RIPARTIRE DA LIVORNO OVVERO TURATI AVEVA RAGIONE di Alberto Benzoni

28 dicembre 2017

RIPARTIRE DA LIVORNO OVVERO TURATI AVEVA RAGIONE di Alberto Benzoni

Molti compagni socialisti pensano, con questo approccio, di ridare fiato e animo alle nostre esauste falangi, magari con il concorso del pentimento di qualche ex comunista di passaggio.
Se questo fosse l'obbiettivo penso che abbia pochissime possibilità di essere realizzato. Dubito che la convinzione e/o il riconoscimento di avere avuto ragione cent'anni fa possa rafforzare le nostre ragioni di oggi; in quanto al revisionismo degli ex comunisti, italiani e dei paesi dell'Est penso che abbia allegramente scavalcato l'ostacolo socialista fino a riconoscere, in teoria e in pratica, le delizie del capitalismo e dell'ordoliberismo.
Penso anche però il richiamo a Turati e, più in generale al socialismo della seconda internazionale abbia, in una prospettiva futura, un grandissimo valore: e nel senso della costruzione di una sinistra, italiana ma anche europea, che non abbia niente a che fare con la tradizione comunista ma moltissimo,invece, con quella di quel lontano passato.
E vorrei, ora, spiegare sinteticamente e ( molto ) sommariamente perché.
I socialisti di allora consideravano centrale l'impegno, nazionale e internazionale, per la pace: considerando che l'uso della violenza, nei conflitti, interni e nelle guerre fosse nefasto non solo per il proletariato ma anche per la futura evoluzione della società. Oggi di questo impegno e più generale di questo internazionalismo non c'è traccia; anche per l'effetto distruttivo e inquinante dell'internazionalismo comunista.
I socialisti di allora, in un movimento operaio praticavano o cercavano di praticare l'unità nelle diversità; dalla rivoluzione d'ottobre abbiano ereditato l'idea che il peggior nemico, e potenzialmente traditore, è quello che ti sta più vicino.
I socialisti di allora erano fedeli all'idea, ereditata da Marx l'idea che l'emancipazione dei lavoratori dovesse essere attuata dai lavoratori stessi; alimentando così una serie grandiosa di iniziative e di sperimentazioni nella creazione di organismi autonomi del movimento di classe- sindacati, comuni, cooperative, camere del lavoro e nella loro gestione . Oggi, di tutto questo non c'è quasi più traccia; a partire dalla rivoluzione d'ottobre, tutto nasce dall'alto, e da una casta di sacerdoti abilitata per definizione a sapere ciò che è buono o non buono per il popolo e/o per il futuro dell'umanità; e scomparsa quella semplicemente dal governo e dalla casta abilitata a decidere i suoi indirizzi.
I socialisti di allora avevano ben chiaro il nesso tra riforme e rivoluzione: le prime erano tali in quanto favorivano la crescita delle classi subalterne, nei diritti, nel reddito, nel potere e in un processo in cui la società nuova nasceva all'interno di quella vecchia; il leninismo vi ha sostituito l'idea di una rivoluzione che nasce, a partire dell'ora x della conquista del potere. Con il risultato che tramontata l'idea stessa della rivoluzione ci siamo trovati tutti insieme ad inseguire un riformismo d'accattò, tutto collocato nell'idea della perennità del sistema capitalista e, quindi, funzionale.
La morale della favola è che il comunismo, con la sua nascita ma anche con la sua morte è stato il principale responsabile della crisi del socialismo; ma anche che tutto ciò è avvenuto con il nostro contributo.
Ripartire da Livorno vorrà dire legare il nostro futuro al recupero di quel lontano passato, facendo tabula rasa di un secolo aperto con la convinzione dell'avanzata ineluttabile del socialismo e chiuso, dopo innumerevoli tragedie, con la rinuncia ai suoi valori e alle ragioni stesse della sua esistenza.

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