RICOSTRUIRE LA SINISTRA E LA DEMOCRAZIA IN ITALIA di Maurizio Ballistreri
25 giugno 2017
La seconda Repubblica ormai in fase terminale, senza che
invero ci sia all’orizzonte una nuova prospettiva né politica né istituzionale
per il paese, ci ha consegnato l’assenza di una forza di sinistra in grado di
affrontare le drammatiche contraddizioni sociali del nostro tempo, contestando
il nuovo dogma secondo cui il passaggio al postmoderno, al globale, debba
trasfigurare sino a renderle neutre e fungibili, destra e sinistra.
L’idea prevalente a sinistra è di una forza politica senza
ideologia e senza classi di riferimento, il cui unico tratto identitario (?) è
nel maggioritario e nelle primarie viste come strumento di un plebiscitarismo
che “incorona” il capo e il cui “nemico”, absit iniuria verbis, è il conflitto
sociale, relegato negli scantinati dell’800. Già, quel conflitto sociale che
consentì al movimento operaio, base politica e sociale della sinistra nel
Novecento, di imporre severe regole al capitalismo e di redistribuirne la
ricchezza verso il basso, secondo l’efficace immagine non di un capo bolscevico
dopo la presa del Palazzo d’Inverno in Russia, ma di un grande leader della
socialdemocrazia mondiale: lo svedese Olaf Palme, che affermò “il capitalismo
va tosato e non ucciso”.
Invece, si guarda a un modello basato sul superamento della
dicotomia destra-sinistra”, sulla scia di un partito socialista europeo sempre
più omologato all’ordoliberalismo della Merkel, e che oggi guarda a Macron in
Francia come un nuovo paradigma politico, con le stesse motivazioni che
ispirarono la banca d’affari statunitense JP Morgan a presentare un documento
nel maggio 2013, secondo cui: “I sistemi politici dei paesi europei del Sud e
in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del
fascismo, presentano caratteristiche inadatte a favorire l’integrazione. C’è
forte influenza delle idee socialiste”
Eppure, nella sinistra non mancano fermenti: dall’indubbio
successo di James Corbyn in Gran Bretagna al ruolo di Jean-Luc Mélenchon, candidato
alle presidenziali francesi con un programma che vedeva al centro, la questione
sociale e quella ecologica, passando l’originaria impostazione di Syriza in
Grecia e al possibile dialogo di Podemos con i socialisti spagnoli di Pedro
Sanchez, il governo in Portogallo guidato dal socialista Antonio Costa con il
“Bloco de Esquerda” e i comunisti sino al programma di Bernie Sanders per le
passate presidenziali americane.
Si tratta di un ventaglio di posizioni che pone al centro i
diritti sociali, il lavoro e il contrasto al potere della finanza globale.
Solo così si può ricostruire la fondamentale dialettica
democratica tra schieramenti alternativi, partendo dai contenuti e non dalle
sigle, espungendo la politica politicante dei seggi e dei collegi da
contrattare, affrontando la vera grande questione dei nostri giorni: la
diseguaglianza. Sì, non serve ad una nuova sinistra il politicismo, a cui
guardava con orrore nei suoi diari Bruno Trentin, allorquando descriveva la
politica e il sindacato come popolata da “tristi figuri” e “satrapi”.
Per questo serve all’Italia
una sinistra plurale, senza l’ossessione di trovare immediate soluzioni
organizzative, per misurarsi con le degenerazioni della politica leaderistica
“prigioniera” del mercato, facendo del lavoro e della Costituzione le bandiere
della ricostruzione democratica.