SBAGLIATO ANCHE ANDARE ALLA LEOPOLDA di Luca Cefisi dall’Avanti! online del 28 ottobre 2014

18 dicembre 2014

SBAGLIATO ANCHE ANDARE ALLA LEOPOLDA di Luca Cefisi dall’Avanti! online del 28 ottobre 2014

Oggi è in corso un conflitto grave e potenzialmente disastroso all’interno del centrosinistra italiano: di questo, la contrapposizione tra Leopolda e Piazza San Giovanni è stato in questi giorni l’esempio eclatante. Chi scrive ha ritenuto che valesse la pena di scendere in piazza con la Cgil, da socialista e da esponente del Psi. Prima di spiegare, a chi interessi, quali siano le mie ragioni (e non solo mie, ma di un numero non disprezzabile di compagni e compagne), e questo anche per espormi, com’è giusto, a critiche e risposte, vorrei però innanzitutto suggerire di discutere dell’oggi, senza agitare paragoni storici del tutto impropri: e davvero improprio e inadeguato è il paragone tra l’attuale momento storico e il conflitto tra parte del sindacato e governo sulla scala mobile del 1986, che pure viene proposto con la banalizzazione, davvero assurda io credo, “Renzi come Craxi”; penso non ci siano dubbi che il Craxi presidente del consiglio ricercò, con molti sforzi e attraverso vari passaggi, una concertazione con i sindacati, senza riuscirvi verso la Cgil per un veto politico del maggior partito di opposizione, quindi se rifiuto per ragioni politiche della concertazione ci fu, esso non fu pregiudiziale da parte del governo, ma ricercato del Pci, che lo impose alla Cgil; Craxi guadagnò il pieno sostegno del mondo sindacale non comunista, inclusa la componente socialista della Cgil stessa. Insomma, Craxi con il sindacato ci parlava, eccome. Oggi il Presidente del Consiglio Renzi ostenta apertamente disinteresse per la cultura, riformista e socialdemocratica europea, della concertazione sindacale, mettendo in imbarazzo persino Cisl e Uil, che se scelgono, per ora, di non manifestare, o di manifestare solo per il contratto del pubblico impiego, si trovano comunque altrettanto escluse da un processo decisionale che non ha neppure sedi e modalità (abbiamo abolito anche il Cnel, tanto c’è Twitter). Aggiungo anche che, per lo stesso motivo, non intendo neppure agitare più di tanto il nome santo di Giacomo Brodolini: è la modernità che mi interessa. Quale modernità, di dove sia, oggi, la modernità, ovviamente coniugata alla giustizia. Ecco, un altro paragone forzato e retorico, che troppo spesso ascolto, è quello sulla “Terza via” all’italiana, sulla realizzazione con il jobs act di un piano Hartz all’italiana che segnerebbe il rinnovamento definitivo del riformismo italiano nella modernità di un “nuovo centro”: ebbene, è noto a tutti che Schroeder ha lasciato, e da sconfitto, la leadership della Spd nel 2005. Un decennio fa. Non si può davvero dire che quell’esperienza, per di più precedente alla grande crisi economica iniziata nel 2008 che costituisce una cesura storica indiscutibile, sia oggi il benchmark della sinistra europea. Tanto meno, che sia la “sinistra che vince”. Niente è più provinciale, niente è più inadeguato, che comprare la modernità del passato, l’aggiornamento che fu, il Windows 3.1 impolverato. Molti aspetti dell’azione di Schroeder, dell’ideologia della Terza Via, sono stati posti a necessaria critica e revisione, in Germania, in Europa, e in primo luogo proprio nella Spd. Ne cito due: l’eccessiva personalizzazione sul leader, e si è tornati a ricercare l’unità della Spd nella pluralità delle posizioni, che è il contrario dell’unanimismo; il riconoscimento che la ricerca della competitività del modello economico può essere un utile strumento, ma non il fine dei riformisti, e che quel modello ha provocato squilibri interni, quali la perdita di potere d’acquisto dei salari e un’eccessiva precarizzazione del lavoro, e squilibri esterni, per esempio quello della bilancia commerciale tra Germania e resto d’Europa di cui tutti stiamo pagando il prezzo oggi. Ma, mi si lasci aggiungere, magari si facesse davvero alla Schroeder: e invece no. Siamo allo Schroeder immaginario! Il piano Hartz venne discusso in lungo e in largo, in Germania, con le controparti (ricordate che base della Terza Via, nei suoi aspetti più felici, del tempo ormai lontano del primo mandato di Blair, era il coinvolgimento degli stakeholders, insomma delle parti sociali, se mai riconsiderate in senso molto più ampio di quelle tradizionali!); i licenziamenti, nelle grandi aziende tedesche, sono sottoposti alle regole della cogestione sindacale; i disoccupati, in Germania, sono seguiti da un esercito di circa novantamila operatori pubblici, mentre gli operatori dei centri per l’impiego in Italia sono circa dieci volte di meno e con meno mezzi. Da socialisti europei, dobbiamo osservare che con il jobs act, per lo strumento della legge delega, non vi è alcuna trasparenza su fondi e modalità del nuovo sistema di garanzie per la disoccupazione. Non appaiono adeguate le garanzie di un vero passo avanti verso un auspicabile sistema di flexsecurity scandinavo, e troppe sono le differenze anche con il modello tedesco, come sopra accennato. Proprio noi che abbiamo sempre sostenuto un modello di welfare europeo, dobbiamo avvertire che c’è il rischio di fare, in Italia, una cattiva imitazione, che getterebbe un’onta sui nostri progetti e sui nostri sogni. Dove sono le risorse per un nuovo welfare, quando si mette in gioco il vecchio? I tagli fiscali, quando si ripercuotono sull’universalità del welfare sanitario mettono in crisi diritti sociali di primaria importanza, che valgono molto di più, moralmente ma anche economicamente, per gli italiani, di qualche euro di pressione fiscale in meno, destinato ad essere annullato dall’aumento delle spese sanitarie per le famiglie. Certo, le imprese non hanno costi medici: ma un trasferimento netto di ricchezza dai cittadini alle imprese appare oggi un modo obsoleto di pensare lo sviluppo. Le risorse andrebbero trovate nella finanza, nell’economia virtuale, a partire magari da quegli hedge funds che il PSE ha da tempo indicato come strumenti distorsivi, che sottraggono risorse agli investimenti sociali e produttivi. C’è davvero da trasecolare, quando un gestore di hedge funds, che peraltro l’ha finanziata e quindi si presenta lì con un certo qual piglio proprietario, va alla Leopolda per dire che lo sciopero è un costo (avvertitelo: certo che lo è, si fa per colpire il padrone, lo sciopero, non certo per manifestargli commossa gratitudine). In tutto questo, io credo, pur laicamente, al valore dell’unità del nostro partito: ma se si vuole che noi socialisti non ci lasciamo coinvolgere dallo scontro interno nel Pd, allora forse io e altri non dovevamo andare in Piazza San Giovanni, ma né più e né meno di quegli altri dirigenti che si sono recati alla Leopolda. Veramente, io avrei voluto che, tutti assieme, ci riunissimo per stendere la lista delle obiezioni, delle critiche, delle proposte, e fare così il nostro ruolo di sinistra riformista, critica, bastian contraria quando è il caso, cosa che si può fare benissimo anche stando nella maggioranza di governo. Invece non ci siamo riuniti, non ne abbiamo discusso: forse si è creduto di evitare una diatriba, che certo sarebbe stata inadeguata al momento, tra coloro che vedono Craxi in Renzi e coloro che vedono Brodolini in Civati. Ma si poteva, e si doveva, guardare avanti, sforzare di ricercare una sintesi tra noi, e così magari avremmo avuto qualcosa di buono da proporre agli altri. Questo non è stato, e allora, almeno, mi si lasci, ci si lasci testimoniare: che così non va, nell’azione di governo, nell’azione di ricostruzione del riformismo italiano, e anche nel nostro Psi. Luca Cefisi

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