SERVE UN PO' DI SOCIALISMO LIBERALECONTRO IL RAZZISMO ANTI RADICALE – di Alberto Benzoni, da Il Riformista del 27 giugno 2006
06 luglio 2006
Il razzismo politico esiste e come. Ne è testimonianza impressionante quanto sta avvenendo oggi all'interno della Rosa nel pugno. Abbiamo, così, il “compagno di base” per il quale il Radicale è intrinsecamente un deviato (succede, così si dice, a chi si occupa costantemente di carcerati e mignotte, transessuali e drogati vari); e, per giunta, un “elitario” (?). E, nella pulsione razzista, ecco, sull'altro versante, il Socialista nella veste dell'assessore, tendenzialmente votato all'intrallazzo e sordo, comunque, ad ogni causa che ne trascenda gli interessi personali.
Incomprensioni superabili con qualche dose di “buonismo organizzativo” (all'insegna dell'«impariamo a conoscerci, per diventare amici»)? Purtroppo no. Perché fenomeni, diciamo così, viscerali, non vengono rimossi a livello di discorso politico; ma, al contrario, sono ripresi, anzi ampliati, da quanti vogliono liquidare sul nascere il nuovo soggetto.
Ce ne sono anche tra i radicali; in particolare tra quanti “soffrono” la presenza del loro partito all'interno dell'Unione. Ma, almeno qui ed ora, ce ne sono molti di più tra i socialisti. Ed è allora sulle vicende di casa mia che vorrei fare una breve riflessione.
Nell'immagine dei nostri contestatori l'immagine del radicale, spiace dirlo, comincia a rassomigliare in modo impressionante a quella dell'Ebreo nella fantasmagoria nazista. Non solo un “deviato” (vedi sopra) ma anche un corruttore politico. Uno che, non so con quali arti subdole, avrebbe impedito ai socialisti di occuparsi dei problemi che interessano la gente (casa, lavoro, Mezzogiorno) per orientare invece la loro attenzione sui Pacs, l'amnistia, i diritti civili e altre astruserie minoritarie; con il risultato di confinare il nostro consenso all'interno del ”due virgola” proprio del voto di nicchia.
Come rispondere? Inutile salire in cattedra, armati di matite rosse e blu. Per spiegare, tra le altre cose, che i diritti civili, insomma la difesa delle persone contro leggi, corporazioni, istituzioni, poteri che le sfruttano e le reprimono è una “cosa di sinistra”; inutile aggiungere (con tono sommesso, per non offendere nessuno) che nulla impediva ai socialisti di parlare del precariato o dei mali del Sud, se non il dubbio (atroce quanto fondato) di non avere nulla di serio o di concreto da dire. E inutile, infine, attenzione, domandare ai contestatori quali politiche alternative propongano. I più sprovveduti biascicheranno di “unità socialista” (guardandosi però dal fare nomi); gli altri si limiteranno a rivendicare, nel politichese più puro, l'esigenza di «uscire dall'isolamento» e di «aprire il dialogo con il partito democratico» (guardandosi però bene dall'entrare nello specifico).
Occorrerebbe allora cercare di capire le ragioni vere del rigetto; e l'uso politico che se ne intende fare.
E qui mi permetto di avanzare un'ipotesi. Che molti di noi odino i radicali (e, segnatamente, Pannella) non per quello che sono ma per quello che chiedono a noi di essere. In chiaro perché ci vorrebbero, insieme, socialisti e indipendenti.
Un socialismo liberale: intento cioè a lottare contro le disuguaglianze con gli strumenti della libertà. E, ancora, una formazione politica indipendente: tale, cioè, da coltivare e difendere la sua diversità in un confronto, anche polemico, con gli altri; e nella prospettiva di cambiare la sinistra.
Una sfida enorme, certo. Anzi, forse, una missione impossibile. In primo luogo perché fortemente contrastata, diciamo così, dai poteri forti dell'Unione e segnatamente dai Ds. In secondo luogo, e soprattutto, perché ci obbliga ad essere molto diversi da quello che siamo stati, e sempre più diventati, nel corso di questi lunghi anni.
Diciamo la verità. Per anni, per decenni, abbiamo dormito. Nessun impegno politico forte per questa o quella causa. Nessun contatto vero con il mondo esterno. Tutto e sempre tra di noi. In uno sterile (e per i cittadini del tutto irrilevante) confronto tra le anime in pena (“quorum ego”) che, a seguito dei vari compositori e/o ricompositori dell'atomo, ricercavano una “unità-identità socialista” tanto soggettivamente salvifica quanto oggettivamente inconsistente; e quanti, invece, consideravano la partita oramai persa, puntando, di conseguenza, sul trasferimento dei naufraghi di Tangentopoli su di una nave capace di portarli dignitosamente in porto.
Un lungo sonno. In un organismo oggettivamente debilitato. In cui la questione socialista tendeva sempre più a trasformarsi nella questione dei socialisti; della loro collocazione o, più esattamente, del loro collocamento.
E, allora, il nostro razzismo è tutto politico. Si dice «basta con Pannella» per dire «basta con la Rosa nel pugno»; e «basta con la Rosa nel pugno» per dire basta all'ipotesi «pericolosa ed avventurista» di un socialismo indipendente.
E qui dovrebbe, dico dovrebbe, aprirsi un confronto; in cui i contendenti hanno il dovere di esplicitare sino in fondo la loro posizione. Così ci spieghino Marini e gli altri come i socialisti (e perché non anche i radicali…) potrebbero agire per costruire un partito democratico conforme alle nostre aspettative. E ci dicano Boselli e il nostro gruppo dirigente (se c'è) come, attraverso quali iniziative (organizzative ma soprattutto politiche e comuni), si potrà dare vita, qui ed oggi, alla Rosa come soggetto politico.
Perché, signori, il silenzio degli uni e degli altri potrebbe autorizzare i peggiori sospetti. In chiaro, che la posizione dei nostri malpancisti equivalga ad una semplice dichiarazione di disponibilità nei confronti dei Ds; e che il nostro gruppo dirigente, avendo compiuto un gesto di grande coraggio, passi ora il suo tempo a spaventarsene retrospettivamente.
Speriamo che le cose non stiano così. Perché, se così fosse, sarebbe la fine. E per tutti.