SI RIPARTE DALLE AMMINISTRATIVE, di Roberto Biscardini, dall’Avanti! della domenica N.7, 27 febbraio 2011

20 marzo 2011

SI RIPARTE DALLE AMMINISTRATIVE, di Roberto Biscardini, dall’Avanti! della domenica N.7, 27 febbraio 2011

Il malato potrebbe morire da un momento all’altro o tirare a campare ancora per un po’. Ma la crisi di governo prima o poi ci sarà. E avverrà sul terreno dello scontro istituzionale. Dell’implosione del sistema, delle sue principali istituzioni, messe ormai da anni duramente alla prova. Un sistema che non sembra più in grado di reggere alla pressione della realtà esterna, nazionale, civile e internazionale. Incompatibile col disagio crescente nell’opinione pubblica e nel sistema economico. Può reggere un paese senza governo? Possono le istituzioni principali vivere eternamente in conflitto tra loro e contemporaneamente autoconservarsi? E’ probabile quindi che il ciclo della seconda Repubblica si chiuda nel modo peggiore, senza niente in mano, se non prevarrà nelle forze politiche la consapevolezza che le principali “certezze” del ’93, quelle sulle quali si è avviato il nuovo corso, sono state la causa principale dei nostri mali. Da lì bisogna ripartire. Bipolarismo, bipartitismo, accentuazione della governabilità senza contrappesi, personalizzazione della politica, rifiuto della mediazione politica e parlamentare, delegittimazione dei partiti, sovranità popolare ridotta al rango di consumatore della politica, crisi dei sindacati.
In questo quadro complesso, le prossime elezioni amministrative non potranno essere solo amministrative. Saranno attraversate da questioni politiche, a partire proprio dal tema della riforma dello Stato di cui la riforma degli enti locali è parte fondamentale. E a noi socialisti converrà alzare il tiro.
I socialisti, che in questi anni hanno riproposto per primi il tema della riforma costituzionale, fino al punto da prefigurare l’elezione diretta di un’assemblea costituente e l’indizione di referendum consultivi su forma di Stato e forma di governo, non devono tacere dei danni che sono stati arrecati al potere politico dei comuni durante il periodo della seconda Repubblica. Tutto partì propri dai comuni, per poi trasferirsi sul piano nazionale. Proprio per questo dobbiamo fare delle elezioni amministrative un momento di una battaglia politica più ampia nazionale e non solo locale.
Non dimentichiamoci che tutto è iniziato con l’elezione diretta dei Sindaci, per poi trasferire questo modello ai presidenti delle regioni e invocare per il governo del paese il “sindaco d’Italia.”
A distanza di vent’anni, il sindaco d’Italia per fortuna è rimasto solo sulla carta, con il proprio nome sulla scheda elettorale, mentre a livello locale l’elezione diretta dei sindaci ha sovvertito gli equilibri di potere tra sindaco, giunte e consigli. Il potere di governo, di indirizzo e di controllo dei consigli comunali, quindi dei rappresentanti delle forze politiche, dei cittadini e delle minoranze si è fortemente ridotto. Del partito dei sindaci, quelli che dopo la fine della prima Repubblica si erano affermati su tre parole d`ordine: moralità, competenza e innovazione, c’è quasi da vergognarsi.
Secondo tema, la riforma Bassanini, che con la netta separazione tra responsabilità politica e struttura burocratica avrebbe dovuto produrre efficienza, quindi riduzione dei costi e aumento della produttività, ha invece prodotto distorsioni imprevedibili. Alcuni comuni sono sommersi dai costi dello spoil system con spese fuori controllo, altri sono letteralmente alla canna del gas. La qualità del funzionamento e l’efficacia degli enti locali non è migliorata.
Terzo, con le riforme della seconda Repubblica, i comuni hanno perso il loro peso politico, quello che per noi avrebbe dovuto essere da sempre paritario rispetto a quello dello Stato centrale.
Quarto, il federalismo fiscale, municipale, fatto di trasferimenti dal centro alla periferia, dentro uno schema di sostanziale centralizzazione di poteri, senza una cornice politica e costituzionale, con prevedibili aumenti fiscali e riduzione dei servizi, non può che preoccupare i federalisti veri.
Quattro buone ragioni per candidarci alle prossime elezioni, con l’ambizione non solo di essere eletti nel maggior numero possibile di comuni in nome della buona amministrazione, ma per dare il nostro contributo alla riscoperta del ruolo politico degli enti locali nel più generale sistema della riforma dello Stato. Con l’obiettivo di riscoprire il valore della democrazia e della partecipazione politica vera. Non accontentandoci di riconoscere come democratiche alcune istituzioni solo perché non sono delle dittature. Per riscoprire il valore socialista e democratico dell’autogoverno. Con quel tanto di spirito ribelle che il rifiuto ad una assuefazione generalizzata oggi richiederebbe. Per introdurre elementi di novità proporzionali alla dimensione della crisi. Per riformare la macchina comunale in nome della qualità della politica. Per fare i socialisti sia nelle piccole come nelle grandi “cose”. Per essere noi stessi, utilizzando le amministrative per fare politica e incominciare a costruire una nuova classe dirigente socialista, più giovane, consapevole che proprio lì, negli enti locali, si può fare buona politica e costruire democrazia come processo pratico. Una palestra politica per nuovi socialisti, così come lo è stata in passato per molti di noi.

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