SINISTRA ITALIANA E SOCIALISMO EUROPEO - di Felice Besostri, 10 agosto 2007

10 settembre 2007

SINISTRA ITALIANA E SOCIALISMO EUROPEO - di Felice Besostri, 10 agosto 2007

Il merito del Riformista di aver riaperto il dibattito sulla questione socialista nei suoi rapporti con il socialismo europeo non occulta il fatto, che evidentemente, non ci sono luoghi permanenti di confronto tra le varie componenti della sinistra italiana, di tutta la sinistra, perché, repetita iuvant, la questione socialista non è una questione dei socialisti, ma della sinistra italiana nel suo complesso.
L’assetto che la sinistra italiana si è dato nel XX° secolo è chiaramente insoddisfacente, non per nulla l’Italia è l’unico dei grandi paesi europei, in cui la sinistra non sia, mai, stata forza dirigente di governo, cioè con un proprio leader come primo ministro, grazie ad una forza propria, quantomeno di maggioranza relativa. La sinistra in Italia è debole in termini elettorali e perciò, in un sistema democratico, politici. Sommando pere e mele la sinistra italiana, dallo SDI a Rifondazione, raggiungeva con i DS uniti, il 25/26% dell’elettorato, cioè un livello inferiore a quello del Partito Socialista Svizzero.
In attesa della prossima prova elettorale generale possiamo stimare che le formazioni a sinistra del PD si attestino in una forchetta tra lo 11 ed 13%, molto dipenderà dal grado di mobilitazione dei milioni di astenuti di sinistra e dall’incidenza di Sinistra Democratica nell’elettorato tradizionale dei DS.
Dunque la sinistra, ancora una volta, non si può porre come forza con vocazione maggioritaria alla guida del paese.
Questo non sarebbe un problema se ci fosse la convinzione che si sta avviando un processo nella giusta direzione. Nelle prime elezioni libere nell’allora Cecoslovacchia i socialdemocratici non riuscirono a superare la soglia di accesso, ma nel giro di un decennio riuscirono a diventare il primo partito in termini di voti e seggi ed ad ottenere la carica di primo ministro.
Cosa succede, invece? Che si discute di una prospettiva di “Cosa Rossa”, cioè di una formazione, che strategicamente si pone come forza a vocazione minoritaria, nel migliore dei casi forza minoritaria indispensabile e pertanto condizionante.
Una forza minoritaria non soltanto per ragioni obiettive, ma, e questo è l’aspetto più preoccupante, per vocazione.
Ci sono settori della nostra sinistra che per tradizione e psicologia si trovano a disagio come forza di governo, al più possono stare transitoriamente al governo.
Al di fuori della Cosa Rossa l’altro processo in movimento è quello della Costituente Socialista, che però, al di là delle intenzioni e dei proclami, è allo stato un positivo superamento della diaspora degli ex PSI e niente di più, malgrado i pregevoli apporti di personalità con un’altra storia alle spalle, di cui ci ha parlato Enrico Boselli nel Riformista del 7 agosto.
Nel mezzo di questi processi, nel senso che non è di qua né di là, Sinistra Democratica, cioè proprio il fatto nuovo che avrebbe dovuto movimentare la scena, come la forza che poteva coprire, o meglio aprire, quegli spazi a sinistra oggettivamente lasciati liberi dalla scelta della maggioranza dei DS di estinguersi nel PD.
La questione dell’adesione al PSE di Sinistra Democratica non è una questione burocratica e formale, ma segna appunto la direzione di marcia che questo movimento, così si definisce, intende intraprendere.
E’ questione eminentemente politica, perché la “ Cosa Rossa” va in altra direzione, quella che ha come referente la Sinistra Europea.
Appare illusorio separare, ancora una volta, le esigenze della nostra cucina elettorale da quelle di un ragionamento sull’Europa, cioè sul contesto politico europeo e della collocazione dell’Unione Europeo nel concerto delle grandi potenze, cioè dei soggetti politici del pianeta nell’epoca della globalizzazione. In questo anno di disgrazia 2007 non mi sento di aggiungere nulla all’analisi di Detlev Albers, un esponente della sinistra socialdemocratica tedesca, quando dieci anni fa scriveva che “ il futuro socialdemocratico dovrà quindi manifestarsi come europeo ovvero non varrebbe la pena discutere di ciò, seppure i suoi partiti siano parte del governo in questo o quel paese” (Sozialdemokratische Zukunft- Arbeit an der Vision aus eigener Kraft in Cap,Fischer,a cura di, Die Zukunft der oesterreichischen Sozialdemokratie, Vienna, 1998).
In un paese dove non si avverte la presenza di forze politiche, che oltre che proporre rimedi ai problemi contingenti, pensino al ruolo dell’Italia nell’Europa e dell’Europa nel mondo, questa è la nuova sinistra da costruire, non ripercorrere strade del secolo scorso.
Neppure le migliori di quel secolo, che Ralf Dahrendorf nel 1983 aveva definito il secolo socialdemocratico, per decretarne, con troppo anticipo, la fine, ma quelle delle divisioni e del settarismo.
Un altro primato della sinistra italiana è, infatti, quello di essere l’unico paese d’Europa in cui abbia pesato la scissione di Livorno anche dopo il crollo del sistema sovietico. Questo significa porre il confronto a sinistra in termini programmatici, che sono però un’espressione della propria visione del mondo. La discussione sulla forma partito è importante, senza il superamento delle attuali forme non si va da nessuna parte, perché gli interessi delle piccole oligarchie che li governano prevarranno comunque.
E’ importante dare segnali politici forti: ben venga, quindi, il referendum proposto da Spini sull’ adesione al socialismo europeo ed internazionale, tuttavia se non si affrontano i nodi programmatici della sinistra non si fa quello che si deve fare.
Sempre sulle colonne del Riformista Turci e Salvi hanno abbozzato un discorso, ma dovrebbe essere chiaro che, se sulle questioni della riforma del welfare le posizioni della Costituente Socialista dovessero coincidere con quelle della Bonino e di contro Sinistra Democratica dovesse appiattirsi sulla piattaforma del 20 ottobre, come delineata da Liberazione e dal Manifesto, sarebbe una delle tante occasioni perdute dalla sinistra italiana in questo secondo dopoguerra, che non finisce mai. Un’ultima considerazione. A meno che preso da un delirio di onnipotenza, provocato da una multidudinaria milionaria partecipazione all’apoteosi di Walter Veltroni, il PD decida di andare da solo al prossimo confronto elettorale nazionale, PD e sinistra, sempre dallo SDI a Rifondazione, dovranno trovare un’intesa programmatica.
Se è possibile un compromesso di programma col PD, dipinto a sinistra come neocentrista, cosa impedisce alla sinistra di delineare una sua piattaforma unitaria a partire dalla laicità, dall’ambiente e dalla difesa di stipendi, salari, pensioni e redditi professionali erosi nel loro potere d’acquisto e gravati da un’imposizione fiscale superiore a quella delle rendite finanziarie? Ha mai tentato la sinistra di definire un programma comune sulla riforma della legge elettorale o sulla riduzione, non demagogica o qualunquista, dei costi della politica? I nodi della politica internazionale potrebbero essere districati in una dimensione europeista di ruolo attivo e non subordinato sullo scenario planetario, coniugato con una politica di piena occupazione, di investimenti infrastrutturali e nell’innovazione, ricerca e formazione.
Su questa piattaforma condizionare un programma governativo di coalizione più efficacemente, di quanto possa fare un corteo con i suoi slogan, un corteo, che, volere o volare, è soggettivamente ed oggettivamente contro il governo e la CGIL.

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