SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE di Alberto Benzoni, 28 luglio 2019
28 luglio 2019
C’è, ancora, un socialismo, nel nostro futuro?
Tutto ci porta a pensare di no. La parola è scomparsa dal vocabolario corrente.
Salvo che nelle parole di odio dei suoi nuovi avversari. Rimane, forse, la
carta da visita di qualche funzionario attempato o di qualche falso giovane:
sempre nell’attesa di poterne esibire una nuova, magari più “in” e più “cool”.
Scomparsi, anche, il proletariato industriale e la lotta di classe; e i
“padroni” sostituiti dai “datori di lavoro”.
Ci ripetiamo, però, che l’antagonista deve esserci per forza: perché
l’alternativa è la barbarie.
La barbarie di un mondo, mai come oggi, in grado di affrontare, gestire e
risolvere i suoi e problemi, e, mai come oggi governato da classi dirigenti
che, per stupidità, se non per odio cieco, lo spingono verso la distruzione.
La barbarie di un turbo capitalismo e di un mercatismo che, lungi dal
rappresentare la “fine della storia”, appaiono insieme ingiusti e irrazionali.
La barbarie della società in cui viviamo; e in cui vediamo, giorno dopo giorno,
dissolversi le basi stesse del nostro vivere collettivo: solidarietà, fiducia,
speranza.
Ce lo ripetiamo; ma più per farci coraggio a vicenda che per intima
convinzione. Perché lo spettacolo che vediamo intorno a noi è di generale
passività di fronte a un disastro che incombe. Una passività nutrita di parole,
di ipocrisie, di false coscienze e di politicamente corretto; dove i nostri
sacerdoti continuano a pronunciare meccanicamente formule cui non credono più.
Ma forse non guardiamo nella direzione giusta. Ricercando oggetti, persone,
formule, riti che hanno totalmente perso il loro valore. Perché il socialismo
del futuro, quello che si manifesta, magari inconsapevolmente, nelle azioni di
milioni di persone di buona volontà, sarà una Cosa del tutto nuova; ma che, per
certi aspetti si richiamerà alle origini del movimento più che a quello che
abbiamo conosciuto nel “secolo breve”. E che, soprattutto, si collocherà lungo
discriminanti di fondo molto diverse da quelle ereditate dagli anni della sua
maturità.
Sarà il ritorno dell’internazionalismo pacifista dei Jaurès e dei Turati.
Insomma della convinzione che nessuno si può salvare da solo. E che c’è, tra
tutti gli esseri umani, una comunità di destino.
Sarà il ruolo dirimente di questioni che travalicano i limiti delle classi e
degli interessi settoriali: la sovranità, la democrazia, il potere; al dunque
il diritto/dovere degli individui e delle collettività di vedersi riconosciuta
la possibilità di costruire il proprio destino. E, in questa prospettiva, il
ruolo decisivo dello stato e delle sue istituzioni.
Sarà, infine, e forse soprattutto, la consapevolezza che quelle che chiamiamo
pomposamente le sfide del cambiamento non possono essere gestite dal mercato o
da esperti a ciò delegati, ma da una intelligenza pubblica e da un
coinvolgimento attivo delle persone; pena la catastrofe.
E’ questo lo scenario del socialismo del futuro. In tutto diverso dal presente:
sperimentale e non frutto di formule preordinate; nato in mezzo alla gente e
non imposto dall’alto; delle persone e non di fantasmi costruiti a nostro uso e
consumo; potenzialmente di tutti e non patrimonio di pochi; irriverente e non
subalterno; nato dalla pancia e dal cuore e non da astratta razionalità; largo
e fraterno e non dogmatico e settario; rivolto al futuro e non alla custodia,
selettiva, delle memorie del passato; trasformativo e non soltanto
redistributivo.
A questo punto, però, abbiamo il dramma, lo scenario e i personaggi. Ma la
rappresentazione è da rinviare a data da destinarsi perché mancano sia gli
attori sia il pubblico.
Vero. Ma non dobbiamo perderci d’animo per questo. Perché il dramma, prima o
poi, verrà portato in scena. E questo avverrà nel giorno, non troppo lontano,
in cui il degrado del sistema attuale, in una o in tante aree del globo,
arriverà a livelli insopportabili, e in cui infinite voci grideranno “ora
basta”. E non per affidarsi a nuovi uomini del destino o a nuove rivoluzioni;
ma per mettere le mani nel fango per costruirne, a pezzi e a bocconi, un altro.
Forse la nostra generazione non sarà presente a questo appuntamento. Ragione di
più per sognarlo.