SAREMO IL PRIMO PAESE SENZA SOCIALISTI? – di Antonio Ghirelli, da Il Riformista del 14 febbraio 2007
23 febbraio 2007
Destini. verso un pallido compromesso storico
Cominciamo col chiarire che nessuno di noi socialisti pensa di criminalizzare o anche soltanto di porre sotto accusa i compagni con la nostra storia e quelli di provenienza comunista che abbiano scelto o siano sul punto di scegliere l'opzione del Partito democratico. La crisi della società e quindi della cultura, all'inizio del terzo millennio, è tale che nessuno di noi, isolatamente o collettivamente, può pretendere di possedere l'unica ricetta giusta per risolverla.
Anche il sospetto, probabilmente non sempre infondato, che molti fautori della nuova ipotetica formazione siano motivati prevalentemente dalla preoccupazione di conservare un seggio in Parlamento o un posto nell'esecutivo, non basta a revocare in dubbio la validità di una soluzione che nel breve periodo si raccomanda, quanto meno, per la sua funzionalità in chiave elettorale nel contesto dello stato confusionale in cui è piombato il bipolarismo dopo la riforma che Sartori ha definito argutamente “porcellum”.
Ma rinunciare a criminalizzare un'opzione non vuol dire condividerla e nemmeno giustificarla. Noi socialisti storici, se proprio dobbiamo scegliere una definizione, ci rendiamo perfettamente conto che molti fattori stanno contribuendo a favorire il processo di maturazione del Pd, a cominciare dal crescente favore che tra i vertici dei Ds e della Margherita va guadagnando una prospettiva che ripropone, a un livello molto più modesto ma non più utopistico, l'ipotesi del compromesso storico tra i democristiani meno laici di De Gasperi e Fanfani e comunisti più che mai decisi a non riconoscere il successo storico del socialismo liberale.
È l'inguaribile massimalismo della sinistra alternativa, barricata dietro un antiamericanismo e un'intransigenza sindacale da anni Cinquanta, a spaventare Fassino spingendolo nelle braccia di Rutelli e Marini per chiedere a un generico riformismo senza tradizioni e senza ideologia una motivazioni politica altrimenti inesistente: i Ds ci mettono ciò che resta dell'apparato, Rutelli e Marini la benedizione, sempre più esigente, del Santo Padre, e via con le liste.
Per molti versi, insomma, sta per scoccare l'ora decisiva per il destino del movimento socialista italiano. Se i segnali di inquietudine e di malcontento dello Sdi avessero la consistenza che sarebbe desiderabile, verrebbe fatto di invocare dai gruppi che fanno capo a Macaluso, a Ruffolo e a Bobo Craxi uno sforzo unitario con Boselli da tradurre in manifesto e in una serie di iniziative politiche nelle quali, beninteso, coinvolgere senza la minima esitazione anche i socialisti schierati con Berlusconi per un'irrefrenabile reazione anti-giustizialista. Ma nemmeno una catastrofica ritirata dello Sdi giustificherebbe la nostra resa. Saremmo il solo paese d'Europa, se non del mondo, scomparendo, a far tacere per sempre qui la voce del socialismo liberale, unica mediazione possibile tra un mercato senza regole e un sotto-sviluppo senza speranza.