SOCIALISTI IN MOVIMENTO, LA PAROLA E LA COSA un contributo al dibattito di Alberto Benzoni
07 aprile 2017
Noi socialisti soffriamo di una forma acuta di nominalismo. Pensiamo o ci
illudiamo che evocare di continuo il socialismo sia sufficiente per farlo
riemergere. Abbiamo creduto, o voluto far credere che dare allo Sdi il vecchio
nome di Psi bastasse a trasformare la creatura asfittica nata nel 1994 in un autentico
partito socialista anziché nel cliente sempre più bonsai del protettore di
turno che è successivamente diventata.
Il nome è invece una cosa seria. Una responsabilità gravosa in vista di un
obbiettivo che è doveroso cercare ma che è tutt'altro che facile da
raggiungere.
E questo vale per noi. Perché “Socialisti in Movimento” è, oggi come oggi, una
pura e semplice dichiarazione d'intenti: a meno di avere un gruppo dirigente in
grado di chiarire a chi vorrà ascoltarlo da dove si parte, dove si vuole
arrivare e, cosa ancora più importante, i passi necessari (anche se non
automaticamente sufficienti) per raggiungere la meta prefissata.
Ci si avvia per un viaggio di sola andata. Una cosa psicologicamente non
semplice; per cui è necessario che ognuno dei viaggiatori faccia i conti con
quello che lascia dietro di sè e in modo definitivo.
Noi dobbiamo lasciare dietro di noi tutto il nostro passato. E per ragioni non
solo psicologiche e personali; ma anche e soprattutto collettive e politiche.
Basta distribuire santini (che poi, gira che ti gira, si riducono al sempiterno
Pertini). Basta litigare su Craxi e la sua eredità (figura
indimenticabile il primo ma del tutto inapplicabile, oggi, la sua strategia
politica). Basta rimproverarci a vicenda i nostri vari errori (anche perché
nessuno di noi è in grado di scagliare la prima pietra). Basta coltivare verso
il Pd rancori figli dell'impotenza e inveire contro Nencini sperando di farlo
sparire. E potrei continuare: basti dire che nel nostro vissuto di questi anni
non c'è quasi nulla, che ci aiuti nel nostro percorso futuro.
E, scusate con l'ardire, basta con il Psi. E, attenzione, non solo con quello
di Nencini; perché Nencini, fatte le debite proporzioni, non è che la replica
su scala ridotta di Renzi: un signore che porta alla sue estreme conseguenze,
la deriva avviata, venticinque anni fa, con la nascita della seconda
repubblica.
Fino al 1976, il ruolo del Psi, per Nenni come per Lombardi era ancora quello
di Turati: essere una strumento al servizio della crescita della democrazia e
del movimento dei lavoratori. Nel craxismo ci sarà poi il "sacro egoismo
dei socialisti" all'insegna del danaro e del potere, ma rimarrà, almeno in
Craxi e nel suo gruppo dirigente l'obbiettivo primario di concorrere al
rinnovamento della sinistra.
Dopo il crollo, impraticabile il vecchio ruolo politico e noi incapaci di
costruirne un altro, obbiettivo del partito sarà la pura e semplice
sopravvivenza della comunità. Intendendo per tale prima la diaspora socialista
poi i quadri nazionali e locali, poi i soli quadri nazionali, poi una parte
sempre più piccola di questi ultimi. Nella sequenza politica, prima l'orgoglio
socialista, poi il concorso esterno con i socialisti nel ruolo di succhiaruote,
poi la ricerca di un partito protettore, infine il rapporto cliente/padrone al
servizio di una sola persona.
E allora il "basta con il Psi"non può significare soltanto il
transitare da un protettore all'altro, sempre all'insegna dell'autotutela di
questo o di quello; significa porci, tutti, a servizio di una causa: quella del
socialismo e della democrazia.
Rompere con il passato bosellian-nenciniano ha anche un significato politico
che va molto al di là delle nostre piccole miserie. Perché è parte di un
processo oggi in atto in tutta Europa. In Francia come in Spagna, in Gran
Bretagna come in Olanda e negli stessi Stati uniti; da una parte gruppi
dirigenti portati a formalizzare, anche politicamente, anche a prezzo della
rottura con il partito, l'alleanza tra socialisti e èlites liberiste, con le
relative strategie di politica economica e sociale, dall'altra coloro che
intendono opporvisi. E non in nome, come ci racconta l'ottimo Del Bue, di
un massimalismo o di un "socialismo obsoleto" ma di una
"socialdemocrazia reale" che è, oggi, più attuale che mai.
I "socialisti in movimento" partono, dunque, da una duplice, totale
discontinuità. Con l'autoreferenzialità, oltre tutto di basso livello, per cui
il nostro collettivo era una specie di cooperativa al servizio dei suoi membri.
E con il moderatismo da quattro soldi che ci vedeva collocati in una specie di
terra di nessuno tra il Pd e Berlusconi.
Quello che ci lasciamo dietro è dunque evidente; e tale anche da illuminare,
anche se solo parzialmente, il nostro percorso futuro. Siamo al servizio di un
disegno e non di noi stessi; e questo disegno ha a che fare con la costruzione
di un'area politico-sociale di opposizione rispetto ai poteri dominanti e alle
politiche da questi praticate nel corso di questi ultimi decenni.
Si tratta, però, a questo punto, di capire, che dico, di condividere nel
profondo le ragioni che impongono la presenza autonoma di un soggetto politico
socialista all'interno di questo processo. Detto in parole povere perché
pensiamo di essere necessari?
Perchè ci chiamiamo socialisti? Per le nostre forze? Perché, secondo la vecchia
mentalità Pci, il socialista buono serve a qualificare l'ambiente così come il
pianoforte nelle dimore borghesi dell'ottocento?
In verità sta a noi, e non ad altri e men che meno ai compagni ex Pci, stabilire
non solo le ragioni ma anche l'importanza della nostra presenza nell'area
dell'opposizione non solo al renzismo ma anche e soprattutto
all'"ordoliberismo del pensiero unico".
Stiamo lì perché intendiamo contribuire culturalmente, ma anche politicamente, alla
costruzione di un socialismo largo. E cioè ad un'area di opposizione che superi
i limiti e le remore che l'hanno sinora caratterizzata, reintrucendo e
valorizzando i temi del garantismo, della democrazia civica e di base e di un
nuovo internazionalismo.
Questo dobbiamo dire, pubblicamente e al più presto possibile, ai nostri
interlocutori ma anche ai nostri compagni. Solo così, solo con questa
consapevolezza, essi saranno in condizione di muoversi. Aspettare che questo processo
possa partire, in tutta Italia, sulla base delle iniziative di questo o di
quello, o di questo o quell'evento elettorale o sociale è pura illusione e
scarico di responsabilità.
Una linea da definire e da esplicitare al più presto: perché, in assenza di
questa, prevarranno l'abitudine e la continuità: quella che ha portato sinora i
socialista alla ricerca di nuove sistemazioni e di nuovi protettori. Una linea
personalmente perseguibile e nient'affatto peccaminosa; ma che con la
prospettiva di un futuro collettivo non ha proprio nulla a che fare.