SCUOLA, UNIVERSITA’, RICERCA E INNOVAZIONE - Intervento di Francesco Robigllio per il seminario regionale della costituente, Merate 29-30 settembre 2007
16 novembre 2007
Scuola, Università, Ricerca e Innovazione sono nodi strategici di una politica che mira a migliorare il posizionamento competitivo del paese nello scenario economico mondiale e a garantire condizioni diffuse e stabili di benessere per i suoi cittadini. Sono oggi anche nodi centrali di una politica socialista che vuole estendere le opportunità a tutti i giovani, superando gli attuali ostacoli e le discriminazioni esistenti e che mira a favorire il merito e dare spazio a chi vuole costruirsi proprie opportunità di vita.
Per questo motivo riteniamo che sia necessaria, anche e innanzitutto in Parlamento e nel governo, un'azione dei socialisti molto decisa e coraggiosa che inneschi un cambiamento di direzione e un'accelerazione nella politica fino ad oggi perseguita dal centro-sinistra. La legge finanziaria per il 2008 dovrà costituire un banco di prova della capacità di questo Governo di attuare politiche seriamente riformatrici.
Su scuola, Università, ricerca e innovazione troppo spesso le riforme necessarie - quelle che fanno bene al paese e che costituiscono dei benefici per i cittadini e per le migliori forze produttive - sono state frenate, o boicottate, dagli interessi corporativi che traggono vantaggio dalla situazione esistente: interessi di pochi che - in modo sempre meno sostenibile - si scaricano in svantaggi per molti, e in particolare per i più deboli, i più bravi, meritevoli o coraggiosi - e che costituiscono oggi un freno per la crescita del paese. Occorre dunque sostenere con coraggio le necessarie riforme, contrastando e superando le resistenze corporative che, purtroppo, si annidano anche all'interno della coalizione di governo. Le innovazioni che scardinano privilegi richiedono di superare il metodo della concertazione in cui sono rappresentati gli interessi degli insiders ed esclusi - o sotto rappresentati - quelli degli outsiders e penalizzati. E' compito delle forze riformiste e del Governo dare voce e rappresentanza a questi bisogni.
Scuola
La scuola è non da oggi un cavallo di battaglia della politica socialista. Una scuola pubblica di qualità costituisce un tasso fondamentale - se non il più importante - di una politica tesa a superare le differenze di opportunità alla nascita e a dare un migliore futuro a tutti.
La scuola italiana ha una performance media insufficiente rispetto ai paesi con cui competiamo: la preparazione media degli studenti italiani è sistematicamente sotto la media dei paesi ocse. Nel contempo, il Paese sopporta una spesa in personale per studente superiore alla media europea: anche al netto degli insegnanti di sostegno e di quelli di religione, l'Italia impiega 9,1 professori per 100 studenti contro una media dei paesi ocse di 7,5. Si spende molto, si spende male e si spende molto in personale, e in personale poco preparato, e poco in strutture e attrezzature per un'istruzione più moderna.
Noi diciamo che è necessaria un'inversione di tendenza e che compito del paese e di questo governo deve essere di fornire ai propri cittadini una scuola di maggiore qualità, all'altezza dei bisogni e delle sfide che giovani, lavoratori e imprese devono affrontare. Una scuola di qualità è essenziale per superare le discriminazioni che una cattiva istruzione genera: chi può compensa in altro modo, chi non ne ha le possibilità si trova svantaggiato non solo rispetto ai propri connazionali, ma rispetto ad un mondo sempre più connesso e con crescente circolazione internazionale del lavoro.
Senza cambiare le regole di funzionamento, l'investimento in addizionali risorse rischia di perpetuare, se non radicalizzare, le distorsioni e le carenze esistenti. Alcuni interventi sono secondo noi elementi costitutivi di una nuova politica per la scuola che risponda alla domanda di qualità dei cittadini anteponendo questa esigenza alla tutela degli interessi costituiti:
- si introducano criteri più severi di accesso alla professione di insegnante, che abbiano a fondamento la capacità di insegnare e di educare. Da questo punto di vista, devono essere ripensate le politiche finalizzate alla regolarizzazione massiva e indiscriminata dei molti insegnanti precari e devono essere assegnati maggiori poteri di scelta nelle assunzioni per i presidi delle scuole;
- si dirottino risorse a favore della formazione professionale degli insegnanti e si introducono meccanismi premianti verso i più capaci e penalizzanti verso quelli meno competenti. Conseguentemente, devono essere drasticamente alleggeriti i meccanismi di progressione salariale legati all'anzianità di servizio;
-si introduca maggiore trasparenza verso i cittadini e le famiglie utilizzatrici sulla qualità delle scuole e degli insegnanti, fornendo elementi per una migliore scelta
-si assegni maggiore potere in merito ad assunzioni e differenziazione retributiva ai presidi;
-si lanci un piano di investimento nazionale finalizzato a migliorare le strutture e le dotazioni delle scuole
Università
La nostra Università si posiziona nei confronti internazionali anche peggio della scuola (preparazione degli studenti, ricerca, qualità dei professori, brevetti, ...) e costa per studente più di quella dei paesi con cui ci confrontiamo (basti considerare che il costo annuo degli stipendi/studente è in Italia di 18.900 € contro 12.500 dell'Inghilterra, che ha notoriamente un sistema universitario molto più performante del nostro su una molteplicità di dimensioni).
La nostra Università non riduce ma acuisce le differenze sociali e ha implicito un meccanismo regressivo: è pagata da tutti ma se ne avvantaggiano prioritariamente i più abbienti. E per gli studenti che vogliono studiare nelle migliori sedi - laddove queste siano distanti dal luogo di residenza - si devono sopportare oneri elevati - senza nessun aiuto pubblico - che costituiscono un'ulteriore barriera per i meno abbienti e per le popolazioni del meridione del paese.
Anche qui valgono i ragionamenti svolti per la scuola: è inutile, se non dannoso, allocare più risorse senza modificare i meccanismi di funzionamento: si radicalizzano le distorsioni e si mantengono le protezioni corporative verso la categoria dei professori universitari. Ciò che oggi serve prioritariamente è un robusto innesto di elementi di meritocrazia, di liberalizzazione e di competizione tra Università, che scardini i meccanismi di difesa corporativa e concentri le risorse verso le migliori istituzioni.
Per questi motivi, siamo favorevoli ad una riforma dell'Università che preveda:
-l'abolizione del valore legale del titolo di studio
-la liberalizzazione dei contratti di assunzione dei professori che permetta di attrarre i talenti e di scardinare le posizioni di rendita degli insiders meno meritevoli
-un aumento delle rette universitarie con la parallela introduzione da parte delle università di borse di studio e sostegno a favore dei più meritevoli e bisognosi
-l'introduzione di sussidi e agevolazioni fiscali per gli studenti iscritti in Università fuori sede, in Italia e all'estero
-La chiusura delle facoltà, dei corsi di laurea e delle università che non trovano giustificazione economica e che risultano meno produttive
Anche in tema di politica universitaria, dunque, occorre che il governo e il suo ministro operino una serio e rapido cambiamento di direzione: ci piacerebbe che l'impegno profuso per richiedere maggiori finanziamenti all'Università - che certamente sono necessari -sia pareggiato nell'intensità e superato nei risultati da un lavoro - forse più silenzioso ma più efficacie che modifichi le vere ragioni che stanno alla base della crisi della nostra università.
Innovazione e ricerca
L'innovazione è oggi un tema di competitività di un sistema economico nell'economia mondiale. A differenza degli anni '50 e '60 - in cui la crescita economica si basava per il nostro paese su principi di imitazione in quanto era relativamente arretrato e lontano dalla frontiera tecnologica -, oggi la crescita dell'Italia è legata alla capacità di innovare (processi produttivi e prodotti): non siamo (più) la Cina (ammesso che essa sia solo questo)
E' ormai un dato acquisito la scarsa - o nulla - efficacia delle politiche di sussidi e trasferimenti alle imprese per finanziare investimenti e innovazione: il 70% di quelle che investe lo avrebbe fatto comunque; il restante 30% non ha modificato la sua posizione competitive, né la sua produttività in modo significativo nel medio periodo.
In compenso, queste politiche hanno permesso il mantenimento in vita con posizioni protette di aziende poco competitive e hanno creato - o rafforzato - le barriere all'ingresso e allo sviluppo di quelle più innovative e profittevoli. Esse sono troppo spesso risultate ostacoli allo svolgersi di quella che Schumpeter chiamava "distruzione creativa". Esempi noti ed eclatanti: Alitalia che impedisce lo sviluppo di compagnie di rilievo sul mercato italiano e la siderurgia pubblica (anni '80 e '90) che ha ostacolato la creazione di concorrenti innovativi e redditizi.
Alla base di politiche per l'innovazione ci sono quindi politiche a favore della concorrenza e dell'ingresso di nuovi operatori nei mercati: è il tema delle liberalizzazioni nei mercati dei prodotti ma soprattutto dei servizi (decreto bersani, riforma lanzillotta, ecc.). Su questo fronte occorre riprendere l'iniziativa ed essere ben più coraggiosi ed efficaci di quanto il ministro Bersani sia risultato all'atto pratico: le liberalizzazioni devono investire anche altri campi dell'economia nazionale e deve essere decisamente superata la logica di concertazione con cui si è cercato di realizzarle: le politiche per la concorrenza non possono essere concertate perchè chi siede al tavolo è sostanzialmente contrario, mentre i beneficiari non vi sono rappresentati.
Proponiamo che in tema di liberalizzazioni i socialisti si facciano protagonisti di uno sforzo bipartisan che permetta di sconfiggere le difese conservatrici e corporative che si annidano nelle forze politiche e sociali e in entrambi gli schieramenti parlamentari. E' questo un fronte su cui vogliamo sfidare le altre forze riformiste della coalizione.
L'innovazione per sua natura richiede flessibilità, senza la quale non si ha una sufficiente quantità di "distruzione creativa": gli strumenti di irrigidimento del mercato del lavoro e di sovvenzionamento dei posti di lavoro nelle aziende non più competitive ostacolano l'innovazione.
E' qui necessario un atto di coraggio che guardi agli interessi del paese, che guardi avanti e superi schemi storici che rischiano di risultare conservatori e inadeguati a guidare la crescita del paese. Noi siamo favorevoli a prendere una nuova direzione.
Si rivedano alla base i meccanismi di finanziamento e sussidio alle imprese e si riducano gli importi erogati (4 - 5 miliardi/anno) e si abolisca il meccanismo della cassa integrazione, uno strumento che oggi sembra tutelare gli imprenditori meno capaci piuttosto che i lavoratori. E si utilizzino le risorse così liberate per sostenere gli investimenti in competitività del sistema paese e di sostegno per i lavoratori che subiscono i costi dell'innovazione.
Riteniamo che la prossima legge finanziaria debba contenere precisi impegni in materia e che ciò debba costituire un chiaro elemento di discrimine perchè i socialisti possano sostenerla. Nel contempo riteniamo che i nostri parlamentari e amministratori si debbano impegnare per ostacolare ogni intervento e legge che contraddica a questi principi.