SALVARE LA CALABRIA PER SALVARE IL SUD di Roberto Biscardini del 1 maggio 2023
01 maggio 2023
Nelle settimane scorse l’Istat ha
rilevato nel primo trimestre 2023 una crescita del PIL e stimato per tutto il
2023 un incremento del 1,8. Ciò ha consentito al nostro Governo di cantare
vittoria, ma nulla si è detto circa la crescita o la decrescita del Sud. Anche
perché altrimenti emergerebbe una debolezza strutturale dell’iniziativa
pubblica, confermando, purtroppo, che l’economia meridionale non va ancora
assolutamente bene. Basta il dato dell’ultimo rapporto Svimez. Nel 2023 il PIL
meridionale si contrarrebbe fino a -0,4% nonostante la crescita del centro-nord.
Nel rapporto Svimez si rilevano inoltre alcuni dati allarmanti. Per esempio alla
crisi economica complessiva e alle carenze infrastrutturali si attribuisce al
progressivo disinvestimento nel settore dell’istruzione la debolezza del
sistema economico anche per il futuro.
Con una povertà sempre in crescita, stimata
per il 2023
di 760.000 nuovi poveri al sud e una situazione occupazionale assolutamente
negativa.
Ciò conferma che per il Sud le cose sono andate male anche
in questo ultimo decennio e non si vede alcuna inversione di tendenza.
Dopo gli anni del coronavirus si aprono
quindi tre scenari possibili.
Il primo, la ferocia del sistema
capitalistico e liberista potrebbe aggravare ancora di più le diseguaglianze
tra Nord e Sud.
Il secondo, la debolezza delle
istituzioni e della politica incoraggia la rassegnazione della popolazione e
l’accettazione passiva delle regole del mercato, quindi della povertà.
La terza ipotesi, positiva, è quella
che dovremmo avere davanti a noi come riferimento principale di una nuova lotta
politica. Affinché contando sulla rinascita di una politica più autorevole,
sostenuta da una coscienza civile diffusa e da un movimento delle forze lavoro
occupate o sfruttate, si possa, nel coordinamento tra istituzioni locali e
politiche di sostegno dello Stato centrale, definire un nuovo progetto di
crescita e sviluppo.
D’altra parte, senza uno Stato forte,
nazionale e locale, il Sud è destinato ad essere ancora meno influente,
aggravando diseguaglianze ed ogni tipo di distanza.
La distanza tra ricchi e poveri. La
distanza tra chi ha il lavoro e chi non ce l’ha. Tra i garantiti e i non
garantiti. La distanza culturale e di accesso alle opportunità. La distanza tra
popolazioni urbane e popolazioni rurali. La distanza tra chi può contare su
servizi sociali (sanità, scuola e casa) e chi no. Ma soprattutto la distanza
tra Nord e Sud.
Dentro questo quadro c’è la Calabria,
che rimane la regione con il tasso più basso di produzione di ricchezza e con
il più basso PIL pro-capite italiano. Con 800.000 persone che vivono in
famiglie a rischio povertà, pari al 40% della popolazione.
Una regione che, partendo da una
posizione svantaggiata anche rispetto alle altre regioni del Sud, avrebbe
bisogno di marciare a una velocità ancora maggiore delle altre e persino del
Nord per ridurre le distanze e avvicinarsi al maggiore equilibrio economico possibile,
in un tempo relativamente breve.
Il cambio di rotta può avvenire
rimettendo in campo la battaglia politica per lo sviluppo, attraverso l’azione
di uno Stato più imprenditore, in grado di mobilitare ingenti investimenti
pubblici, riscoprendo il valore della programmazione pluriennale, non subendo
soltanto la logica del mercato.
Certo siamo certamente lontani dagli
anni virtuosi della programmazione economica e del Progetto 80, quando ci
interessavamo del Sud puntando tutto sul riequilibrio economico, sulla sua
industrializzazione e sul recupero di tutte le risorse produttive, da quelle
agricole e ambientali, per ridurre la forbice tra Nord e Sud e contrastare lo
spopolamento. Che in base ai trend attuali potrebbe sottrarre alla Calabria
entro il 2050 circa 600.000 abitanti. Un’enormità.
Così come bisogna contare sulle
politiche attive per il lavoro. Per evitare gli errori commessi in questi
ultimi anni, quando si è consentita la precarizzazione dei ceti medi e si è
toccato il fondo con il lavoro senza tutele. Sfruttamento e persino schiavitù.
Politiche del lavoro per nuova
occupazione, rafforzando i punti di eccellenza nei settori manifatturieri e in
quelli ad alta tecnologia, per favorire una nuova politica industriale e la
localizzazione di nuove imprese (come per altro sta avvenendo in questo ultimo
periodo persino negli Stati Uniti, la patria del libero mercato, attraverso
forti incentivi pubblici). La nascita di nuove fabbriche e di una nuova classe
operaria non è assolutamente impossibile anche da noi.
Ma anche nuova occupazione impegnata
nella messa in sicurezza del territorio, per la difesa idrogeologica, per la
qualità dell’ambiente, vero e straordinario patrimonio della Calabria, mai
sufficientemente valorizzato. Così come la riqualificazione del patrimonio
edilizio degli antichi borghi.
Ma veniamo al un punto centrale della
questione.
Come recuperare il deficit
infrastrutturale, indicando le necessarie priorità dentro una visione regionale
complessiva. Dalla riqualificazione, in
primo luogo, della rete principale delle ferrovie, lungo le coste ionica e
tirrenica, fino alla realizzazione in tempi brevi del progetto di Alta velocità
(che già negli anni ’70 chiamavamo “ferrovia continentale”), affinché si possa raggiungere
Reggio lungo la dorsale calabra, passando per Cosenza. Per garantire quindi facile
accessibilità, non solo agli insediamenti costieri, ma anche ai centri urbani
più interni, quelli storici e ricchi di patrimonio artistico e monumentale.
Centri nevralgici del rilancio di un nuovo turismo di massa.
Un
sistema rafforzato dal potenziamento delle linee trasversali, che già allora chiamavamo
“ferrovie metropolitane regionali”, cioè con un servizio rimico e frequente,
come la Sibari-Paola (con una possibile diramazione da Spezzano verso Belvedere
Marittimo) e naturalmente il potenziamento della Lamezia Terme-Catanzaro e della
Gioia Tauro-Siderno.
Un
sistema al quale dovrebbero aggiungersi servizi di trasporto su gomma (ma anche
per tratte sistemi a guida vincolata) per difendere le prerogative degli insediamenti
collinari che si trovano sulle pendici e sui terrazzi delle Serre e
dell’Aspromonte alla quota dei 300/500 metri di altitudine.
In questo senso, l’Alta velocità per
Cosenza e per Lamezia Terme rivaluta, in modo baricentrico, l’intera area vasta
interna, valorizzando nel contempo una città, con una grande storia, che ha
avuto sempre un ruolo importante nella formazione di quadri e produzione di
cervelli, dalla cinquecentesca Accademia Cosentina alla moderna Università di
Rende.
Certo, una prospettiva di sviluppo che
ha bisogno di forti energie in una situazione in cui non basta più
l’opposizione, ma occorre saper contestare, al confine della ribellione, gli
errori, le scelte sbagliate e le negligenze dei governanti.
Quindi, se è vero, come spesso viene
enunciato, che occorre investire al Sud per salvare l’Italia, una questione altrettanto
centrale è che occorre salvare la Calabria per salvare il Sud.