autoscioglimento del Pd, ma forse è chiedere troppo.