RIFONDAZIONE DEL SOCIALISMO? - Di Aldo Ferrara, Roma, Auditorium della Tecnica, 5-6 ottobre 2007

20 gennaio 2008

RIFONDAZIONE DEL SOCIALISMO? - Di Aldo Ferrara, Roma, Auditorium della Tecnica, 5-6 ottobre 2007

Roma, Auditorium della Tecnica, 5-6 ottobre 2007, rinasce una nuova edizione del Partito socialista. Casualità vuole che il processo di riaggregazione socialista si svolga nella sede confindustriale: non è particolare interessante ma neanche da trascurare quale possibile ossimoro. Alla presenza, significativa, del Presidente del Partito Socialista Europeo, Poul Nyrup Rasmussen, gli esponenti del socialismo italiano hanno dato luogo ad un processo riaggregativo che cercheremo in appresso di definire e valutare. De Michelis, Craxi, Angius, Boselli e poi via via tutti gli altri con il fattore D in prima fila. Non solo come fattore Donna - portatrice di giuste istanze e di valorizzazione della donna nella vita sociale e di nuova espressività dei diritti civili- ma soprattutto come Cinzia Dato che è stata l'unico esempio di migrazione dalla Margherita-PD verso i socialisti. Presenza indubbiamente interessante in un Partito che comunque ha nella Pia Locatelli e nella M.R. Manieri ottime esponenti politiche.
Le premesse sarebbe anche buone anche se, malgrado la storica presenza della UIL, si rafforza la tendenza strisciante a dimenticare le radici filosofiche del movimento operaio. La presenza fattiva del sindacato, come ha ricordato Rasmussen, indica un ruolo primario del socialismo politico che fa sue le istanze sindacali dei lavoratori e le trasforma in proposte politiche. Ma oggi abbiamo sentito un Angeletti pressato dal buonismo del PD ed alla rincorsa di proposizioni politiche che, se da un lato sono sindacali, rivolte cioè alla componente sociale e più debole del paese, ne dimentica le articolazioni complesse.
Argomenti suscettibili di nuova valutazione sono le difficili situazioni nel mondo del lavoro, gli ambienti di lavoro, i nuovi lavori usuranti, un processo di ristrutturazione della società anche se Angeletti ha fatto riferimento al lavoro in sé, nella sua accezione più ampia che coinvolge tutti ma che minimizza le differenze sociali. E' proprio questo coinvolgimento globale che smitizza il processo di integrazione lavorativa del salariato e ne allontana motivazioni, istanze e richieste.
Il processo riaggregativo socialista ha imposto a Boselli un trattamento dei problemi del mondo del lavoro che, a me personalmente, è sembrato cerchiobottista. Se non altro nel linguaggio, perché, scomparso l'aggettivo "marxista", questo non è stato sostituito da altro parimenti confacente.
Che la ricostruzione dell'ordito complesso socialista, quell'ordito che porta ad un tessuto dell'intera società volta al socialismo, sia operazione complessa non vi sono dubbi. E' evidente la necessità di conciliare istanze diverse, socialismi diversi che spesso lottano tra loro. Ma che questo debba comportare il prezzo altissimo di un sacrificio filosofico e morale sui fondanti marxisti, è difficile da metabolizzare. Bene ha fatto Rasmussen a disegnare i contorni di una società industrializzata in crescita e con tanti problemi, come quella danese, che gli è più confacente. Il concetto di flexibility and security (società attenta ai problemi della flessibilità nel lavoro ed al contempo della sicurezza sociale, welfare compreso) è stato ben esposto e forse anche capito.
Ma noi continuiamo a fare politica dimenticando l'articolazione complessa della nostra società che è fatta non di strati sociali armonizzati ma solcati da profonde disarmonie e divaricazioni che portano ad estremi, assenti o già perequati in altri ambiti europei. Quindi il raffronto tra l'evoluzione del nostro e di un altro paese, parimenti europeo ed industrializzato, spesso non tiene conto di queste dicotomie che avvicinano la nostra società ad una francamente medioevale: ricchi e potenti da un lato, poveri e macilenti dall'altro, intoccabili e bistrattabili, ove il riconoscimento del diritto, se mai c'è, sembra una paternalistica elargizione.
Un pilastro fondante sembra tuttavia essere la laicità: argomento per un socialista che ricorda l'etica della non appartenenza come valore e rivendica sul piano della laicità un momento di libertà e di autodeterminazione non solo nei confronti della religione, ma nei confronti delle religioni, delle appartenenze e delle convenzioni d'obbligo. Se laicità vuole dire cesura dei legami e dei laccioli nei confronti dell'obbligo di comodo, delle convenienze e degli opportunismi, essa è valore caratterizzante un socialismo che da questi affranchi.
Sono punti di buona partenza, martoriati però da elementi che non esiterei a giudicare in modo più severo: la mancanza di riferimenti alla società post-industrializzata che nella globalizzazione del mercato trova le sue basi per ammorbare questo pianeta ed uccidere il clima con una deregulation totale dello sviluppo industriale, beh, questa è mancanza grave, gravissima se si pensa ai costi fattuali che questo comporta per una società che vive ai margini della globalizzazione e ne è vittima nelle sue classi più deboli, come quella italiana.
Ancora grave è la mancanza del richiamo ad un processo di emarginazione dell'internazionalismo operaio. E' vero che per l'Italia è un richiamo al deja vu, tuttavia non si può fare riferimento alla evoluzione del terzo e quarto mondo senza riferirsi, in qualche modo, all'aggregazione transnazionale delle problematiche dei salariati e sottosalariati. In sostanza come può un paese, come l'Italia, parlare di problematiche delle classi deboli e poi incentivare un mercato di oppressione e mortificazione operaia, consentendo che molta manodopera dell'estremo oriente sia reclutata dai nostri imprenditori?
Ecco quel avrebbe potuto essere il momento distintivo da un PD che stenta a trovare una collocazione strutturale politica. Tanto più che il PD deve trovare un suo modo di strutturarsi che non sia solo da partito al potere, una sorta del Partito del Congresso di riferimento indiano. Ecco perché, un po' kafkianamente ed un po' freudianamente, Boselli ha detto, riferendosi al partito socialista." abbiamo fatto un nuovo partito.." Quando avrebbe dovuto dire il reciproco: abbiamo fatto un partito nuovo. Solo che non poteva dirlo, ammessa la validità delle premesse qui sviluppate, perché non ci sono gli estremi per dire che questo PS, sia pure dalla connotazione europea, sia un partito nuovo. Non si vedono, al di là dei volti noti, i contenuti di novità e di originalità. La demarcazione netta con il PD non è venuta, non si riscontra quella originalità dei contenuti che un partito del lavoro avrebbe dovuto segnare: conciliazione tra sviluppo ed ambiente, sintesi tra continuità di lavoro e sicurezza sociale, progresso nella attuazione dei diritti civili in relazione alla maturazione economica della società e non a sé stanti.
L'indistinto del PD non differisce dall'indistinto del PS e ci avviamo dunque, come si dice a Napoli, da capo a dodici.
Last but not least, la teoria delle due sinistre. Boselli non solo ha legittimato ma ha accresciuto la distanza tra la sinistra c.d. riformista e quella radicale, evidenziandone e rimarcando le distanze. La sinistra, nella sua fondante essenzialità, dovrebbe essere unica, quale unico punto di riferimento delle classi lavoratrici senza che si debba ricorrere a bizantinismo lessicali sul termine "riformismo" e socialismo". La stessa evoluzione politica attuale indica che i fondanti marxisti restano tali anche se i riferimenti a "comunismo" e "socialismo" sono stati differenziati in modo strumentale sin dal 1921 di livornese memoria.
Il recente documento della Sinistra Democratica per il Socialismo Europeo che si riconduce al Compagno Besostri ed ad altri ha il merito di creare un ponte, una cerniera tra aree similari che continuano a dimenticare che il nemico è uno solo, ossia la politica che, bene o male, facilita e spiana la strada alle forze capitalistiche, anche di sinistra.

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