SIGNOR PRESIDENTE - di Alberto Benzoni da “ La Gazzetta Politica” del 1 giugno 2005
20 gennaio 2008
Lettera a Prodi. Noi socialisti portiamo e porteremo sempre sulla nostra pelle l’intreccio tra linciaggio politico e richiamo all’ordine. Questo ci rende istintivamente solidali, sul piano del metodo, con Rutelli
Signor Presidente. Chi le scrive non è "ulivista". Perché ritiene che la fede nell’inconoscibile, insomma nell’Idea, può avere come oggetto solo Dio; e non possa quindi riguardare cose terrene. Per lo stesso motivo, non è nemmeno "prodiano". Appartiene, però, all’Unione e alla sua componente socialista; e da cinquant’anni. Ed è perciò in nome di questa duplice cittadinanza che si rivolge a Lei. Per segnalare il proprio sconcerto, anzi spavento per quanto sta avvenendo in questi giorni.
Le monetine del Raphael
Non sto parlando, precisiamolo subito, della scelta della Margherita (scelta, insieme, legittima e "discutibile" nel senso più neutro del termine); ma delle reazioni che ha suscitato. Parlo di un clima. Di quello che è stato messo in moto; sino ad essere, ma temo provvisoriamente, stoppato da quel senso del limite che appartiene alla dirigenza Ds. Parlo dell’indignazione dei salotti benpensanti contro Rutelli "nemico dell’Ulivo" e complice, oggettivo, di Berlusconi. Parlo dell’insopportabile popolo dei fax e/o Sms, che, tramite i soliti giornali acquisiti alla causa, invita alla protesta di massa, beninteso in nome dell’intero "popolo dell’Ulivo". E parlo, infine, dell’appello agli "elementi sani" della Margherita perché riconducano il partito sulla retta via o, se questo si rivelasse impossibile, operino (naturalmente in nome dell’unità) una bella scissione; appello cui, sia detto per inciso, gli interessati si sono dichiarati, da subito, pronti a rispondere.
È vero. Tutta questa roba si è in parte ridimensionata da sola; vedi la patetica rappresentanza ulivista presente in piazza Santi Apostoli (altra roba, le monetine del Raphael…). Mentre, ancora, la saggezza Ds ha indotto Prodi a rinunciare alla grande manifestazione girotondina e antirutelliana del 17 giugno. Però, non facciamoci illusioni; il meccanismo è sempre lì, pronto a scattare; se, come è altamente probabile, la Margherita non accetterà di mettersi in riga. Ed è un meccanismo che a me e a molti altri come me, ricorda vicende del passato, più o meno prossimo. Vicende diversamente tragiche; ma tutte marcate dal segno della perversità. Abbiamo, infatti, il Nemico (ieri del popolo, oggi dell’Ulivo); l’indignazione organizzata contro il medesimo (ieri della "classe operaia"; oggi della borghesia bene); e, infine, l’appello alle forze sane e la promessa, alle stesse, di un "aiuto fraterno" per "ristabilire l’ordine (ieri con "metodi amministrativi" oggi con la "pressione dal basso").
Una Sacra rappresentazione che dovremmo ricordare benissimo. Perché è quella che, nella sua forma più perfetta, ha portato, tappa dopo tappa, alla liquidazione della democrazia e del dissenso nei paesi dell’Est, negli anni del secondo dopoguerra. Ci si obbietterà - e non è una contestazione da poco- che lì c’erano, a garantire, diciamo così, il buon esito del processo, l’Armata rossa, le milizie operaie e la polizia segreta con i suoi falsi complotti e le sue vere torture. Mentre questi ingredienti non esistono nel nostro paese.
Ma ciò non toglie valore alle nostre considerazioni; anzi. Perché, pur in assenza di quegli strumenti, l’intreccio tra linciaggio politico e richiamo all’ordine nel nostro paese c’è stato, eccome; e basti pensare alle vicende di Tangentopoli; dove, con il concorso decisivo di mezzi non politici, si è avuta la distruzione di un’intera classe dirigente. Una vicenda che Lei avrà opportunamente rimossa; ma che noi socialisti portiamo e porteremo sempre sulla nostra pelle. Il che, tra l’altro, ci rende e ci renderà istintivamente solidali, sul piano del metodo, con Rutelli e il gruppo dirigente della Margherita. Ma oggi, ci si dirà, la situazione è diversa anche da quella dei dieci anni fa; dove sono, infatti, i circuiti mediatico-giudiziari e le proteste della "gente" contro il reprobo di turno?
Giusto, giustissimo; ma allora, ripetiamolo, perché tornare a mettere in scena la stessa Rappresentazione; con lo stessa logica di linciaggio? Perché dare la caccia al Nemico, quando non si è assolutamente in grado di eliminarlo senza pagare dazio? O, detto in modo più esplicito, perché gridare al "crucifige", quando non si dispone, alla bisogna, di giudici e soldati romani? In assenza di questi, non si rischia di avere, non il ritorno all’ovile ma il consolidamento, se non la radicalizzazione, delle posizioni dei reprobi?
Un processo che, sia detto per inciso, è stato descritto, una volta per tutte, nella favola di La Fontaine sul Vento e il sole che scommettono tra loro su chi sarà capace di togliere ad un viandante il suo mantello: al dunque, le raffiche violente del primo non sortiranno alcun effetto, anzi; mentre vi riusciranno facilmente i raggi benevoli e sempre più caldi del secondo.
Toglietemi tutto
E, allora, perché la linea dura (cui si è aggiunta, in un recente Consiglio nazionale filoprodiano, l’accusa di "mutazione genetica"; mancava solo quella…)? Azzardiamo due spiegazioni. La prima è quella di una sorta di reazione pavloviana nel corpaccione ex Pci. La seconda, Presidente, attiene invece alla Sua persona: configurandosi come quella "vertigine da successo" che ha colpito, prima di Lei, molte altre personalità politiche, portandole a perdere il senso delle proporzioni nella valutazione di se stessi e dell’universo circostante.
Ma andiamo per ordine. A partire dal "corpaccione". Un termine usato qui senza alcun intento denigratorio. Ci riferiamo, infatti, al Dna del popolo comunista; di ieri e di oggi. Non ai suoi gruppi dirigenti. Questi non sono stati certo contenti per la decisione della Margherita; ma ciò non li induce affatto a patrocinare guerre di religione e/o processi di piazza. Molto meglio chiudere al più presto la vertenza; lavorando, da subito, per garantire, prima alla Federazione e poi all’Unione, il massimo di unità possibile. Ma la "base" (quante bestialità commesse in suo nome!) tende a reagire in tutt’altro modo. Per lei vale il principio enunciato in un recente tormentone pubblicitario: "toglietemi tutto ma non il mio Breil".
Nello specifico, l’oggetto in questione è rappresentato dall’intolleranza istintiva del popolo comunista per quanti cantino fuori dal coro e contestino l’egemonia del partito; con l’annessa tendenza a ristabilire l’ordine con tutti i mezzi a disposizione, ivi compresi quelli della denuncia morale. Così l’altro ieri con Nenni, ieri con Craxi ed oggi con Rutelli. Ma ora, dato a Cesare quello che è di Cesare, mi trovo costretto a dare a Lei quello che Le appartiene. Perché, in questa sceneggiata politica, il Suo contributo è stato determinante. Anche qui non riusciamo a scorgere il suo significato. Assurdo, così, legare le sorti della Federazione - come luogo deputato alla elaborazione di un progetto - a quella della lista; con il risultato di rimettere in discussione qualcosa di concreto e di realizzabile, per rivendicare una roba assolutamente insensata (uno schieramento elettorale privo di qualsiasi connotato politico-culturale se non quello della fedeltà al suo leader; insomma "un popolo, una lista, un capo"). E ancora più assurdo, per il leader di una coalizione, partire in guerra contro una delle sue componenti principali.
E, allora, ci deve essere dell’altro. Qualcosa che attiene alla Sua psicologia. Una specie di sindrome da cui Lei è stato colpito: e che lo ha indotto a pensare di essere una cosa diversa da quella che Lei realmente è. In parole povere, Lei rimane un Presidente, anzi il Presidente per antonomasia; mentre, da un certo momento in poi, ha cominciato a vedere se stesso come una Guida. Tra le due figure c’è una differenza di fondo. Di cui Lei è la più convincente illustrazione. Presidente, Presidente per antonomasia, è l’uomo giusto al posto giusto, riconosciuto come tale non per forza propria ma per convincimento altrui. Legato alla capacità dell’interessato di rappresentare, con il minimo di controindicazioni, una determinata esigenza. Insomma, il migliore direttore d’orchestra disponibile; ma per suonare una partitura altrui.
Uomo di Missione e di Destino
Questa, la Sua traiettoria politica: da quando fu scelto come Presidente dell’Iri sulla base della partitura politica di De Mita ed Andreatta; sino ad oggi, quando Lei riveste una triplice Presidenza (del governo prossimo venturo, della Federazione e, insieme, dell’Unione) perché considerato unico punto di sintesi accettabile da parte delle diverse anime della coalizione.
Ma non è così che Lei si vede. Perché non si contenta di essere Uomo della necessità; ma aspira, invece, ad essere, cosa per Lei impossibile, Uomo di Missione e di Destino. La cosa singolare è che questo passaggio dalla realtà al sogno non è avvenuto dopo una Sua vittoria; ma ha piuttosto coinciso con una Sua pesante sconfitta. Parliamo, naturalmente, della caduta del Suo governo, con voto parlamentare, nell’ottobre del 1998. L’evento poteva essere ridimensionato, come frutto di un insieme di errori e di equivoci; compresi i Suoi. Ma Lei ha preferito interpretarlo all’insegna della "grandeur"; grande Caduta, grande Tradimento e, perciò, grande Destino. Da una parte i partiti, i vecchi giuochi della politica, con le sue identità provocatrici di divisioni e, beninteso, di inciuci; dall’altra il Popolo dell’Ulivo, quello della Fede nuova e incontaminata, che aveva visto in Lei il suo autentico rappresentante. Lei era stato, per così dire, crocifisso dal vecchio sistema; e doveva, perciò, risorgere sulla sua definitiva distruzione.
Svolgere un ruolo del genere porta, naturalmente, ad andare fuori misura. E così sta avvenendo. Lei poteva, così, rafforzare il Suo ruolo di Presidente prossimo venturo enunciando i suoi intendimenti al riguardo; e poteva consolidare la Sua leadership dell’opposizione, assecondando la creazione di un comune sentire all’interno della medesima. E poteva, infine, se quello era il problema, garantirsi, con opportuni accorgimenti istituzionali, contro futuri colpi di mano parlamentari.
Ma queste varie opzioni non La hanno interessata. Ha preferito, come il Duce buonanima, "ripulire gli angolini", come se il miglior modo di garantirsi contro le "manovre dei partiti" fosse quello di negarne l’autonomia; e questo in nome di una Unità che Lei pretendeva di incarnare da solo; ma senza aver fatto nulla per costruirla.
E, allora, sta ottenendo i risultati esattamente opposti a quelli che Lei poteva legittimamente prefiggersi. Non è diventato punto di sintesi di una Federazione e di una Unione, ciascuna con una propria fisionomia; ma è rimasto piuttosto leader del nulla. Ci ripensi, dunque, finché è in tempo. Freni i prodiani e i prodini che Le stanno intorno; dia una calmata ai girotondini e ai faxisti. Pensi, piuttosto, al futuro di tutti noi; un futuro da cui, dopo tutto, dipende anche il Suo; mentre non è detto che sia vero l’inverso.
Con immutata speranza
( Alberto Benzoni )