RIZZOTTO, DELL'UTRI E LA GIUSTIZIA di Emanuele Macaluso da Il Riformista di martedì 13 marzo 2012

24 aprile 2012

RIZZOTTO, DELL'UTRI E LA GIUSTIZIA di Emanuele Macaluso da Il Riformista di martedì 13 marzo 2012

Ho visto in Tv le ossa di Rizzotto depositate su un tavolo e l’emozione mi ha sopraffatto. Placido era segretario della Camera del Lavoro di Corleone negli anni in cui dirigevo la Cgil in Sicilia e in quel comune fui incriminato e poi processato, con Pio La Torre e altri, per l’occupazione dei feudi in mano alla mafia.
Con Rizzotto in quegli anni furono massacrati 36 Capi Lega, ho partecipato ai loro funerali e con molti di loro avevo avuto rapporti affettuosi: da Accursio Miraglia di Sciacca sino a Salvatore Carnevale di Sciara.
Giusta la decisione di onorare la memoria di Rizzotto con funerali di Stato. Ma, proprio in questa occasione, è bene ricordare che nessuno, dico nessuno, è stato condannato per quegli omicidi. Ci sono stati degli arresti, come per l’assassinio di Rizzotto, ma senza esito. Per l’uccisione di Miraglia, gli arrestati, tra i quali un grosso agrario, furono scarcerati, e furono severamente puniti i carabinieri che li avevano catturati. L’episodio ispirò il racconto di Sciascia, il Giorno della Civetta, di cui in questi giorni a Roma si rappresenta un’opera teatrale.
Questa gigantesca omertà, in quegli anni istituzionalizzata, è stata spiegata col fatto che la mafia era una componente del “sistema politico”: autorevoli esponenti della Dc dissero che il pericolo comunista era più acuto e incombente di quello mafioso.
Se in quegli anni si fosse applicato il “concorso in associazione mafiosa” avremmo dovuto vedere sul banco degli accusati ministri, prefetti, banchieri, alti e altissimi magistrati. Basti ricordare che in tutti gli anni cinquanta sindaco di Palermo fu Lima con assessore ai lavori pubblici Vito Ciancimino, il quale negli anni sessanta (governo di centrosinistra) venne eletto sindaco. Altro che concorso! Tuttavia, da sempre, su questo reato ho sollevato seri dubbi, insieme a tanti studiosi. Ma, il clima creato dall’offensiva stragista della mafia, non ha consentito una discussione serena del tema.
Ora, improvvisamente, la Procura generale della Cassazione ci fa sapere che oggi «nessuno crede a questo reato». Ieri, invece, fu proprio la Cassazione a sezioni riunite a dire che, anche se quel reato non ha uno specifico riferimento nel codice, va considerato tale. Su questo punto ha ragione il Procuratore aggiunto Ingroia quando dice (La Stampa di ieri) che «diverse persone sono state processate per “concorso esterno” all’associazione mafiosa. E in carcere si trovano con condanna definitiva (quindi con l’avallo della Cassazione n.d.r.) politici di rango locale, piccoli amministratori, professionisti». Ingroia, ha, quindi, buon giuoco nel dire che «il problema non è il reato, ma l’imputato. Certo tipo di imputato». Cioè Marcello Dell’Utri. Ancora una volta la Giustizia in Italia si presenta con volti diversi, negli anni cinquanta su un versante, negli anni che stiamo vivendo su altri versanti. In discussione è sempre lo Stato di diritto che dovrebbe essere tale nei confronti di tutti senza eccezione alcuna: il bracciante, l’immigrato o il potente di turno.
In una intervista alla Stampa Luciano Violante aveva detto che il “concorso esterno” è stato utile alla magistratura per «incidere nella zona grigia di chi aiuta la mafia». Ma, aggiungeva, «esso pecca di indeterminatezza, perché non individua gli specifici comportamenti che debbono essere considerati reato».
E sollecitava il Palamento a farlo, tipicizzando le condotte che si intende incriminare.
Tuttavia, uno stimato giurista come Carlo Federico Grosso (ieri sulla Stampa) pur apprezzando le intenzioni di Violante, solleva interrogativi sulla «tipicizzazione» anche perché la Cassazione ha messo paletti fermi affermando che non basta un generico rapporto tra una persona e un mafioso per configurare il reato di “concorso”, ma «occorre che abbia concretamente contribuito al rafforzamento dell’organizzazione criminale o quanto meno alla conservazione della sua forza».
Ma, caro professore, come mai dalla stessa Cassazione viene oggi detto che «nessuno crede a questo reato»? Se ci fosse una legge anziché una «enunciazione» della Cassazione, come dice Violante, i vincoli per un’interpretazione sarebbero più stretti anche per la suprema Corte. Francamente, non penso che definire con norme chiare di legge il reato di “concorso” possa suonare, come teme Grosso, una «inversione di rotta» rispetto alle intuizioni di Falcone e Borsellino, su cui tanto si discute. La certezza del diritto è il solo modo per combattere la criminalità di qualunque specie; per garantire i cittadini dagli arbìtri ; per non dare alibi a chi grida alla persecuzione come fa sempre il Cavaliere, solo per se stesso e i suoi amici.
P.s. In attesa di un ulteriore giudizio dei tribunali sulla esistenza o meno di responsabilità penali, i comportamenti di Marcello Dell’Utri e i suoi rapporti con uomini di Cosa Nostra, sono comunque politicamente è moralmente inaccettabili. Soprattutto per chi siede nel Senato della Repubblica. Perché tanta euforia tra i notabili del Pdl?

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