SOCIALISMO, DEMOCRAZIA E LAVORO. IL RITORNO DI CRITICA SOCIALE. Sintesi dell’introduzione di Roberto Biscardini, Milano 25 febbraio 2023
26 febbraio 2023
Potrebbe essere proprio
Critica Sociale, per il ruolo politico che intende svolgere nell’attualità, a
promuovere insieme ad altri, nelle forme che saranno individuate come le più
opportune, gli Stati Generali del Socialismo Italiano. Non perché si debba
celebrare alcunché, e tanto meno portare in piazza un ormai anacronistico “orgoglio
socialista”, ma proprio per l’esatto contrario. Per rimettersi in cammino a
partire dalle debolezze e dalle difficoltà in cui si trovano tutti coloro che
credono nell’idea e nella necessità del socialismo, sia dal punto di vista
culturale sia politico.
E’ questa l’importanza che
dobbiamo attribuire all’uscita della nuova serie di Critica Sociale. Un luogo
in cui sia ancora possibile tenere vivo un dibattito sul socialismo e soprattutto
su ciò che vuol dire “essere socialisti oggi”.
Rivolto in modo molto aperto
a tutti coloro che sono interessati a collaborare con la rivista, aperto a
tutti coloro che nei fatti sono parte di quel “socialismo largo” di cui
parliamo da anni. A tutti coloro che sono socialisti, nella società e nella
vita quotidiana, ma non lo sanno di esserlo. Quel socialismo che non ha
rappresentanza politica.
Perché è in quello “spazio
largo” che può aprirsi un dibattito vero e un confronto salutare sul tema
dell’identità, in una fase in cui la sinistra non ne ha più una. E questa è la
ragione della sua debolezza.
Ma partendo da una questione
centrale. Senza una grande forza socialista, la sinistra è debole, perdente,
rinuncia al proprio mandato storico, anzi lo tradisce, e finisce come di fatto
è finita da tempo nella mani della destra.
In questo senso dobbiamo
pensare alla Critica Sociale e concreta di Turati, ma anche di Mondolfo, come strumento
di lotta politica.
Una rivista storica e di
riflessione politica, che sa coniugare cultura e azione, a partire dall’attualità, a partire dai
bisogni delle persone, per ricostruire un’area del nuovo socialismo, senza aggettivi.
Per aprire vertenze, seguirle
e vincerle.
A partire dai problemi del
mondo del lavoro, sui quali occorre
impegnarsi quasi quotidianamente. Perché quel mondo è andato fuori controllo.
Cresce lo sfruttamento, diminuiscono i diritti, i salari non sono più adeguati
ad garantire una vita dignitosa alle famiglie, la flessibilità non ha aumentato
la produttività, aumentano le diseguaglianze, la lotta tra poveri e sono sempre
più larghe aree di vera e propria
schiavitù, senza che la sinistra sappia intervenire efficacemente e
concretamente.
In questo quadro la tendenza
è tentare di cavarsela da solo, nell’assenza quasi totale dello Stato.
E più ancora il tema della
democrazia. Questione socialista per definizione.
Non solo perché vale ancora
la vecchia regola secondo la quale ciò che distingueva allora il Socialismo dal
Comunismo, e oggi il Socialismo dalla Destra,
è proprio la difesa della
democrazia.
Ma perché viviamo in momento in cui la libertà e la democrazia
sono sotto attacco ovunque. E paradossalmente il socialismo non appare così attuale
e in forze per poter affrontare lo
scontro, in mondo che va sempre più a destra.
La democrazia è in pericolo
in tutto il mondo. E’ stato calcolato che solo 10% della popolazione mondiale vive
in stati democratici (pur con tanti limiti e tante cose che non funzionano), un altro 20% vive in stati
cosiddetti democratici ma sotto regimi illiberali , il restante 65/70 % vive
sotto regimi autocratici.
Ciò dimostra che la vertenza
democratica diventa per noi questione essenziale e vitale.
Partendo dalla considerazione
elementare che per il socialismo la democrazia è il governo del popolo, per il
popolo e con il popolo.
Ma basta questa definizione
per interrogarci sullo stato della democrazia in difficoltà, anche in Italia, come
in buona parte del mondo occidentale, dove ad andar bene i governi pensano alla
democrazia per il popolo, ma non col popolo e non del popolo
Facciamo un esempio quando Macron
di fronte a una manifestazione di due milioni di persone che scendono in piazza
contro la riforma delle pensioni, risponde che non gliene frega praticamente
niente perché lui è stato eletto da un numero maggiore di cittadini, la
democrazia è già fortemente in pericolo.
Sì, perché il futuro della
democrazia, piaccia o non piaccia, rimane legato alla esigenza di dare voce e
rappresentanza al popolo affinché, come diceva Dahrendorf: “il popolo possa
liberarsi dei governanti senza bisogno di spargimenti di sangue. Possa
controllare quelli che sono al potere in modo da essere certi che non ne
abusino e possa avere voce nell’esercizio del potere stesso”.
Possa avere voce
nell’esercizio del potere.
Per evitare sempre, anche
oggi, di essere già finiti “in quel particolare momento della democrazia nel
quale una maggioranza ha il potere di opprimere una minoranza e quindi anche i
singoli cittadini”.
Come diceva Robert Dahl
“possiamo aspettarci che nei paesi democratici sorga una specie del tutto nuova
di oppressione. Tra cittadini tutti uguali e simili, il potere supremo, il
governo democratico, agendo in base alla volontà della maggioranza, arriverà a
creare una società con una rete di piccole regole complicate, minuziose e
uniformi cui nessuno potrà sfuggire. In ultima analisi i cittadini di un paese
democratico saranno ridotti a null’altro di un gregge di animali timidi e
industriosi il cui pastore è il governo.” E parlando di democrazia
rappresentativa diceva “o si amplia, aumentando la capacità di presenza e di
controllo dei cittadini, o essa tenderà quasi inevitabilmente a ridursi. Il
governo dei custodi, un governo delle élite.”
Infine una breve
considerazione sulla guerra in questo triste anniversario dell'invasione dell’Ucraina.
L’assenza di una forza
socialista, ed anche la sua debolezza a livello internazionale, colloca
quella che oggi si chiama sinistra su
posizioni prevalentemente atlantiste.
Ma il socialismo è
esistenzialmente incompatibile con la guerra, e di questo bisognerebbe farsene
carico.
Sì perché la guerra sposta il
mondo a destra nella sfera dell’odio e della violenza.
Certo sentiamo l’assenza di una Internazionale socialista degna di questo nome, che faccia sentire la propria voce e il proprio peso. Non c’è internazionalismo socialista. Non c’è un Partito del socialismo europeo in grado di contrastare il pensiero unico, secondo il quale l’unica via per la soluzione del conflitto sia l’invio di armi, sempre più numerose e sempre più sofisticate, dall’occidente all’Ucraina.
Rinunciando al ruolo che
dovrebbe svolgere la diplomazia per arrivare al più presto ad una tregua, e ad
un cessate il fuoco. Soprattutto se la minaccia è un allagamento del conflitto
a livello mondiale.
Ma facciamoci almeno carico
di un dato certo. Cresce in tutto il mondo, nell’opinione pubblica, la consapevolezza
che le armi non sono assolutamente la risposta migliore né per la vittoria
dell’Ucraina, né per arrivare alla pace. Cresce nel mondo occidentale, e ormai
è maggioritaria anche da noi, la convinzione che l’invio delle armi sia un
errore. Analizziamo ben questo dato. Il
popolo, che non vota, che non ha fiducia della politica, né degli uni né degli altri, è più avanti dei
suoi governanti.