SONO SOCIALISTA! di Alberto Angeli

24 febbraio 2017

SONO SOCIALISTA! di Alberto Angeli

Nel Saggio: “Sono un Liberale?” Keynes scrive: “Dobbiamo inventare una saggezza nuova per una nuova era. E nel frattempo, se vogliamo fare qualcosa di buono, dobbiamo apparire eterodossi, problematici, pericolosi e disobbedienti agli occhi dei nostri progenitori”. Parafrasando l’illustre economista domando: “ sono un socialista?” Questo pone immediatamente un interrogativo: è ancora attuale parlare di socialismo come alternativa al capitalismo, del liberismo finanziario globalizzato?

In una intervista dal Corriere della Sera del 13 ottobre 2002, Zygmunt Bauman afferma: “Se la modernità è “liquida”, inafferrabile, e se la storia ci ha condotti in situazioni del tutto inedite, c’è però qualcosa di “solido” e “vecchio”, che tuttavia è bussola e strumento quanto mai attuale: il Socialismo. “C’è più bisogno di Socialisti da che è caduto il Muro di Berlino”, insiste Bauman. “Prima il comunismo è stato col fiato sul collo del capitalismo producendo un meccanismo di “controllo ed equilibrio” che ha salvato il capitalismo stesso dall’abisso. Ora è indispensabile il Socialismo: non lo ritengo un modello alternativo di società, ma un coltello affilato premuto contro le eclatanti ingiustizie della società, una voce della coscienza finalizzata a indebolire la presunzione e l’auto adorazione dei dominanti”.

Alla modernità, nella quale siamo coinvolti e a cui sono seguite trasformazioni consistenti della società mondiale, credo che la sinistra, precisamente il socialismo inteso come movimento, deve rivolgere la propria riflessione e attenzione con lo scopo di dotarsi di una conoscenza, non solo teorica, del processo che ha  trasformato il capitalismo moderno nella globalizzazione e nella finanziarizzaione dell’economia, approfondendo una più attenta conoscenza della nuova tecnologia, che Jeremy Rifikin ha definito l’Era dell’accesso.

Al proposito ricordo Karl Popper in “Tecnologia ed etica”, il quale sostiene che la vita è invenzione, rischio, coraggio. Quindi non è il progresso tecnologico o il futuro sviluppo che fa più poveri, ma è l’etica che si applica.

D’altro canto, Schopenhauer ricorre ad una formula meno amata, perché scritta in latino: “neminem laede, imo omnes, quantum potes, iuva.  “Non fare del male a nessuno, ma aiuta tutti, per quanto puoi”. Quindi, come è a tutti evidente, in questo inizio del XXI secolo si assiste al fatto  che pertiene alla modernità per cui il capitalismo odierno, fruendo delle novità scientifiche, sta compiendo la quarta rivoluzione industriale utilizzando la nuova tecnologia: l’informatica, i sistemi digitali e la velocità della comunicazione.

Ritornando alla “modernità liquida”, di Bauman, rilevo come  il tempo attuale in cui nulla è fisso, niente garantito, tutto mutevole, dove “la storia è priva di direzioni e la biografia priva di progetti”, sempre più sono gli esseri umani avvertono l’avversità del presente e l’incertezza del futuro. “Certi mestieri, certe specializzazioni, certe capacità sono svalutate sempre più. Già la prima modernità aveva creato un ordine artificiale dentro cui molti non erano inseribili. Non “adatti”. Nel secolo trascorso per questi problemi locali c’erano soluzioni globali: gli esclusi emigravano in America, in Canada, in Australia. Poi, oltre all’emigrazione, ecco la colonizzazione, l’imperialismo. Il mondo accettava con rassegnazione queste traversate transnazionali, senza tuttavia che il soggetto disperdesse la propria identità sociale, la propria cultura umanistica, spezzasse il rapporto con l’altro.

Oggi, al contrario, cerchiamo disperatamente soluzioni locali a problemi globali. Le migrazioni sono oggi la più grande posta in gioco, ma non sono più unidirezionali, vanno in tutte le direzioni. E’ un problema globale” a cui certuni intendono rispondere con soluzioni totali, autoritarie, tipo “chiudiamo le frontiere”. Anche se sappiamo che questa scelta non funziona”. Risponde Bauman.

Quindi, nessuno può più sfuggire alla realtà del momento, e questo perchè oggi, tramite la tv, siamo tutti spettatori, totalmente consapevoli  ( e responsabili ) delle sofferenze altrui, anche se avvengono in lontanissime parti del mondo. Prima, venire a sapere di una carestia terribile in Africa, attraverso i giornali o la radio,  era diverso. Ma la nuova èra dell’informazione cambia tutto: ora vedi, ascolti, sai, quasi sei coinvolto, e non puoi più ignorare.  Dunque ci riguarda. E’ la globalizzazione della responsabilità.

Allora si deve prendere atto in questo XXI secolo che il richiamo di Kant  all’imperativo morale e  all’istinto di sopravvivenza, si sono stretti e vanno nella stessa direzione. Non c’è via d’uscita al dilemma che s’impone in questo inizio di secolo, dato che gli obiettivi coincidono: o ci prendiamo cura della dignità di ognuno, intendo di quanti abitano questo pianeta, o moriremo insieme.

Si deve d’altro canto avere ben presente che  non basta assicurare a coloro che ne abbisognano  cibo e acqua o ignorare le molte iniquità che nel recente passato sono state tollerate. Oggi non è più possibile. La modernità è arrivata, in ogni angolo della terra e si è fatta conoscere, con i Tablet, gli smartphone, e altre modalità informatiche; cosicché, tante ingiustizie prima ritenute “tollerabili”, oggi vengono percepite come “inaccettabili”.

“Soltanto mettendo in gioco la vita si conserva la libertà, si dà prova che l’autocoscienza essenza non è l’essere. L’individuo, che non ha messo a repentaglio la vita, può ben venire riconosciuto come persona; ma non ha raggiunto la verità di questo riconoscimento come riconoscimento di autocoscienza indipendente” Questo afferma Hegel nella Fenomenologia dello Spirito. La storia dei socialisti è stata sempre una lotta per l’affermazione del riconoscimento come soggetto politico riformista, cioè dell’autocoscienza.

La prima questione che si pone: cosa significa essere socialisti in questa società del terzo millennio fatta più dell’apparire, della messa in scena, della visibilità, che dell’essere? A mio giudizio scaturisce dalla coscienza e dal fondamento concreto, identificativo, valorizzante dell’essere socialista, ripercorre la naturale profondità e tenuta democratica dei valori che stanno alla base dell’agire del socialista, della sua etica individuale, della sua apertura solidaristica egualitaria, libertaria, rispettosa dell’Altro come indicato dal Lèvinas, Quindi,  rielaborazione del significato profondamente intellettuale dell’agire socialista,  dato che la natura scientifica del suo messaggio ci conduce alla riscoperta dei valori teorici che distinguono l’essere socialista da qualsiasi altra identità di sinistra, che stanno alla base dell’agire dei socialisti: l’etica individuale per realizzare il principio della libertà collettiva.

Per affermare il nostro riconoscimento dobbiamo volere la moralizzazione della politica e non la politicizzazione della morale. Percorrere questa strada non è facile. La tentazione di ricercare sponde verso cui approdare, per guadagnarci una identità, rischia di trasformare se non annullare

ciò che il socialismo rappresenta.

 

Guardo con poco interesse alle nuove formazioni politiche, nate per reazione, per una avversione ad un nemico che loro stesse hanno costruito, alimentato, sostenuto, oggi liquidato con motivazioni e argomenti di nessuna consistenza politica, teorica, programmatica. Le identità politiche non si costruiscono ricorrendo alla divisione, e non parlo di separazione, volutamente. Poiché ci si separa a seguito di un lungo processo di elaborazione, di analisi teorica, di valutazione politica, di prospettiva valoriale costruita con il consenso, il coinvolgimento e la diretta partecipazione delle forze che ti concedono il loro consenso a rappresentare queste prospettive.

La trasformazione di parte del PD in DP non ha in sé alcuna novità sul terreno dell’alternativa capitalistica. Non è scissione, né frazionismo, né divisione, i protagonisti parlano di separazione a ciò costretti dal timore di non assumersi la responsabilità di una crisi di Governo, dato che una delle motivazioni della loro separazione dal PD è, appunto, quella di difendere la presente legislatura. Per fare cosa?

Immagino per abbattere il debito pubblico, troppo alto; per una nuova politica industriale, per rilanciare la politica del lavoro e la difesa dei redditi dei lavoratori e dei pensionati; istituire un reddito di cittadinanza, riformare la scuola e la formazione professionale, rifondare le Università e sostenere la ricerca; migliorare l’ambiente a difesa del clima, ricercare nuove fonti energetiche in sostituzione degli idrocarburi, e altre condizioni legate all’Europa e alla sua trasformazione in Stato Federato. Tutto questo per dare un senso alla scelta operata e costituire una sicura alternativa alla destra, al M5S ai populismi vecchi e nuovi.

Le risorse, i mezzi finanziari per sostenere queste scelte, mediante quali politiche finanziarie e di bilancio, sono punti che rendono indispensabile una consapevole e dettagliata evidenziazione delle fonti presso cui reperire i mezzi per realizzare tutto ciò.

Allora, ecco che si ritorna al punto di partenza. La dispersione delle forze della cosiddetta sinistra portano con sé la responsabilità di non voler guardare oltre il momento del frazionamento a cui sembrano storicamente destinate. Non voler considerare la risposta socialista come unica, naturale forma politica alternativa al capitalismo e a qualsiasi altra proposizione politica anche riformista, costituisce il fallimento di ogni tentativo di queste forze.

Il socialismo non è una terra promessa, ma il risultato di un lungo lavoro preparatorio, di conoscenza teorica e di trasformazione pratica dei suoi contenuti logici. In modo specifico nella prospettiva del nuovo millennio. Il nuovo movimento DP ha avuto timore di pronunziare la parola socialista, ha ritenuto che inglobando il surrogato socialista di Rossi o richiamandosi al riformismo potesse comunque supplire a questa inderogabile verità: il socialismo è l’unica alternativa possibile al nuovo capitalismo. Non battersi per questa affermazione condanna il nostro Paese alla resa alle forze della destra e al M5S.

 

Non dobbiamo cedere neppure un millimetro delle nostre ragioni, continuiamo la nostra lotta perché siamo nella ragione.

 

 

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