SOCIALISTI, COSTITUENTE E FEDERALISMO IN LOMBARDIA

17 giugno 2007

SOCIALISTI, COSTITUENTE E FEDERALISMO IN LOMBARDIA

Senza regia, ma forse non a caso per iniziativa di socialisti dello Sdi o vicini allo Sdi, quasi in contemporanea, prima a Brescia alla fine di Maggio e poi a Mantova l’8 giugno si sono tenuti due convegni sul tema dell’autonomia regionale, sul federalismo fiscale, sullo stato delle regioni nell’attuale assetto istituzionale. Tra i promotori Vittorino Baruffi a Brescia e Nanni Rossi a Mantova. Ad entrambi gli incontri sono intervenuti molti consiglieri regionali di tutte le forze politiche: Lucchini, Rossoni, Peroni di FI, Albertoni e Galli della Lega, Cipriano di Sd, Viotto e Macani dei Ds, Galperti e Adiamoli della Margherita, Biscardini per lo Sdi In un messaggio di saluto all’incontro di Mantova Biscardini scrive: “Caro Nanni, un improvvisa riunione della direzione regionale dello Sdi, mi impedisce questa sera di essere con voi e di partecipare a questo interessante appuntamento. Non posso dilungarmi in poche righe nel merito dell’argomento, affascinante da Cattaneo alle povere Regioni di oggi, passando per la storia gloriosa del regionalismo italiano. Nobile antesignano del federalismo nostrano, ma anche per certi versi migliore di un invocato federalismo che rinnega sempre la cultura paritaria e interistituzionale di formazione cattaniana. Per diventare esso stesso anello forte, prigione e imprigionato, di un modello centralista, dentro competenze pietrificate e quindi per definizione non paritario, né nei confronti dello stato centrale, nè nei confronti dello stato locale delle autonomie locali e dei comuni. L’esperienza socialista che volle le regione, poi subito rinnegata dai governi centralismi che sottomisero le regioni al rispetto delle cosiddette “funzioni di indirizzo statale” con il DPR 616 del 1977 (ciò niente e quindi tutto, siamo agli albori del compromesso storico), fu una grande esperienza e dovrebbe con più coraggio essere riscoperta oggi, perché aveva in sè una impostazione, anche se in fieri, costruttiva e fortemente riformista che le logiche centraliste hanno poi mortificato. Come ho detto logiche centraliste che venivano da Roma, ma anche logiche centraliste indigene tutte interne alla logica di potere delle regioni stesse e poi logiche centraliste nascenti e crescenti anche dal basso, si veda ad esempio quanto centralismo malsano e infestante ci sia tuttora nell’esperienza delle province. Forse anche solo per questo dovrebbero essere abolite o fortemente trasformate come enti territoriali di secondo livello, per perché possano garantire la funzione di autocoordinamento dei comuni che hanno perso o in alcuni casi non hanno mai neppure tentato di esercitare. Ma arriviamo a noi. Bene l’ipotesi di lavoro bipartisan per un futuro statuto fortemente autonomo. Ma occorre fare un premessa perché solo ora, la legge di riforma che offriva alle regioni questa opportunità è del novembre 1999. Da allora a oggi il tempo passato invano, ha consentito di rafforzare le distorsioni che pur in quella legge costituzionale sono contenute. Prima fra tutte l’elezione diretta del Presidente della giunta, oggi chiamato con furbizia e volgarità dalla stampa e da loro stessi “governatore”. Forma di governo ed elezione diretta del presidente o meno, sono i nodi che il nuovo statuto regionale dovrà affrontare per primi e con il massimo della chiarezza. L’elezione diretta del presidente, con annesso premio di maggioranza alla coalizione a lui collegata, che fa parte esso stesso del consiglio, che può mandare a casa i suoi colleghi consiglieri, ma non vale viceversa e non può essere sfiduciato, è un mostro al confine della dittatura. Alla faccia dell’america e del tanto vituperato presidenzialismo. Una norma di questo genere farebbe rigirare nella tomba i padri fondatori della Costituzione americana, che stabilirono addirittura che i membri dell’esecutivo non potevano neppure entrare nelle aule dell’assemblea. Tutto diverso dal bivacco quotidiano delle giunte regionali di oggi nelle aule parlamentari dei consigli regionali. Ben sapendo come diceva Popper che il problema principale di una democrazia non è solo quello di stabilire come si eleggono i governanti ma soprattutto quello di potersene liberare senza bisogno di spargimento di sangue. Questo sarà l’oggetto dello scontro dal quale bisogna uscire nella massima chiarezza. Le vie sono solo due o sistema presidenziale tipo tedesco (o anche italiano prima repubblica perché no) o sistema presidenziale di tipo americano con netta separazione di poteri e separazione nell’elezione del presidente e del parlamento regionale in questo caso. Cito e ricito sempre un importante passaggio di Darhendorf, uno dei più importanti costituzionalisti mondiali. “Il pericolo maggiore nel darsi nuove istituzioni democratiche è quello di commettere un errore di ibridazione, combinando cioè un pezzo del sistema presidenziale”… con un pezzo del sistema presidenziale. Persino la Francia dopo la grande vittoria di Sarkozy sembra voler rivedere il solo avvicinamento temporale delle elezioni presidenziale con l’ elezione della assemblea nazionale. Questo lungo turno, prima mai coincidente, sarebbe per la democrazia francese già vulnus. Per concludere mi auguro che l’accordo bipartisan non porti al un altro ibrido poco democratico e fallimentare come quello attuale. E mia auguro che vada al sodo. Solo una regione democraticamente forte sarà autonoma. Ma avete notato dal consiglio regionale, per definizione organo di controllo, sono venuti nei giorni scorsi dei flebili segnali affinché si avvii una commissione di indagine sui costi della politica che la maggioranza dipendente da Formigoni dovrà decidere se concedere o meno, ma nel frattempo Formogoni comunica i suoi dati alla stampa. Probabilmente siamo già ormai a parti invertite.” C’è materia per discuterne.

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