SCOPRIAMO INSIEME COM'È MODERNO IL SOCIALISMO CHE SEMBRAVA VECCHIO – di Ugo Intini, da il Riformista del 14 settembre 2006

28 settembre 2006

SCOPRIAMO INSIEME COM'È MODERNO IL SOCIALISMO CHE SEMBRAVA VECCHIO – di Ugo Intini, da il Riformista del 14 settembre 2006

La tradizione del socialismo riformista italiano è particolarmente attrezzata per sostenere il dibattito in corso perché ha sempre avuto tratti anticipatori. Oggi si insiste sul fatto che il socialismo moderno è post-ideologico, concreto, basato su principi morali elasticamente messi in pratica, anziché su dottrine. Ma esattamente questa è stata, a ben vedere, sin dalle origini, la caratteristica del socialismo italiano: magari un po' naif, alimentato spesso da sentimenti e per questo, secondo i marxisti leninisti, «confusionario». Nell'epoca delle teorie politiche, i Turati, i Nenni, i Saragat, i Pertini, non coltivavano ideologie, rappresentavano un mix tra concretezza e valori umanistici di giustizia e libertà. Sembravano allora «ottocenteschi» e arretrati di fronte ai sostenitori del «socialismo scientifico», mentre oggi si dimostrano moderni. Nenni parlava di «socialismo dal volto umano» e al tempo stesso di «case, scuole, ospedali». Lenin lamentava che gli sciocchi e provinciali socialisti italiani rinunciavano alla rivoluzione per tutelare le loro cooperative e i loro sindaci. Si narra che la delegazione dei socialisti italiani fu ricevuta da Lenin a Mosca, nello splendore del Cremlino, durante l'occupazione delle fabbriche del 1920. «Bravi - disse il capo dei Soviet vincenti alla delegazione socialista - e adesso che cosa farete dei padroni? Uccideteli!». «Noi socialisti, signor Lenin, siamo brava gente, e queste cose non le facciamo», risposero. Qui sta il contrasto del secolo scorso tra socialismo umanista e riformista da una parte, marxismo-leninismo dall'altra, tra pragmatismo da una parte, intransigenza dottrinaria dall'altra. Oggi si insiste su un socialismo che fino in fondo rispetti i principi del libero mercato. Ma proprio i socialisti italiani furono i primi in Europa ad andare su questa strada, valorizzando il lungo filo di storia comune a socialisti che amavano i principi liberali e a liberali che amavano i principi socialisti: da Gobetti ai fratelli Rosselli, da Giustizia e Libertà al Partito d'Azione, dove convivevano i socialisti come Lombardi e De Martino, insieme ai liberal democratici come La Malfa ed Ernesto Rossi. Il nuovo corso socialista di Craxi, nella seconda metà degli anni Settanta, abbandonò Marx per Proudhon, si allacciò a questo filone rilanciando con forza il liberal socialismo e riscoprendo per l'Italia anche la tradizione della scuola fabiana inglese (madre del blairismo) che metteva insieme da sempre valori liberali e socialisti. Non per caso, il welfare state fu inventato nel dopoguerra dal primo ministro laburista Attlee e dal liberale Lord Beveridge. Io stesso scrissi con il liberale Enzo Bettiza, per propagandare il liberal socialismo, il libro Lib Lab. Già allora avevamo visto lo scoglio contro il quale rischia oggi di arenarsi il possibile futuro partito democratico: la natura riduttiva del termine «socialista», la sua «impalatabilità» per il continente americano e per le forze provenienti da tradizioni diverse. Proponemmo che l'Internazionale si chiamasse Internazionale Democratica, così da potersi legare al partito democratico americano. Osservammo che le dispute nominalistiche sono fuorvianti e che già i partiti sudamericani aderenti all'Internazionale si chiamavano «radicale», «democratico», ma raramente «socialista». Gli stessi argomenti ho svolto al Congresso dell'Internazionale Socialista di San Paolo nel 2003.
La Rosa nel Pugno, mettendo insieme i continuatori della tradizione socialista con quelli, come Pannella, della tradizione liberale, si iscrive perfettamente nella corrente liberal socialista appena descritta e non può dunque essere estranea al dibattito sulla costruzione di un grande partito democratico. Non è estranea e pensa di poter dare un contributo importante. C'è il rischio che il Partito democratico nasca dall'incontro di vertice tra due nomenclature (post-comunista e post-democristiana)? L'apporto liberal socialista della Rosa nel Pugno può essere un antidoto a tale rischio. La Rosa nel Pugno solleva inoltre nel dibattito una questione essenziale, che non può essere elusa: quella della laicità, caratteristica di tutti i partiti socialdemocratici, liberali e democratici del mondo. Non si tratta di un tema dell'Ottocento ma, di fronte ai fondamentalismi in espansione, del più scottante problema del nostro tempo. Non c'è progresso senza ricerca scientifica, non c'è ricerca senza libertà, ma non c'è libertà senza laicità. Non c'è pace nel mondo senza la laicità, perché questa, nei paesi islamici come in occidente, è l'antidoto alle guerre di religione e di civiltà. Non c'è serena convivenza nelle nostre metropoli multietniche e multireligiose senza porre sullo stesso piano i fedeli di diverse osservanze e i non fedeli: ancora una volta senza la laicità.
Il mix di valori morali e pragmatismo che viene dall'umanesimo socialista, la elaborazione liberal socialista che è caratteristica proprio dell'esperienza italiana sono un patrimonio della Rosa nel Pugno. Possono esserlo anche del futuro partito democratico.

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