SIAMO IN GUERRA. MA SIAMO IN GUERRA? di Alberto Benzoni del 2 maggio 2022
02 maggio 2022
In Ucraina c’è una
guerra. Una guerra in cui c’è un aggressore e un aggredito. E in cui l’aggredito,
leggi il popolo ucraino, ha diritto a tutta la nostra solidarietà e a tutto il
nostro appoggio. Che questo comporti, oppure no, l’invio di armi, difensive o
anche offensive, da parte dell’Italia, è invece materia opinabile; tanto più in
quanto l’Ucraina dispone di aiuti militari da parte degli Stati Uniti per
diecine di miliardi di dollari. Ma opinabile, leggi oggetto di un dibattito
pubblico, non è. Perché siamo in guerra anche noi; e, per chi sta in guerra a
fianco del suo alleato, rifornirlo di armi è un atto dovuto e coperto da
segreto militare.
In Ucraina c’è una
guerra. Le cui drammatiche conseguenze sui civili ci vengono mostrate tutti i
giorni. E talora stravolte, quando la morte di sette persone a Leopoli viene
definita una strage, e la caduta di missili su di una struttura militare a Kiev
durante la visita di Guterres, un attacco alla pace se non alla collettività
internazionale. Ma ciò dipende dal fatto che guardiamo agli avvenimenti con gli
occhi e la passione di una parte sola. E giustamente; perchè Zhelensky è in
guerra; e noi siamo suoi alleati.
La guerra dura da
appena due mesi e molti sperano e si danno da fare perché finisca al più
presto, con l’apertura di una trattativa. Ma altri, a partire dagli Stati Uniti
e dalla Gran Bretagna, ci spiegano che durerà, anzi deve durare a lungo, perché
l’obbiettivo non è la vittoria dell’Ucraina ma la sconfitta della Russia e
magari anche, il crollo del suo regime. Anche qui, materia opinabile. E, invece
no. Perché siamo in guerra. In un conflitto in cui il comandante in campo è l’America
e il nemico la Russia.
Siamo in guerra contro
la Russia. E in guerra ogni contatto, anche precedente, con il Nemico diventa
sospetto (vedi Lombardia, vedi Spallanzani). Mentre l’opinione e la
frequentazione possono diventare reato, con effetti retroattivi. Così ogni
russo, salvo prova contraria, è una spia; e non si può dare spazio alla
propaganda del Nemico in televisione. Mentre diventa, diciamo così, inopportuna
la presenza di tennisti e concertisti; essendo, per ora, optional, parlare in
pubblico di Dostoievskji o di altri grandi esponenti della cultura russa nei
secoli precedenti.
Siamo impegnati in una
guerra non breve. E che, sul fronte economico, sembra destinata a durare “sine
die”; e magari sempre più duramente. Se non lo fossimo, la ricerca sempre più
affannosa di gas in paesi sempre più lontani e con regimi sempre più
inaffidabili, apparirebbe insensata. Ma insensata non è; perché non si può alla
lunga essere in guerra con un nemico e continuare a usare il suo gas.
Siamo in guerra. Il
nostro paese è in guerra. E, allora, come dice l’ottimo Fassino, “non possiamo
permetterci fibrillazioni”.
Un tabù che vale per
tutto e per tutti.
Così scompare
improvvisamente dai media il Covid, fino all’altro ieri al centro di
attenzioni, polemiche e ammonimenti. E questo, ad onta del fatto che continuano
i contagi e i decessi mentre l’impegno al contrasto si sta rallentando.
Così passa sotto
silenzio la crisi economica e sociale: inflazione, salari bloccati, contratti
scaduti, crisi di interi di settori produttivi, aumento della povertà . “Tranquilli,
il governo se ne sta occupando”; e la cosa finisce lì. Principio che si
potrebbe definire volgarmente con il “non si parla con il conducente” e che
viene fatto valere anche per quanto riguarda la gestione dei fondi del Pnrr.
Mentre, per inciso, viene cacciato il dirigente che nell’arco di vent’anni
aveva saputo trasformare Fincantieri in un grande costruttore di navi da
crociera; ai vertici ora un generale intento alla costruzione di navi da
guerra.
Così la preparazione
delle prossime amministrative viene circondata dal disinteresse generale.
Mentre gli stessi promotori dei referendum sulla giustizia, passaggio rilevante
se non decisivo nella ridefinizione dei rapporti tra politica e magistratura,
sembrano rinunciare a fare campagna. O, peggio ancora, chiedono lamentosamente
il prolungamento della votazione al lunedì, nel timore che venga meno il
quorum.
Così, infine, su questi
e altri temi, così come sulle decisioni del governo, il ruolo del Parlamento è
totalmente scomparso. E senza che nessuno se ne accorgesse e denunciasse la
cosa.
Diciamo, una
sospensione della democrazia. L’occasione ideale, lo diciamo senza enfasi e
senza malizia, offerta ai governanti per mettere sotto i governati e agli
interessi dei pochi per prevaricare sui diritti dei molti.
E' ciò che accade,
appunto, in tempo di guerra.
Si potrebbe obbiettare,
a questo punto, che, per entrare in guerra occorre un voto del parlamento.
Decisione che sarebbe, cavillosamente parlando, contraria alla costituzione,
visto che la guerra a noi non l’ha dichiarata nessuno. Ma che non c’è stata.
Visto che nessuno si è sognato di sollecitarla.
Ci si potrebbe
rispondere che non siamo in guerra; ma che dobbiamo sentirci in guerra.
A voi di valutare il
valore di questa risposta.
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