SIAMO UOMINI O PARLAMENTARI? - Da Il Riformista del 13 ottobre 2005
20 ottobre 2005
E poi dicono che la maggioranza parlamentare è blindata, che è tetragona, che i suoi parlamentari sono peones che obbediscono supinamente ai diktat dei leader, che non sanno mai avere uno scatto bipartisan, un pensiero libero. Ma quando mai. Metteteli di fronte a un emendamento che obbliga i partiti a candidare qualche donna in più, e un forte e immediato anelito di libertà, un orgoglioso sentimento di solidarietà di genere, un’improvvisa e coraggiosa riscoperta del dettato costituzionale per cui il parlamentare rappresenta la nazione senza vincolo di mandato, consentirà la più clamorosa delle ribellioni politiche. I franchi tiratori, dileguatisi su tutto, si sono ritrovati a centinaia quando si è trattato di affondare le quota rosa: non quelle dell’opposizione, che si sarebbe pure potuto capire, ma quelle all’acqua di rosa proposte dalla maggioranza stessa.
Ciò che in questa battaglia parlamentare sulla nuova legge elettorale è stato finora in secondo piano, è uscito ieri sul proscenio: i parlamentari stanno votando con un retropensiero corporativo, pensando a se stessi, alla loro rielezione, al loro posto di lavoro.
Evidentemente Berlusconi e gli altri leader della coalizione di centrodestra li hanno convinti che con le liste bloccate salveranno quasi tutti il seggio, e loro si sono comportati di conseguenza. Ma quando il seggio sicuro nella lista bloccata viene minacciato da una donna, allora la lobby machista, anche nel centrosinistra, scatta come un solo uomo: chiede il voto segreto, lo ottiene, e impallina pure domineddio nel segreto dell’urna.
Più che una questione politica, questa è una questione di costume. E benché Berlusconi si sia affrettato a garantire che nelle sue liste le quote rosa le imporrà ugualmente, il voto di ieri sera segnerà in maniera indelebile la riforma elettorale, svelando l’odore del retrobottega in cui è stata cucinata.