SOLO IL PD NON SA CON CHI STARE IN EUROPA, NOI PUNTIAMO SULLA NOSTRA IDENTITA’ FORTE, di GIANNI DE MICHELIS, da IL RIFORMISTA del 20 febbraio 2008

27 febbraio 2008

SOLO IL PD NON SA CON CHI STARE IN EUROPA, NOI PUNTIAMO SULLA NOSTRA IDENTITA’ FORTE, di GIANNI DE MICHELIS, da IL RIFORMISTA del 20 febbraio 2008

La decisione è presa: come prevedibile fin dall’inizio, sulla scheda elettorale ci sarà il simbolo del Partito socialista. La ragione è molto semplice e corrisponde con la scelta che ha permesso un anno fa di rimettere assieme non solo i vari spezzoni derivanti dalla diaspora dell’inizio degli anni ’90, ma anche di coloro che avendo seguito la traiettoria post-comunista, hanno ritenuto che l’inevitabile conclusione di tale percorso dovesse essere rappresentata dalla sponda del socialismo di stampo europeo. Sarebbe strano infatti che accettassimo ora quel che abbiamo rifiutato un anno fa, e che è stato il motivo di quel balzo in avanti che per anni non era stato possibile. Correremo da soli, vista la posizione di Veltroni, che ritiene compatibile con l’identità programmatica del Partito democratico il collegamento con Di Pietro, ma non con i socialisti. In un certo senso, personalmente, posso capire le ragioni del no di Veltroni; accettando un collegamento con un simbolo socialista egli avrebbe dovuto accettare anche le ragioni della nostra scelta, e quindi, per converso, ammettere l’esistenza dell’insanabile contraddizione che mina la sua nuova formazione, fin dalla nascita. La scelta di andare da soli rappresenta certamente un rischio, viste le regole del gioco con le quali siamo costretti a giocare, ma, al tempo stesso, rappresenta una straordinaria opportunità, tenendo conto delle modifiche che la nuova sfida elettorale introduce, anche se in modo confuso e convulso, nel panorama politico italiano della cosiddetta seconda repubblica. Come ormai risulta evidente, da destra e da sinistra si prendono le distanze da quello che per anni, con un anticipo che dovrebbe esserci riconosciuto, siamo andati chiamando il bipolarismo bastardo. Nel fare questo inevitabile passo, si tende a rivalutare l’identità politica e programmatica delle diverse offerte, e si è quindi in qualche modo obbligati a cercare di ridurre le differenze e le diversità con quella che intermini sintetici potremmo definire la normale offerta politica europea. Ciò vale per Bertinotti, che si collega esplicitamente alle nuove identità della sinistra massimalista ed ecologista europea, e vale anche per Berlusconi e Fini, che in modo sempre più netto andranno identificando il cosiddetto Pdl con il Partito popolare europeo. In mezzo al guado resta soprattutto Veltroni, cui riesce difficile sciogliere le contraddizioni che derivano dalle due matrici fondamentali che hanno in questi anni forgiato la formazione di cui è diventato leader, e cioè il cattocomunismo da un lato, e dall’altro una forte matrice populista e giustizialista. Tutto ciò lascia uno spazio enorme, seppure al momento solo potenziale, ai socialisti per i quali, per la prima volta dopo quindici anni, non si pone più il dilemma della cosiddetta scelta di campo, e ai quali si offre il vantaggio di un nitido riferimento identitario, che permette di rivalutare al tempo stesso una gloriosa e lunghissima storia passata e dall’altro lato una riconoscibile e vincente prospettiva europea. Tutto ciò sarà evidente all’elettore fin dai prossimi giorni, quando il provinciale e asfittico dibattito politico italiano verrà di colpo illuminato dalla vicenda elettorale spagnola con la nitida contrapposizione in quel paese tra socialisti e popolari: sarà molto facile per noi socialisti cominciare la campagna elettorale ricordando a quelli tra noi che fino a ieri hanno votato per Berlusconi, la contraddizione tra tale scelta e la riaffermazione identitaria, e dall’altro sfidare Veltroni a dirci come farà a stare con Zapatero in Spagna e con Binetti e Di Pietro in Italia. Naturalmente anche per noi la sfida sarà di rendere più preciso e più convincente il nostro messaggio, riuscendo a misurarci in modo concreto con i problemi dell’ oggi e soprattutto del domani, della nostra comunità e della nostra società. Tra gli slogan che abbiamo scelto vi è quello che dice che il voto socialista è un voto utile per l’Italia; il senso di tale slogan è quello di contrapporsi al tentativo parallelo di Veltroni di spiegare che l’unico voto utile è quelle alle due formazioni maggiori perché la loro partita si esaurisce tra di loro. Perché tale slogan possa essere efficace però dovremmo saper spiegare in modo dettagliato e convincente quali sono le nostre risposte e quale l’ordine di priorità con cui affrontare le gravi emergenze che sono di fronte al Paese. Di nuovo saremo aiutati in questo, dal confronto con le proposte e le promesse delle due formazioni maggiori, che tendono talmente a somigliarsi, da consentire l’esilarante spettacolo degli uni che accusano gli altri di copiare analisi e proposte. Non sarà difficile spiegare che si tratta di pii desideri, resi ampiamente incredibili dalle performances che gli italiani di sicuro non hanno dimenticato, realizzate da ambedue i poli, nel corso di questi quindici anni di non governo dell’Italia. Dovremo saper spiegare però come si possa passare dai pii desideri all’effettiva cura dei mali del Paese, dando prova di una caratteristica che i socialisti hanno saputo rappresentare nel recente passato e che gli italiani non hanno dimenticato, e cioè la capacità di chiedere il consenso non tanto su ciò che i cittadini comprensibilmente vorrebbero, e cioè un miglioramento delle proprie condizioni, quanto sulle scelte inevitabilmente impopolari e dolorose che si impongono per ottenere tale miglioramento. Noi abbiamo il diritto e la possibilità di richiamarci agli esempi di Craxi della scala mobile e di Sigonella, ma anche dei Blair, degli Schroeder e degli Zapatero: non sarà difficile, richiamandosi a tali esempi, articolare delle proposte convincenti, e non solo sul terreno della laicità dello Stato, ma anche sui grandi temi economico-sociali, dalla flex security alle liberalizzazioni, dalla drastica riduzione della spesa pubblica all’effettiva rivalutazione del merito come fattore centrale e propulsivo della competitività e dello sviluppo. A Veltroni, che pensa di lanciare un messaggio convincente candidando nelle medesime liste il presidente dei giovani industriali della Confindustria e l’operaio superstite della tragedia di Torino, noi siamo in grado di contrapporre un messaggio coerente, che parli in modo convincente a quella parte del mondo del lavoro (che comprende sia il lavoro dipendente che quello autonomo e manageriale) che è disponibile ad accettare la sfida della competizione globale comprendendo che la redistribuzione è inevitabilmente una conseguenza della capacità ci compere e crescere. Non basta dire “diminuiamo le tasse e alziamo i salari”, bisogna spiegare come le due cose possono andare assieme ne quadro di una diversa organizzazione complessiva del nostro sistema di relazioni collettive, e naturalmente ciò sarà più facile per noi, che non per chi in questi anni queste cose non le ha sapute fare e che quindi è molto meno credibile nell’affermare che intende mettersi il passato dietro alla spalle. Non sarà una battaglia facile, ma vi sono tutte le condizioni perché i socialisti la possano affrontare sostenendo che essi, più di tutti gli altri, hanno titolo per dichiararsi utili per quella svolta di cui il Paese ha bisogno e che, come ciascuno può facilmente capire, significa una presa di distanza dal modo in cui in questi anni l’Italia è stata governata, o meglio non governata, sia dai Berlusconi che dai Prodi-Veltroni.

Vai all'Archivio