SE LA DESTRA RUBA, di Antonio Polito, da il Riformista del 5 maggio 2010

26 maggio 2010

SE LA DESTRA RUBA, di Antonio Polito, da il Riformista del 5 maggio 2010

«Forse la mia casa è stata pagata da altri». Le parole del dimissionario Scajola sono destinate ad entrare negli annali. Dire che «forse la mia casa è stata pagata da altri» è come dire «forse nel mio letto ha dormito una donna». Difficile esserne inconsapevoli. Ma sappiamo pure che gli italiani perdonano la donna e condannano la casa. Al centrodestra molti scandali sono consentiti, tranne uno: rubare denaro pubblico. E quello che si sta scoprendo, dalla «cricca del G8» in poi, è che anche la destra ruba. Il livello di tolleranza verso gli scandali varia da paese a paese, e dipende da una complessa sedimentazione di esperienze storiche. La destra italiana è andata al potere sull’onda di Tangentopoli, ne è stata considerata anzi la vendicatrice. Lì, politici di professione che rubavano per campare; qui, uomini nuovi, uomini del popolo o uomini del fare, che prestavano il loro servizio alla Repubblica per ripulirla. Gli italiani condannarono Craxi perché ritenuto corrotto, ma chiamarono a sostituirlo Berlusconi nonostante fosse accusato di esserne il corruttore. Sembra una paradosso ma è perfettamente spiegabile. Per i nostri standard di moralità, violare la legge usando i soldi propri è accettabile (così fan tutti), ma violare la legge prendendosi i soldi altrui no. In questa trappola politica è caduto Scajola.
Tutti i partiti che compongono il centrodestra provengono dalla mitologia di Tangentopoli. La Lega, la cui esplosione elettorale avvenne con lo slogan «Roma ladrona», e che incubò la fine della prima Repubblica prima ancora che la procura di Milano cominciasse a picconarla. Alleanza nazionale di Fini, il cui nemico era la «partitocrazia» e il cui valore fondante era la «legalità». E Forza Italia, nata per sostituire ai partiti storici suicidatisi negli scandali la linfa nuova della gente d’azienda, già abbastanza ricca di suo per dover rubare.
Scajola infrange questo schema, e forse non a caso, visto che di tutti gli uomini nuovi di Berlusconi è il più antico, il più democristiano, il più «prima Repubblica». E del resto, da Milano a Roma, scandaletti di soldi si susseguono nelle file del centrodestra (senza contare da ultimo il plurindagato senatore della Repubblica Giuseppe Ciarrapico). Fu per questo che Berlusconi si precipitò ad annunciare una legge anticorruzione che poi, come era previsto, finì nei cassetti. Sapeva di doversi difendere dal più formidabile dei rischi: essere identificato con la corruzione come un partito qualsiasi. Il caso Scajola lo ripiomba in questo incubo.
In Gran Bretagna si usa dire che gli scandali di sinistra sono di soldi, e quelli di destra sono di sesso. Perché quelli di sinistra sono in genere dei politicanti che vengono dalla povertà, e quelli di destra dei signori ricchi e viziosi che vengono da Oxford e Cambridge. Era un po’ lo schema creatosi anche in Italia con l’avvento del bipolarismo, ed era più o meno accettato come naturale. Innaturale è che la destra rubi. Innaturale è che un ministro faccia giochetti col rogito di una casa, perché la casa nell’immaginario berlusconiano (leggete l’articolo di Alessandro Campi su questo numero) è la stella polare, da MilanoDue alle case dell’Abruzzo, all’abolizione dell’Ici.
Di più: il centrodestra oggi capisce che l’impunità di massa di solito riservata a Berlusconi non si estende ai suoi uomini. Se Berlusconi fa la vittima, le vecchiette piangono; se fa la vittima Scajola, le vecchiette s’incazzano (soprattutto quando sentono che una casa con vista sul Colosseo costa 600mila euro). Perciò le dimissioni del ministro sono il primo caso di un potente che cade prima ancora dell’avviso di garanzia, prima ancora di essere perfino indagato. È una grande novità. Nella Repubblica berlusconiana gli avvisi di garanzia erano quasi diventati una medaglia da appuntarsi al petto, perché consentivano al politico di ricorrere al «metodo Silvio», attacco alle procure rosse e denuncia del complotto. Paradossalmente, proprio l’assenza dell’avviso di garanzia ha invece lasciato Scajola nudo, senza un pm con cui prendersela. Da questo punto di vista, e solo da questo, Scajola ha ragione: ha subìto un processo mediatico, ed è stato disarcionato da quello. Perché, quando si tratta di soldi e di case, gli italiani credono più facilmente alle sorelle Papa che a un ministro. Una prima conseguenza politica del caso Scajola è dunque questa: per la prima volta in questa legislatura Berlusconi non può minacciare elezioni anticipate, perché non può più essere sicuro di vincerle. La seconda conseguenza è che tutti i suoi nemici interni al centrodestra saranno dunque da oggi più liberi di mettergli i bastoni tra le ruote. La terza conseguenza è che perfino l’esangue opposizione ha trovato finalmente uno scandalo che non gli fa perdere voti a cavalcarlo. La politica italiana è in grande movimento. Anche se non arriveranno quegli altri due o tre «casi Scajola» nel governo di cui si vocifera da giorni.

Vai all'Archivio